Appunti dal Brasile

Salvador de Bahia..una esperienza Brasile? Donne.......No, la prima esperienza è puramente spirituale e religiosa. Sull´aereo incontro Joao, un giovane seminarista brasiliano di Salvador che rientra a casa dal seminario in Sardegna. Parliamo della teologia della liberazione. Una religione povera per i poveri. Loro non usano l´abito talare, perché sarebbe troppo elegante e inrispettoso per la povertá di qui. Noi cattolici di Roma siamo lontani, in una ricchezza medioevale. Mi parla delle cene col suo vescovo su tavoli di legno senza tovaglia, entrambi in maglietta. Puramente informale. Lui é vestito accuratamente e lo vedo elegante nel suo abito talare. Prima di salutarlo all`arrivo a Salvador gli chiedo se resterá in Brasile. Mi sorprende quando mi risponde che é suo desiderio tornare per sempre in Italia. Stregato pure lui..dal nostro Vaticano. Questa mattina rivedo il Pelhorino, vecchio quartiere di Bahia. Case di due piani, tra il rudere e il ristrutturato. Ma la miriade di colori le contraddistinguono. Azzurro, giallo, rosso....vividi nella povertá del posto. Entriamo in una chiesa barocca, la Chiesa del Carmine...un centinaio di baihani stanno pregando. La chiesa é un trionfo d´oro e di stucchi. Un giovane prete in maglietta parla a voce alta, sorride. Il suo sorriso mi conquista....mette su un cd di musica e iniziano a cantare. Alzano le mani e sorridono. Lui dice che il sorriso aiuta e unisce. É vero...mi trovo ad ondeggiare anch´io le braccia. Ogni tanto si interrompe e risponde al suo cellulare. Da noi sarebbe una scorrettezza, qui non lo avverto. Riconosco solo una preghiera, il Salve Regina..termina cosí tra applausi ed abbracci tra loro. Non sciamano fuori ma restano rumorosamente in chiesa, parlano, si toccano, si abbracciano, sorridono. Risalgo sino al prete in maglietta e mi complimento con lui. "Bravo, questa é la Chiesa che vorrei"! Mi saluta sorridendomi: "Obbrigado". Esco.

Il Nevskij Prospeckt, un fiume pedonale di una cittá russa, un fiume di anime morte e vive, disperate e non. Penso che ogni luogo possieda questa via, non solo S.Pietroburgo. Riflettevo questa mattina passeggiando su quest´ísola, senza strade, dove il pedone cammina su viottoli di sabbia o sull´immensitá della riva abbandonata dalla bassa marea. L´uomo si deve ritrovare, si deve esporre,deve giudicare e farsi giudicare per esistere. La miseria dello spirito cerca nell´incontro, un´assoluzione qualsiasi, fors´anche l´indifferenza che allevi quel senso di colpa, che deve pur esserci in alcuni. Mi camminava davanti, aveva forse la mia etá, capelli bianchi, alto, un andatura agile, maglietta, calzoni a mezza gamba, piedi scalzi. Al suo fianco, una bambina di 12, 13 anni, minuta di altezza, con un tanga scomparso tra le pieghe di due glutei neri come il carbone. Il reggiseno raccoglieva seni immaturi. Un volto di putto negro, tra bagliori di pupille e di lacca su riccioli crespi. Un sorriso affiorante, indeciso. Quella mano che scende dalla vita lentamente e si posa sui glutei in movimento. Li possiede entrambi. Lui avverte il mio sguardo. Per un attimo ci guardiamo da uomini. La mano si ritrae.

lucio da Morro de S.Paulo

Scritto da lucio

venerdì 03 agosto 2007
chiedo a Mario che mi accompagna su per la strada che porta alla favela, dove lui si è costruita una casa " Avete la luce, qui?"  Mario si dirige verso un palo, da dove pende un interruttore a peretta, quello dei nostri comodini di una volta. Lo preme e si accendono lampadine a distanza di cento metri su pali precari. "Chi passa, accende..lo stato non vuole che si sprechi energia". Isola di Morro. arcipelago delle tinharé.
Scritto da lucio

lunedì 13 agosto 2007
breve cenni storici.... Capitale dello stato di Amazonas, 1.400.000 abitanti, posta sull´argine settentrionale del Rio Negro a 10km dal punto di confluenza con il fiume Solimoes dando origine, insieme, al Rio delle Amazoni. 1865 avanposto commerciale, mercanti , schiavi neri, indios e soldati. Piantagioni inutilizzate di alberi della gomma. 1842 Charles Goodyear elabora il processo di vulcanizzazione della gomma. 1888 John Dunlop brevetta i pneumatici. Nel successivo ventennio diviene la seconda cittá del Brasile con elettrificazione e teatro dell´Opera 1920 Gli inglesi rubano le piantine dell´albero della gomma e le trapiantano in Malesia con coltivazioni razionalizzate e maggiormente produttive. Crollo del mercato della gomma brasiliano. ............................................ Oggi Manaus é un inferno: metti un groviglio di strade a ridosso del porto fluviale galleggiante; le case sono fatiscenti, unite da un cielo di grovigli di cavi elettrici. I marciapiedi sono occupati da migliaia di piccole bancarelle multicolori che vendono tutta la povertá possibile in un modo ripetitivo, allucinante. Ferramenta essenziale, reggiseni, telefonini, batterie per cellulari, chincaglieria di pessima qualitá. Si interpongono venditori di alimenti: frutta esotica, spiedini di carne, di formaggio e di gamberi. Alcuni abitanti portano, in contenitori di polistirolo, cibi preparati a casa e li offrono ad acquirenti di passaggio. Gli stretti marciapiedi accettano in piú mercazie leggermente piú nobili dei negozi precari adiacenti. Gli stereo di quest´ultimi lottano tra di loro per un dominio sonoro. Dimenticavo i pedoni, un flusso solido, inestricabile, che serpeggia e fa da collante tra negozi e bancarelle. Nelle strade file di vecchissimi bus strapieni inquinano il tutto ruggendo una prima lamentosa e fumosa. L´umiditá e i 36 gradi sono un ulteriore coibente. Mi lascio trascinare tra volti di indios alcuni dalle fattezze eleganti, altri deformati dagli incroci precari. Storpi, zoppi si alternano a bambine incinte. C´é un odore di fogna tra tombini intasati da rivoli nerastri che non vogliono scendere al fiume. I turisti opportunamente consigliati dalle guide evitano questo centro unico e fantasioso. Mi attardo, in coda, mentre una vecchia arrostisce sulla brace uno spiedino di carne viola. Che sará mai? Assaggiare per valutare. Ottimo! Dopo che, bruciacchiato e immerso in un liquido vischioso, é cosparso di farina gialla. Ritorno alla fermata del mio bus 120, altamente sconsigliato. Centinaia di persone lo attendono al centro della strada. Usciró mai da questo inferno? Manaus, 13 agosto 2007
“Quale piacere ricordare, tra i crepacci dei nostri umori, alle tre di un pomeriggio, in cui la pigrizia e la disperazione incombono, che c’è sempre un aereo pronto a decollare per un altrove” (De Botton).

L’Altrove questo magico lenimento che ci viene incontro, quale sirena ammaliatrice, a consolarci dell’oggi infruttuoso e monotono. “L’altrove” ha fattezze e contorni diversi per ognuno di noi. Può essere un luogo d’infanzia, un riposo sognato o trasognato in un posto appreso per caso, la pagina di un libro, un manifesto in una stazione ferroviaria, un opuscolo di un’agenzia di viaggi. Ma è opportuno che per noi rappresenti l’altrove, quasi una simmetria lontana dal punto dove ci troviamo a vivere. L’altrove non ha connotazioni negative, ma racchiude tutte le proiezioni positive possibili che noi possiamo dargli. L’altrove non ricorda la parte negativa della nostra fisicità, con i mille segnali di disturbo quotidiani che ci invia il nostro corpo, dalla bollicina in bocca al bruciore di stomaco o altro. L’altrove ci aspetta, validi, forti, di ottimo umore, pronti a superare le angustie e i pericoli di un viaggio. E, infatti, l’altrove nasce improvviso un giorno di tetra depressione, forse tra la pioggia di una strada tormentata, pozzanghere vere e di vita. Uno di quei giorni in cui qualcosa ci avverte che siamo al limite, un limite precario, oltre al quale c’è il buio. L’altrove sorge in un angolo oscuro della nostra mente e si evidenzia lentamente, fantasma consolatore. “Non importa dove!” diceva Baudelaire. La sua era una fuga da, senza meta. L’importante era uscire, scappare purtroppo da se stessi. Questa pesante chiocciola, casa e sentimento, che non si stacca da noi per nessuna ragione. “Devo andare”‐ è la frase di un personaggio di romanzo d’appendice o la frase di un Marco Polo o di un Colombo. Questa catapulta che si materializza dentro di noi e ci proietta chissà dove. La motivazione dichiarata copre ben altro.
l.p.r.

Scritto da lucio

domenica 05 agosto 2007
Salvador ‐ Domenica 4 ‐ Eglesia do Carmo. La signora é in prima fila. La scorgo da dietro. La messa é iniziata. É vestita elegantemente, i capelli bianchi hanno una acconciatura accurata. Un giro di perle al collo. La visuale della sua maglia di lino mi é coperta in parte. Porta una scritta sul dorso..forse una preghiera. Inizia con: "Nada te pertube...." Le prime dieci file hanno un recinto di ferro battuto e terminano con un cancelletto, ora aperto. Un segno di casta. Dietro, il popolo bahiano, su panche comuni, prega. Il prete, sull’altare, ha iniziato la predica. Parla delle virtú teologali: fés, esperanza, caritá. Io, sono invece molto turbato. Ho visto, nel 2007, gli schiavi. Esistono ancora, immutati come nella "Capanna dello zio Tom". Li vedi scaricare, all’alba, i vascelli dei possidenti. In fila, sotto il sole, non balle di canne da zucchero, ma casse di Coca Cola, frutta, bombole di gas. Hanno la corporatura delle novelle della nostra infanzia. Enormi di fisico, la muscolatura affiorante, lucida al sole. Muscoli che nascono non in palestra, per un fine estetico, ma muscoli che servono per portare di piú del tuo vicino, in modo da essere competitivo sul lavoro. Muscoli per trascinare carriole, per sollevare tronchi, per zappare la terra. Il padrone é quello di sempre, un bianco che ordina. Ha lo stesso volto, gli stessi poteri, la stessa arroganza. Ora non appartiene piú al Re, ma é un politico. Mette tasse, gabelle. Dona magliette col suo nome per creare vassalli.  Forse anch´io sono uno schiavo, a ben pensarci. Quanti padroni ho? Un´infinitá.
Scritto da lucio

giovedì 26 luglio 2007
Ieri sera al tramonto ritorno al Pelourinho, antico quartiere nero di Salvador. Cerco una chiesa visitata tre anni fa in fretta con una guida locale. Ora sono libero e solo e "lecco le pietre" come uso dire per confrontarmi con un turismo fuori dalla fretta delle guide. Cerco l´Iglesia de Nossa Senhora do Rosario. É dell´inizio del 700, ed éél´ unica chiesa costruita dagli schiavi per gli schiavi. Le altre sontuose e ricche dei padroni portoghesi erano proibite a loro. Qui si adora nel piccolo cimitero la tomba di una schiava, l´Esclava Anastasia dell´ Angola raffigurata sulla tomba con una maschera di cuoio sulla bocca che le impediva di parlare come era l´usanza dei tempi. Trovo la chiesa ed entro. La funzione sembra essere giá iniziata. Il prete sull´altare veste questa volta i paramenti sacri, non la maglietta della precedente chiesa. Mi rassicura una preghiera in latino. Sono a casa? Ma improvvisamente un suono di percussioni attraversa la chiesa. Il suono é crescente, ritmato. Scorgo quattro suonatori anziani in un altare laterale che suonano bongos e maracas. Il ritmo sta crescendo...scandisce un ritmo che conosco giá..La ragazza che prega in piedi, fronte a me, camiciola dorata, jeans, smuove con un colpo di nuca i capelli sciolti sulla schiena. I capelli ondeggiano...la schiena inizia ad ondeggiare. Il fondo schiena ora attira il mio sguardo...ma é samba, questo motivo. Un vecchio signore esce dai banchi, alza le braccia e inizia a ballare, cosí la vecchietta settantenne. Io continuo a guardare il fondoschiena della ragazza di fronte a me. Fantastico. In un minuto stanno tutti danzando la samba. Il prete sull´altare é volto verso di noi e sembra dare il tempo, o benedice? non so. Mi trovo ...meraviglia ad accennare anch´io a passi di samba. Chi applaude, chi canta, chi prega....sono felici.. sí almeno questo sembrano. lucio

Scritto da lucio

giovedì 02 agosto 2007
L’inquinamento atmosferico forse ci allontana anche da Dio, oltre che dalla salute. Trovarsi in una notte di stelle è sempre una esperienza spirituale intima, puramente religiosa. Mi torna una frase di uno scrittore di cui non rammento il nome: ‐ " La superbia dell’uomo si evidenzia nella sua affermazione che Dio si sia manifestato solo per lui, tra miliardi di pianeti."‐ Stanotte guardo questo soffitto ghirlandato di luci e penso che Dio sia tutto questo, un Dio senza barba, senza famigliari. ‐ Una sera d’agosto, i miei due ragazzi, su di un cavalcavia deserto ( la via privata, appena costruita di un noto ministro, il raccordo stradale tra l’Autosole e la sua villa). La vallata oscura per l’assenza della luna e noi tre, stesi sulla striscia bianca di divisione delle due corsie. Niente tra noi e le stelle. Il piccolo Matteo : " Papà sto cadendo nel cielo!" ‐ Deserto sull’altopiano iraniano, un’uscita dopo cena, con Shara, la guida, per visitare tombe reali del X sec. d. c. Il disco pieno della luna aveva Giove come brillante monile. Camminando, noi si faceva ombra sulla sabbia, come in una giornata di sole. Gli oggetti venivano illuminati da un riflettore di una luce fredda, metallica. Il riverbero sulla sabbia completava i particolari. ‐" Ciro per evitare il caldo alle truppe, le faceva viaggiare alla luce della luna"‐ mi raccontava Shara. Per un attimo vidi quelle schiere di uomini camminare dinanzi a me. Morro ore 6,38