All'orto botanico

La settimana scorsa siamo andati in gita con la scuola in visita all’orto botanico con tutta la classe. Un’esperienza davvero bella, che se non avessi fatto sicuramente avrei rimpianto, e di cui raccoglierò i semi e i frutti. 

Già nel pullman eravamo tutti euforici e verdeggianti.

Scesi dal pullman Carletto si è precipitato correndo verso il cancello dell’orto per guadagnare terreno, e noi tutti dietro di lui.

All’ingresso ai due lati del cancello c’erano due piantoni che facevano da guardie e controllavano chi entrava e chi usciva dal giardino. Abbiamo visto di tutto e di molto interessante. Gli alberi erano divisi, ci diceva l’insegnante: da un lato quelli provenienti dall’oriente, dall’altro quelli provenienti dai paesi tropicali………e così via, perché sono razzisti e potevano diramarsi questioni.

Tra le tante piante abbiamo visto le piante grasse, che rubavano i panini agli ospiti dell’orto: non riuscivano a muoversi e ogni giorno dovevano fare mezz’ora di cyclette.

C’era poi l’albero genealogico: alzando la testa ho visto appeso il nonno, il bisnonno e poi più in alto dei puntini che non sono riuscito a riconoscere: saranno stati gli avi…..Ave Cesare, e dall’altro lato le ave….Ave Maria.

I cactus quando passavamo cominciavano a prenderci in giro ed a fare delle battute pungenti su di noi: hanno preso molto in giro Mirino. Ci hanno talmente preso per il culo che i nostri culi erano pieni di spine e tutti bucati.

L’insegnante ci ha fatto notare “ la poltrona della suocera”, una pianta con le spine, non a caso il nome. E non era un pesce né un filo della corrente.

“Le Ammazza mosche” che non si facevano passare la mosca per il naso ed avevano i rami finenti con palette bucherellate.

C’era un albero con tante finestre ed un cartello appeso con tre stelle: era un albergo!

Il custode era un uomo arzillo nonostante anziano, che aveva trascorso la intera vita li dentro, prendendo il posto del padre quando era morto, praticamente ci aveva messo le radici.

Mirella stanca di camminare ha pianto per un bel po’, ma poi la maestra le ha detto: ”Piantala!” e ci ha fatto prendere una pausa: ci siamo fermati al bar dell’orto e ha ordinato per tutti una Millefoglie…..

Mentre camminavo sono finito con i piedi in una pozzanghera situata al fianco di un salice piangente che era lì tutto solo. Era stato abbandonato dalle altre specie di alberi perché ne avevano le palle piene: si era creato attorno terra bruciata che non prendeva più! Era stato piantato in tronco anche dalla sua fidanzata Rosalina, una delle piante grasse che andava in bicicletta.

Ma c’era anche un albero bello, attorniato sempre da tante piante e da una cerchia di suoi fedeli che si facevano chiamare i Trulli. Poi c’era un albero davvero gagliardo, un albero tosto “con le palle” che si faceva rispettare dagli altri, ma in fondo buono, tanto che portavano sempre regali ai suoi piedi: era l’albero di Natale.

C’era un albero che stava sempre appiccicato agli altri, non voleva mai stare solo e sentiva il bisogno di legarsi…..era l’albero della colla.

Le ragazze avevano voglia di qualcosa di buono, come dolci e caramelle e andarono verso l’albero della cuccagna.

Giungemmo all’albero della carta con appesi ai rami i fogli A4 e l’insegnante ci fece fare un tema. Poi raccogliemmo un po’ di carte e facemmo una partita a ramino.

Più avanti un Pino che ci indicò dov’era l’uscita, ma seguendo le sue indicazioni ci perdemmo. Doveva essersi sbagliato o ci aveva detto una bugia. Fummo distratti a un certo punto da due alberi, uno grande e uno piccolo a fianco: il grande lo rimproverava perché aveva fatto sega a scuola. Degli alberoni che discutevano sulla scena tra madre e figlio che scrivevano e parlavano di filosofia. Casinisti erano anche le o i piantagrane che creavano casini e litigavano e facevano litigare gli altri.

All’improvviso venimmo assaliti da una puzza ed erano le piante dei piedi.

Visto che l’orto era grande e ci perdevamo e non trovavamo l’uscita perché Pinocchio ci aveva preso per i fondelli, il custode ha dato ad ognuno di noi una piantina, con la raccomandazione di annaffiarla spesso.

Mentre cercavamo l’uscita una foglia morta si posò sul sedere di Ada.

Din don dan di Campanule e Campanelli…..Din Don Dan! C’era una chiesa con delle piante che dovevano sposarsi e attendevano i futuri mariti, “i pianti”che di lì a poco arrivarono emozionati e con gli occhi lucidi. Le coppie andavano a vivere in una casetta lì vicino. Entrammo a pian terreno, un piano pieno di sabbia. Nella casa erano alcune piante che a tavola impugnavano forchetta e coltelli e mangiavano la carne; altre piante un po’ più maliziose preferivano il pesce.

Ci siamo sdraiati nell’erba e poi una volta alzati eravamo un po’ confusi e felici come quando ci consolava Carmen, una delle nostre insegnanti più buone. Passò poi una donna in bicicletta con dei fiori in mano che pedalava spedita come una cartolina.

Le mie compagne Rosa e Margherita erano molto affascinate dai fiori del bosco.

Il bar non aveva niente di vegetariano e Cecilia rimase male perché il professor Marameo le aveva detto che l’insalata era nell’orto. E sfiga quel giorno si era anche ammalato l’ortolano che girava tutti i giorni nel giardino.

Ci passò dinanzi una pianta un po’ vanitosa, La Bella di notte, che essendo mezzogiorno era un cesso.

Stanchi ma contenti in quei giardini di marzo e un uomo gridava gelati; ma stando tutto il tempo lì al verde i nostri soldi erano già finiti e ce ne dovemmo andare.

Uscimmo dal parco rinvigoriti e rinverditi e tornammo a casa felici come dei tronchetti della felicità ed allegri come dei girasoli.