Sei Cento Sessantanove

Maledetti il mese maledetto
e del mese il figlio sfasciato
a piacimento, mostruoso e menomato,
ventiquattro giri esatti
sulla piastra porta ‐tempo
per sorprendermi nella tua conta.
Maledetti nel mese maledetto
l'ora e l'abbigliata, l'istante,
l'orologio, il disimpegno e poi
l'impiego, la gonna bordeaux
ed il tappeto di fard srotolato
bene, la matita nera parabordo
all'azzurro del mio visto,  patente
per guardare, carta d'identità
del mio gene quasi geniale
a farmi opposta al corredo
da cui provengo, che si sa,
al cielo s'abbina bene il
grano sulla testa. Io invece
sono catrame e a nord
del litorale  e sono mare
dove mare non ci può stare.
Maledette le palme ancora
sane, non violentate dal bubbone
mangia fusto e secca foglie,
maledetti lo scirocco,il divisorio,
di là Salerno, di qua l'imburrata
dei centri commerciali, i fuochi
fatui, zona industriale,  e la ferrovia
di carrelli per la spesa, buste e
leccornie, portabagagli pronti
al vomito. Al bambino comprano
gelato, poi patatine: oleose
lingue crick e crack, ammucchiata,
plancton nella bestia rossa col
ventre alluminio.  Maledette
le parole venute bene un tempo
prima ed arrotondate per una sventura,
ben calzate, prova d'abito,  la sposa
puzza di rancido e sotto il bouquet
ha marciume e piccante. Q.b.
Non era la mia tavola quella
abbagliata,  nemmeno mio era
quel cane: sedermi, Dio, il grande
errore! Dovevo svoltare, si sempre
là,dove ritte ed extracomunitarie
stavano le palme ancora sane
e la dadolata dei pacchi commerciali,
cubi Rubik monocolore, le facce
sempre uguali, mamma e papà
con gli scontrini, ed il via vai
delle diciotto, al cinema,
al marciapiede.
Zonaccia di donnine.
Bastava curvare ed imboccare
il letto,quello mio, ancora non
esploso dal bacio ‐ puntura
ed urticante del dispettoso
al palloncino, pura creatura,
non incinta, ma tronfia d'elio.