Bitch

“Devi succhiare capito? Suc‐chia‐re! E muovi quella cazzo di lingua!”
“Ho capito!”
Luca ce la stava mettendo tutta ma le cose non erano così semplici come se le era immaginate. L’uomo che gli stava accanto quasi non lo guardava negli occhi e lui era solo alla prese con un pezzo di carne estraneo. Aveva bevuto molti alcolici durante la serata, per trovare il coraggio di mostrare tutta quella indifferenza, quella finta consumata abitualità con qualcosa che invece si era sempre solo figurato nella mente e su cui aveva fantasticato a più non posso. Ora finalmente ci era dentro, con tutta una parata di odori e suoni che non aveva preventivato nelle sue fantasie. E che adesso lo lasciavano sbigottito.
Sapeva che avrebbe dovuto chiedere i soldi prima di salire in macchina, che di sicuro il primo cliente della sua vita aveva capito di avere a che fare con un non professionista inesperto di cui sicuramente avrebbe approfittato. Intanto ciò che stava accadendo non gli piaceva affatto. Insomma era questo? Tutta quella ansia per un su e giù con la testa su qualcosa di viscido ed alieno? In un romanzo divorato più volte quando era piccolo aveva letto che fare un pompino era come mangiare un bel dessert nel pieno della giornata. Ricorda ora come aveva trovato assai divertente quella frase.
Nel frattempo intorno all’automobile, nel luogo dove l’uomo aveva parcheggiato, si andava addensando un’oscurità nebbiosa che lanciava scampoli di luce evaporati pian piano. Voleva tornare alla sua esistenza e lasciarsi alle spalle le fabbriche fumanti che lo circondavano. Questo ottenere qualcosa e poi scapparne sarebbe stato il marchio perenne del suo agire. Presto stanco della sua stessa sete di vita.
“Ok andiamo” aveva detto finalmente l’uomo, mettendo subito dopo in moto la macchina con fare annoiato. Viaggiarono in silenzio, Luca con lo sguardo al di là del finestrino, fisso sull’architettura industriale che gli sfrecciava sotto gli occhi, grigia e lunare. Il tipo che gli stava accanto semplicemente guardando avanti. In pochi minuti arrivarono davanti alla stazione e l’uomo fermò l’auto esattamente nello stesso punto dove si erano incontrati un’ora prima. Non spense nemmeno il motore ma attese solo che Luca scendesse.
“I soldi?”
L’uomo non rispose. Dalla sua espressione sembrava si fosse scordato del “patto mercenario” che era incorso tra loro due. Addirittura pareva infastidito dal dovere avere a che fare con quel genere di discorsi. Poi, per la prima volta dopo che erano ripartiti, lo guardò.
“Te ne do 30, cinquanta non ne vali”.
“Avevamo detto 50”.
“Mi spiace posso dartene solo 30”.
Lo sapeva che sarebbe andata a finire così. Era arrabbiato ma non sapeva che fare. Non capiva se doveva insistere, magari diventando anche più aggressivo, più sicuro di se e costringerlo ad assolvere al suo debito, o cedere, accelerando il processo di ritorno alla sua vita consueta e lasciandosi alle spalle quello che era successo. Alla fine prese i soldi che l’uomo gli tendeva dalla mano e scese dall’auto sbattendo la porta. Non aveva più voglia di pensare a lui, al suo accento fastidioso, al suo odore estraneo e triste. Restò con la consapevolezza che la sua prima e forse unica prestazione “professionale” della sua vita aveva deluso il cliente. Insomma la sua bocca non valeva neanche 50 euro.
Improvvisamente la cosa lo divertì parecchio e, allontanandosi, un largo sorriso comparve sul suo viso mentre tastava nei pantaloni, la leggera consistenza del primo “onorario” da puttana della sua vita.