Angelo

Era Angelo di nome e “di fatto”: sempre pronto ad aiutare in silenzio chi era in difficoltà. Il suo motto: “Dare per dare e non dare per ricevere” lo faceva passare per “buono come il pane” ma anche per fesso. C’era chi se n’approfittava in modo palese, ma Angelo non se ne rammaricava mai, anzi lo giustificava dicendo che forse n’aveva bisogno.
“Fa rabbia vedere dileggiare un giovane così bravo e di una bontà ormai rara ma… contento lui!”. Era questo il commento di qualche “giusto”.
Angelo viveva del suo modesto stipendio d’impiegato statale, niente di più niente di meno. A lui bastava e avanzava. Egli però sapeva anche economizzare e il piccolo risparmio che aveva accumulato era la “mela messa da parte per quando arriva la sete” per come solea ripetergli la mamma. Non sempre riusciva a risparmiare soprattutto quando qualcuno toccava il suo cuore. Accadde, però, qualcosa che gli fece aprire gli occhi e che gli tolse per sempre l’appellativo di fesso
Un vecchio adagio recita: “Il gioco è bello finché dura poco”, ma il gioco di tre (per fortuna solo tre) amici furbi e spiritosi di Angelo durava da molto. Essi,  saltuariamente (sempre per fortuna), il giovedì erano soliti andare a cena fuori cambiando, ogni volta, ristorante; a fine cena i furbi passavano il conto ad Angelo adducendo le scuse più impensabili per non pagare. A conto saldato intonavano questo motivetto:

Abbiamo mangiato,
mangiato e ben bevuto
e sempre sia lodato
il fesso che ha pagato

Una volta, due volte, tre volte…quattro volte furono troppe anche per la bontà di Angelo il quale non proferì mai verbo anche se vedeva la sua piccola “mela” raggrinzirsi sempre di più. Ricordandosi del detto genovese “fesso sì ma  tabacco no” decise di “rendere pan per focaccia”.
Preso i dovuti accordi con il ristoratore del noto locale “E’ DATO DELIZIARE”, suggerì agli amici di provare le leccornie di questo ristorante che tanto decantavano e tanto raccomandavano. Era sì un po’ fuori mano ma sicuramente valeva la pena di fare qualche Km in più per accontentare il palato.
Figuriamoci se gli amici non accettavano di buon grado.
La sera del giorno stabilito si ritrovarono nella piazza del paese. Saliti sull’auto di Alberto, resosi disponibile perché Angelo non poteva (non voleva) per motivi familiari,  si diressero ridendo e scherzando verso il “E’ DATO DELIZIARE”. Un posticino, questo,  veramente carino, illuminato da una luce che rifletteva il verde dei pini e il grigio di alcune nude pareti di vette,  che si slanciavano in un cielo azzurro‐dorato. Anche se le ombre della sera erano ancora lontane, nel vasto piazzale  vi erano già diverse auto. Tutt’intorno aleggiava profumo indefinito ma soave di cibo che faceva pregustare la bontà e la squisitezza di pietanze favolose.
L’ingresso del ristorante era caratterizzato da un vecchio portone borchiato a due ante che richiamava la caratteristica di forti ed intime mura di vecchia dimora padronale. Alle bianche, crespose pareti di un breve corridoio facevano mostra vecchi oggetti e vecchi dipinti di varie epoche denotanti una scelta d’ottimo gusto artistico. L’atmosfera dell’antico era tagliata da una violenta  lacerazione del moderno: una porta elettrica che immetteva in un’ampia sala arredata in stile moderno VIP. Il contrasto, in modo deciso, t’invitava a lasciarti alle spalle il passato e vivere il presente.
Già diversi tavoli erano occupati da persone eterogenee compitamente  sedute.
I tre amici che seguivano Angelo ebbero un attimo, solo un attimo,  di perplessità quando si trovarono nella gran sala,. spezzettata da vetrate asimmetriche che formavano dei separé.
Un cameriere pinguino venne loro incontro e li pilotò verso un separé‐vetrata con un tavolo per quattro. Li fece accomodare e chiese se poteva suggerire il menu o preferivano scegliere loro.
Angelo rispose per tutti: ci affidiamo a lei; ci delizi. Era  questa la frase d’intesa convenuta col ristoratore per una grande, squisita e favolosa cena. I tre furbi fecero compiaciuti un cenno d’assenso socchiudendo gli occhi.
Fu subito portato l’aperitivo della casa: un liquido color ambrato che traspariva da un boccale di cristallo; un nettare non troppo alcolico che scese nella gola con dolcezza e ritornò deciso al palato con un effluvio di rosa tea. Favoloso fu l’aggettivo qualificativo dei quattro amici. Ne bevvero ancora… fino all’ultima goccia.
Il ricco antipasto fece sgranare gli occhi ai quattro amici e li ammutolì:
Gamberetti allo spumante serviti in coppe di cristallo e misto mare con una salsina vellutata e delicata.
Fu servito il primo piatto: un assaggio di “pennette con scampi, zucchine e asparagi”, un assaggio di “risotto mare e monti” e un assaggio di “tagliolini al sugo di cervo”.  Tutto squisito. Antonio ed Ambrogio, le “forchette” della compagnia, fecero bis di “pennette” e di “tagliolini”.
Secondo piatto: scelta tra “bistecca di cervo alla delizia”, “salmì di cervo della casa”, “pescespada ai ferri”, “orata al cartoccio”. All’unanimità scelsero: un assaggio di tutto.
Delizie, veramente delizie. I quattro amici mangiavano voluttuosamente
I vini? I migliori, ben invecchiati, colore oro pallido, rosso rubino, piccanti, corposi come miele, frivoli come fiori, consigliati da un esperto sommelier, scendevano giù che era una meraviglia.
La conversazione procedeva parimente al piacere della tavola: parole, atteggiamenti, gesti, battute, barzellette e “sfottò” appagavano il clima d’amicizia di vecchia data.
Dopo la presentazione di un cesto di frutta di stagione ed esotica, fu dato conforto creativo e sollazzo al palato con il dolce. La “Torta Regale” si rivelò un vero paradiso di delicati sapori difficili da individuare, ma tali da far schioccare le labbra a bacio.
Avevano appena finito la loro seconda fetta di torta quando il cameriere pinguino, chiedendo scusa, disse: “Il signor Angelo è desiderato al telefono della hall”. Era questo la  banale frase convenuta per l’uscita di Angelo dalla scena. Occhiolini e frecciatine accompagnarono il “vai, vai dalla tua micetta” detto ad Angelo dai tre  satolli “porcellini” che erano ben lungi, ma ben, ben, ben lungi dall’immaginare la sorpresa. Angelo si alzò dicendo: “Ho dimenticato il cellure a casa. Ritorno subito”. 
“Fai con comodo. Ti faremo portare un caffè senza zucchero risposero ridendo (risata allusiva alla fidanzata o al conto da pagare?) i tre furbi.
Angelo bevve il caffè nella saletta privata del ristoratore. Ringraziò il cordiale e simpatico complice Alfio, affermandogli che in caso d’impreviste difficoltà garantiva lui il pagamento del conto, e si avviò verso l’uscita dove l’attendeva la sua dolce Aurelia.
I tre gustarono il caffè in tutta serenità. Bevvero l’ammazza – caffè offerto dalla casa.
Alex:“E’ lunga questa telefonata!”
Ambrogio: “Angelo ha  di certo il cuore nello zucchero, ma alla fine gli offriremo noi l’amaro”.
Grassa risata generale. Il “pinguino” era lì. La sua indubbia professionalità  gli imponeva di attendere la fine dell’ilarità.
Al momento opportuno: “ Devo riferirvi che il Signor Angelo ha  dovuto lasciare subito il ristorante. Poco fa è arrivata una Signorina  a chiedere di lui e sono andati via insieme”
Ammutolirono. Sui loro volti poteva vedersi stampato in grassetto un grandissimo punto interrogativo.
“Che cosa sarà successo?”  Fu la fievole voce d’Antonio che ruppe il silenzio.
“Speriamo niente di grave”,  dissero gli altri. “In ogni caso proviamo a chiamare casa sua, anzi sarà meglio andarci ”.
Chiesero il conto con preghiera della massima celerità.
Furono accontentati. Un colpo in testa con una spranga di ferro avrebbe fatto loro meno male.
Pagarono e si avviarono all’uscita. Stavano per arrivare alla porta elettrica quando il ristoratore li fermò. Chiese: “Siete stati deliziati?” Alla loro risposta affermativa li ringraziò e  gli consegnò una busta chiusa.  Stupefatti si guardarono con la bocca aperta senza riuscire ad emettere nessun suono. Aprirono la busta.
Dentro un cartoncino

Mangiamo allegramente e poi beviamo
finché ci resta l’olio alla lucerna
Chissà se all’altro mondo ci vediamo
Chissà se all’altro mondo c’è taverna
(Anonimo)

GRAZIE
Angelo

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