La vita immaginaria di C. B.

La poltrona è troppa vecchia
e ha davvero troppi buchi
per potersi sedere comodi,
ma lui è lì, giorno e notte,
che piova o che ci sia il sole.
Quando il pacco da sei birre
poggiato alla poltrona finisce,
sbuffa
e si alza per andarne a prendere un altro in frigo.
Il problema si presenta
quando anche la scorta in frigo è finita.
Prende la giacca adagiata sull’attaccapanni,
tira una bestemmia
e scende in strada.
Sotto il cappotto il pigiama.
Sulla testa il cappello.   È una delle tante sue giornate,
una delle più inconcludenti.
Quando gli va di culo
a fine giornata ha qualche riga scritta in modo decente
che comunque riprenderà il giorno dopo.
Se proprio non è dell’umore
per poter discutere
con la sua vecchia macchina da scrivere
passa tutto il giorno a camminare
su e giù
per il suo appartamento,
per il suo buco da pochi spiccioli al mese.
Per fortuna.   Non può concedersi il lusso di una donna
o almeno una donna che sia permanente.
Non potrebbe permetterselo
e poi le conosce troppo bene da sapere
che averne sempre una tra i piedi
è controproducente.
Quando il bisogno animale si fa sentire
indossa il solito cappotto,
scende in strada
e ne paga una.
La tiene accanto quel che può,
finché non vengono giù due lacrime.
Capisce quant’è meschino
capisce che è meglio così.   La notte è più nervoso
che di giorno.
Infatti fuma solo in quelle ore.
Cinque, dieci, venti e passa sigarette.
Tutte in una notte.
Tutto prima dell’alba.
Tutte prima di andare a dormire
per le solite due ore d’inferno
che gli regalano solo incubi.
Poi di nuovo sveglio
a cercare di buttar giù qualcosa
che valga la pena di essere letto.   Butta giù i suoi incubi.
Vita vissuta
buona per chi vive perché
respira.