Sei Cento Quarantuno

Ho grande coraggio a restare
qui quando staccano la testa
agli ombrelloni ed il tappeto
di mozzati, busti svitati, ricorda
la vicinanza della bruna stagione
e del congedo. Ho grande resistenza
nel sopportare le cerniere rabboccate
dal cursore, compartimenti stagno,
dinosauri sulle vie e sulla gente, valigie e ventri,
versipelli, come a suggerire l'ora del rientro.
E tu cosa vorresti? Forse vivermi?
Tu che spargi il tuo nome ovunque,
il ratto grasso untore a quattro
zampe, tu che investi in semi la
prima buca utile, tu non hai forse
ancora il senso del mio durare.
Mi vorresti come il tuo tempo
di gonne  e camicie a favor di spettro.
Ma io sono l'inverno quando muta
tutto il vento e la terra è solo avara,
utero esonerato dalla succosa
espulsione. Mi vorresti piana, poi
leggera, il corpo un bel vivaio.
Ma io sono tossina e rilascio lento
il mio morire con un allarmuccio,
uno sforzo di sordina.
Sono il nemico impellicciato da
camaleonte, l'amaro diluito a
centro bicchiera, il cercatore
incallito  con un foro nel  cesto delle cattive spore.