Biglie di Vetro Colorato

Si mise a sedere sul letto e se ne stette li' con le gambe penzoloni, i capelli folti e ricci sparsi sulle spalle come una criniera leonina. Al buio, si guardo' intorno, sapendo dove si trovava ogni oggetto, per quanto piccolo potesse essere.Quello era il suo rifugio, il suo regno, quello che conteneva tutti i suoi piccoli tesori.
Uno scrigno di fragrante legno intarsiato contenente i nastri per i capelli, arrotolati e disposti in ordine sul fondo di quel gioiello rivestito con un tessuto damascato, un pettine, una spazzola, uno specchio in avorio e argento: un regalo della nonna, quando aveva compiuto 11 anni.Tenuto tutto ben disposto, in ordine, sul tavolino da toilette sotto la grande finestra della sua camera.
Sedeva davanti allo specchio e spazzolava i suoi capelli, fino a farli crepitare di vitalita', li sollevava con le mani fin sulla nuca fermandoli con le forcine, ed incominciava ad osservarsi con minuziosa attenzione.
Un ritratto di sua madre, da sempre su una parete della sua camera, le rimandava l'immagine di un' altra se stessa, con la sola differenza di qualche anno in piu'. Era diventato un rito: sempre quello, sempre gli stessi gesti, da anni.Anche quello di alzarsi repentinamente ed andare verso una vecchia cassapanca dove erano riposte alcune vesti di sua madre. Con attenzione ed amorevole delicatezza, ne traeva uno e lo indossava, accarezzando caldi velluti e fruscianti sete, assaporando il momento in cui avrebbe potuto indossarli quando fosse diventata donna.
Attraversava velocemente la stanza ed andava a calzare delle scarpe troppo grandi per i suoi piccoli piedi e dal tacco altissimo, tornando poi, malferma sulle gambe, barcollante, verso lo specchio... ad osservare i risultati di questa sua segreta, consueta abitudine. Allora, eccola accennare dei brevi passi di danza davanti allo specchio, in preda ad una eccitazione che le imporporava le gote e, canticchiando sommessamente un motivetto che diventava musica, alle sue orecchie, accompagnandosi al fruscio che emetteva l' abito in quel suo volteggiare. Con il fiatone, si lasciava cadere sul letto in attesa di riprendere fiato, mentre, ancora una volta, considerava  l' amore e l'emozione che indossare uno di quegli abiti le trasmetteva.
Si sentiva una principessa in quei momenti, era tutto cosi' fantastico ... poi, una voce imperiosa la scuoteva, la ridestava dai suoi sogni. Si svestiva velocemente e, indossando una maglietta ed una gonna, era pronta a riprendere la sua vita, la solita, quella di sempre, quella fuori dalla porta di quel magico castello che la faceva sentire una principessa.


Il sole filtra ormai dalle tendine alla finestra, inondando di luce la grande cucina in cui troneggia maestoso un camino, nel quale ardono dei ciocchi di legna resinosa che rimandano bagliori e scoppiettii, quel calore avvolgente e un profumo di cose buone, rafforzato da altri profumi. Si espande quello di due tazze di fumante caffelatte e di pane abbrustolito.
Indovina, piu' che udire, un breve saluto frettoloso che suo padre, dopo aver bevuto distrattamente un caffe', le rivolge, mentre esce per recarsi a lavoro.
Osserva Federico, il suo fratellino di nove anni, che sta' ultimando la sua colazione e si appresta a prepararsi per accompagnarlo a scuola.
Escono, prende per mano Federico. Il tragitto da casa alla scuola e' breve, ma ogni volta, al contatto e al calore di quella piccola mano nella sua, avverte l' amore ed il senso di fiduciosa dipendenza che quella piccola creatura ha riposto in lei. E' una bimba anche lei, ancora, ma questi momenti la fanno sentire "grande", responsabile... si inorgoglisce un po', allontanando da se' la consapevolezza di dover vivere una condizione forse troppo gravosa per le sue esili braccia.
Sono davanti alla scuola ora. Un bacio, un abbraccio, una breve attesa e, quando Federico scompare oltre il portone della scuola, dopo averle inviato ancora un cenno di saluto con la mano, lei fa ritorno a casa.
Ha quindici anni, Elisa. Un giorno, misteriosamente, sparirono le sue bambole, le sue certezze, le sue giornate spensierate, i suoi sogni.Quel giorno, pianse.Copiose, calde lacrime scorsero dai suoi occhi fin sul cuscino; attraverso quelle lacrime, vide uscire dalla sua vita, dalla sua stanza, una donna. L' ombra di una donna che frettolosa e in preda ad una visibile agitazione si avviava verso l' uscio ripetendo in modo quasi cantilenante e sconnesso : ‐ Non devi piangere, sei grande, sei una donnina. Poi torno, sai? Ora devo andare, si, si,devo andare, ma poi torno! ‐
Insieme a lei, andavano via la sua infanzia, la sua adolescenza, ma lei questo non lo sapeva, cosi' come non sapeva tante altre cose ancora, non sapeva che molti anni sarebbero passati prima di poter avere l' opportunita' di rivedere quella donna.
Quella donna, era sua madre.
Si era svegliata di soprassalto, madida di sudore, e sapeva che era stata la sua stessa voce a svegliarla, come succedeva ormai da tempo. Si rendeva subito conto di essere li' , da sola, e l'incubo che la svegliava era sempre quello, ricorrente...
C' era una scala dalla struttura in ferro battuto e dai gradini in legno, che dal corridoio della casa portava di sopra, alle camere da letto, sua, di suo fratello e di sua sorella. Ripensava alle notti in cui i suoi genitori litigavano furiosamente e lei, si alzava piano, andava a vedere che suo fratello e sua sorella dormissero e poi andava a sedersi in cima alla scala. Non voleva ascoltare ma allo stesso tempo, non riusciva ad evitarsi di farlo. Accocolata su se stessa, con le ginocchia strette tra le braccia ed il mento appoggiato alle ginocchia, piangeva, e piangeva sommessamente per la paura di essere scoperta. Questo fino a quando, quel giorno, sua madre entro' nella sua camera a dirle che sarebbe andata via portandosi appresso sua sorella. E comincio' l' attesa:  quella di un ritorno, quella di qualcosa che non avveniva. Ferite e dolori mai rimossi, solo cicatrici profonde da portare come un bagaglio di cui non ci si possa liberare. Quella mattina, al ritorno dalla scuola, dopo che ebbe accompagnato Federico, ando' a comprargli un sacchetto di biglie di vetro colorato. Gliele aveva promesse la sera prima per convincerlo ad andare a dormire. Non ne voleva proprio sapere quella piccola peste...
Al ritorno da scuola, gliele fece trovare " per caso" sulla sedia sulla quale si sarebbe seduto, accanto al tavolo, per il pranzo. La gioia che vide in quegli occhi, sarebbe stata una delle immagini che avrebbe conservato di lui, per sempre.
Dopo il pranzo si  misero a giocare con le biglie. Era buffo vedere Federico che stringendo il pollice nel pugnetto chiuso, con un piccolo scatto del dito cercava di lanciare una biglia fin verso le altre, disposte in un ordine non ben definito, cercando di colpirne una... quasi mai riusciva nell' intento e cercava di trovare delle giustificazioni che lei, era sempre disposta ad avvalorare. Una delle biglie era piu' grossa delle altre e dai colori piu' accesi, piu' nitidi, ed era quella che lui amava di piu' .
Passarono molti anni. Lei si occupo' della sua crescita, degli studi che Federico porto' avanti con degli ottimi risultati, con un profitto notevole, sicuramente per una propensione innata, ma ad Elisa, piaceva credere che un po' fosse anche  stato merito suo. Divenuti adulti, ambedue si sposarono ed ebbero dei figli da crescere. Il rapporto speciale che si era instaurato e consolidato tra loro, non venne mai meno. Si erano sentiti proprio due giorni prima che arrivasse quella telefonata ed avevano deciso che sarebbero andati a Pisa con le rispettive famiglie. Poi, la telefonata...Quella telefonata!


Era appena tornata ed il suo rammarico era quello di  non avergli potuto dire cio' che avrebbe voluto, non ne aveva
avuto il tempo, non c'era stato tempo. Federico non poteva piu' ascoltarla!  Gli avrebbe scritto una lettera: una lettera che non sarebbe mai stata spedita... Devo prendere quell' aereo,devo correre da te. L' aereo e' un mezzo veloce e tu, hai bisogno di me come quando eri bimbo...
Ripercorro, durante il viaggio, alcuni momenti della nostra vita con accorata, struggente malinconia.
Te lo ricordi? :
No‐oo... 6x8, non fa  40. Ripassiamo insieme...
6x1... 6x2... 6x3... bravo!
Ti voglio bene...
Giochiamo: le biglie colorate, tante palline di vetro che rimandano bagliori e tu, ami proprio quella dai tanti spicchi colorati come un arcobaleno... Come vorrei fosse la tua vita, amore: te li regalo io i colori, ti dipingo io l' azzurro, il rosa, il giallo, il verde...
Ti voglio bene...
Avrei dovuto darti quel giornalino di Tex, quella volta... Mi hanno detto: Ma tu sei grande! Non e'  vero, sono bimba anch' io... ed il giornalino e' andato in pezzi!
Mi racconti dei tuoi piccoli problemi, dell' esame andato male...non sono stata una brava insegnante... te lo ricordi quante risate, quante corse, quanti stupidi litigi per cose senza senso... quanti abbracci, le ninna‐nanna, le favole lette e quelle inventate...
Qualche volta, te le raccontavo in modo diverso e nelle tue parole c' era un rimprovero: Ma no... non era cosi' !
Hai fatto un brutto sogno, ti tengo tra le braccia e cerco di rassicurarti... mi inteneriscono i tuoi occhioni, il tuo bisogno di sicurezza, ti consolo e tu piano piano, riprendi sonno ... sei dolce, le palpebre hanno un impercettibile movimento e la tua manina si tende a cercare una presenza vicina che ti rassereni...
Ti voglio bene...
Rimetto insieme tante tesserine, una sull' altra. Sono le fasi della tua crescita, le tue gioie, le tue sofferenze, le tue speranze, i tuoi primi dolori d' amore, i tuoi segreti, i tuoi successi nello studio... sono orgogliosa di te!
Ti voglio bene...
Ma tu guarda che bel giovanotto sei diventato... tutte le ragazzine, impazziranno per te! Poi e' arrivata la tua ragazzina. Eccole le altre tessere da aggiungere... tu sposo, tu papa', tu adulto che ora insegna agli altri ragazzi, ne parli come di figlioli tuoi, ti apprezzano, ti stimano... Non te l' ho mai chiesto: Quando lo hai imparato poi, quanto faceva 6x8?
A noi la presenza della mamma e' mancata molto presto e tu, ti sei aggrappato a me con fiduciosa tenerezza, mi hai fatta sentire grande, importante... tu non sei stato il mio fratellino minore, sei stato sempre il mio bambino.
Arriva una telefonata. Ascolto... non e' vero quello che mi dicono! Le ginocchia, quasi non mi reggono, il pensiero  che cio' che mi dicono sia vero mi tortura il cervello fino a farmelo scoppiare, un dolore grandissimo mi annienta, mi distrugge. Riesco appena a mormorare: Scusa, scusa, ti richiamo io tra un attimo.
Passa quell' attimo ed io richiamo... ora, mi chiederanno che tempo fa, mi chiederanno... Non sono queste le cose che mi  chiedono, non sono queste le cose che mi sento dire, ed io non voglio, non voglio ascoltare!
Ma tu avevi bisogno di me ed io di te, non erano questi i nostri discorsi? Non vuoi piu' parlarmi? Non vuoi piu' ascoltarmi?
E' tutto un maledetto imbroglio. Si, si, ecco... e' solo un maledetto imbroglio! Ora prendo quell' aereo e vengo li' da te... vengo li' a consolarti, a tenerti la manina, e' solo un brutto sogno. Ti prendo tra le mie braccia, ti stringo forte a me...
È avvenuto. Mi soffoca, mi stritola la certezza che con questa affermazione della realtà voglia celare proprio il bisogno della sua negazione.
E' la consapevolezza di trovarsi d’un tratto davanti a qualcosa di enorme:
Mi scuoto e ricordo di aver sognato un incontro, ma qualcosa è avvenuta, l' ho sentita, l' ho percepita stamattina fin dal primo sguardo fuori dalla finestra. Poi, la telefonata! E' stato un risveglio cattivo che torna a ficcarmi spilli sulla pelle, parole arruffate, sconnesse, danzano davanti ai miei occhi, il loro rumore rimbomba nella mia testa, nell' anima mia tra un prima in cui c’eri e un poi in cui non ci sei piu'.
Ricordi che non voglio arginare, ai quali mi aggrappo perche' sento di non farcela, di annegare. Profonde ferite aperte che dolgono, mi rimandano la sensazione che la vita sia tutta un’enorme e assurda allucinazione, e tutto mi scaraventa sul viso un presente in cui rimbombano passi lontani, sempre piu' lontani...Una verità germogliata  da poche , terribili parole che vorrei lontane, molto lontane...
‐Non c’e' più tempo‐ Uno strazio ancora diverso, un’altra dimensione del dolore, dove i ricordi di ieri si riflettono sul peso insostenibile dei rimpianti di oggi. E sono su questo aereo ...e il tempo si blocca.
Non c'e' piu' tempo.
Sono qui' davanti a te ma tu non mi ascolti, non mi senti.
Non fluiscono ora, le parole... sono arrabbiata con te. Mi hai mentito, non mi hai aspettata, ho portato anche i biglietti per andare a Pisa, dovevamo andare a Pisa, te lo ricordi? E poi, ho comprato anche un giornalino di Tex, eccolo... avremmo potuto leggerlo insieme!
Ti accarezzo il viso, i capelli, qualcuno cerca di allontanarmi da te ed io mi divincolo da quelle braccia. Il pensiero che allontanandomi, tu non possa udire quanto ho da dirti mi risulta intollerabile. Vorrei urlare senza dignita' alcuna tutta la mia rabbia, il mio dolore... sovrastare il suono delle campane che chiamano e chiamano , senza sosta, senza pieta' .
Nel cortile di casa c'e' un bimbo che gioca con le biglie colorate... una e' come quella che tu amavi tanto. I miei occhi sono pieni di polvere forse, i colori della biglia sono confusi, si sono  mischiati  tra loro ed io non ci vedo piu' un arcobaleno dentro...
Un' altra tessera, l' ultima, si aggiunge alle altre e pretende di stare al di sopra delle altre! E' quella brutta, terribile, quella che chiude l' ultimo capitolo della tua breve vita.
Non si puo' rimuoverla, torna sempre in cima, prepotentemente  "al suo posto" .
Mi chino su di te, ti abbraccio, mi aspetto di sentire la tua voce che mi dica qualcosa... qualunque cosa... Ti prego, solo una, almeno una...
La mia voce e' un sussurro e mentre il mio cuore scoppia dal dolore che provo, ti dico:
Ti voglio bene. Perdonami, per tutte le volte che non te l' ho detto.