Tramonto infocato

Il sole pareva aver appiccato il fuoco al cielo e questo incendio divampava per ogni dove, colmando delle sue vampe ogni celeste riparo, sì che l’etra tutta abbagliava come fosse pieno giorno, e là, dove ne sobbolliva il principio, i bianchi cirri arroventati cedevano disciogliendosi per lasciar intravedere un’orrida bocca deforme, un pozzo infernale di calore ardente, ed essi stessi, macchiato il loro candido nitore, apparivano ora cuprei ora fucsia, quali veleggianti vivissime braci.
L’orizzonte non esisteva più, alzandosi dalla terra al cielo un’unica inseparabile striscia purpurea e luminescente, come se tutto il mondo stesse ardendo senza più scampo. Il sole continuava a trafiggere le nubi raggiando i suoi dardi infocati.
Su un poggio si stagliavano solitari e lugubri dei neri girasoli secchi, riarsi come stoppie, indifesi e impotenti.
Macabri e tristi facevano risaltare, al confronto, l’esercito di nuvole: battaglioni su battaglioni, una flotta innumere che copriva la volta da Est ad Ovest, portando ognuna, nel suo nucleo, un tizzone ardente. Ondate inarrestabili avevano colmato ogni visuale, disposte, appariva, in una serrata manovra attuata per compiere una missione mortale.
Cosa sarebbe stato degli uomini se quel fuoco fosse disceso dall’alto? Pareva segnata la fine, mentre nessun volatile canterino, nemmeno il più piccolo dei coraggiosi passeri soliti a ricamare il tramonto di rincuoranti trilli, osava sfidare col canto o col volo quella superna ira.
Tutto sembrava giunto al termine, ma possibile che la morte, tanto terribile, fosse pur così maestosa e bella?
“Eh, no!”, rispose per tutti la prima stella della sera che con un impercettibile ma pungente baluginio era riuscita ad aprirsi un minuscolo varco di tra la rubizza schiera.
“Magari lo fosse”, seguitò. “Questa è solo la grandezza della Natura, dispiegata per riportare gli immemori alle loro giuste dimensioni. Stavolta seguirà la notte placida, ma domani…. Nemmeno io so se ci sarà, il domani.”