Colta in flagranza di reato

Lo sguardo si posa al di là del parco che costeggia la strada di fronte.
Slitta tra gli alberi, le case, s’insinua nei vicoli stretti, attraversa gli odori dei cesti di frutta sui banchi del mercato. Scova il peccato. E cade.
Cade sul verde di un portone al civico ventidue. S’incolla. Ci si strofina come una gatta affamata che elemosina gli avanzi della sua vita perduta. Poi sprofonda.
Senza alcuna voglia lascia che una sigaretta s’incolli al labbro inferiore mentre a tratti gli occhi vanno nascondendosi dietro il buio delle palpebre. Come se certi particolari potesse scorgerli più evidenti se sottratti alla luce del giorno.


Lei sale le scale. Un movimento ripetuto quasi tutti i giorni, per anni.
Non si volta mai, anche se dovrebbe farlo, Elisa. Dovrebbe almeno per cancellare le tracce di quel reato consumato alle spalle dell’altra sua esistenza.
Ogni passo in avanti, lei lo sa, è un po’ di sé abbandonata in quella penombra che le sfalsa l’armonia del vivere e che a volte, pensa, vorrebbe si trasformasse nella colpa di qualcun altro.

Per un attimo lui riapre gli occhi. Ma solo per un attimo, quasi a riprendere fiato e non perdersi la breve sequenza di quella vita che sente ancora appartenergli tra le pareti da dove Elisa è fuggita via.
Poi, di nuovo, il buio gli investe la vista per continuare a vedere…

E’ dietro la porta ormai. L’uomo può addirittura scorgerne l’odore. Sa che esiterà ancora prima di bussare. Si sta passando freneticamente la mano tra i capelli, permette ad un bottone di liberarle il bel seno adesso. E’ un rito che lui conosce bene, di cui ha compreso il senso tanti anni fa. E’ una fibra della sua pelle che si apre totalmente alla possibilità di respirare ciò che di più puro e corrotto ci sia nel suo angolo di mondo.
Non può più attendere l’uomo dietro la porta. Anche i minuti sono essenziali quando vengono rubati al tempo che non è complice di certi inganni.
Là dietro c’è un corpo a cui non rinuncerebbe mai e che è il profilo esatto di tutto l’amore che si è lasciato scivolare tra le dita troppo spesso, pensa.

Lui ha ancora gli occhi chiusi. Il sapore della sigaretta si mischia all’amarezza che gli sta scivolando nella gola come un veleno in grado di paralizzargli i muscoli. Crede che se proverà a muoversi andrà in frantumi proprio come parte della vita che non è riuscito a salvare.
Una volta comprò per Elisa un abito da sera in occasione di una cena di lavoro organizzata dalla sua banca. Andava fiero di quella bellezza incontaminata e del tutto inconsapevole della moglie. Ogni cosa di lei gli ricordava l’ingenuità di una bambina, dal modo di pettinarsi a quello con cui facevano l’amore. E quel vestito che le confinava alla perfezione il corpo era per lui la certezza che quella donna era sua,  che la conosceva bene, sotto la carne e fin dove lui era potuto arrivare a toccarla.
Lei puntò gli occhi nei suoi attraverso lo specchio e disse: “Mi sembra di averti addosso”. Sorrise.
Lui ha ancora lo sguardo immerso nel buio, caduto sul verde di un portone al civico ventidue.


L’uomo e la donna si abbracciano, ma non per molto. Hanno fretta di lacerarsi le carni, mordersi, leccarsi, graffiarsi, stremarsi, afferrare le ore in cui sono stati lontani. Lasciarsi.
Le bocche s'impastano e danzano l’una sull’altra al ritmo caldo dei baci. Nessun particolare dei loro incontri è mai scontato. Tutto è ripetitivo e sempre allo stesso modo importante. La dolcezza con cui l’uomo le accarezza il viso, la voglia improvvisa che lo attanaglia e gli spezza il fiato quando lei lascia cadere il vestito per terra e i sessi cominciano a cercarsi. Lui ama distenderla sul letto e ascoltarne il respiro calmo per accenderlo facendosi strada tra quelle gambe da dove si libera il desiderio. Elisa è una donna che vuole essere consumata piano ma con l’impazienza della bambina davanti a un regalo che non può aspettare di essere scartato domani.
E anche questo l’uomo lo sa. Anche questo lo ha imparato infilandosi in qualche piega della sua anima mentre facevano l’amore, quando lei sembrava distante e lui la riportava a sé con la prepotenza del corpo fino a farla diventare piccola. Tanto piccola da sentirla rannicchiarsi tra le sue braccia, indifesa.

Ma come fa a sopportare tutto questo? Come fa?
Se lo domanda ogni giorno lui. Anche adesso che ripassa a memoria le scene di quell’amore che non riesce a contrastare con il suo. Eppure un tempo credeva che ad Elisa il loro matrimonio bastasse. Era convinto che tutto il mondo fosse lì, e che per lei non esistessero altri sapori da cercare fuori dalle pareti di casa. Ma ora c’era quell’uomo sulla soglia delle loro vite, anzi, ci abitava dentro, tra le lenzuola, la cucina, i pranzi, le cene, sugli scaffali, dietro i mobili. Era ovunque perché lei lo aveva fatto entrare senza nemmeno chiedergli il permesso. Era ovunque perché aveva trovato una crepa tra i loro corpi perfettamente disarmonici. E adesso c’era da chiedersi chissà da quanto. Forse era accaduto in un momento in cui lui si era distratto e come succede in questi casi ci si pente sempre di essersi voltati per quel breve istante, quell’unico istante in cui saresti dovuto esserci, e non c’eri. Ma è tardi ormai.
“ Scendo a portare la macchina dal meccanico”. Oggi la scusa è questa.
Chissà se l’uomo al di là del parco la ama, si domanda. E accenna un sorriso triste di chi ha appena scoperto di non avere sogni.


Elisa respira a fatica sotto il peso dell’uomo che sta per morire di piacere stretto nella morsa delle sue gambe. Lo fissa, lo sfida, perché in quel corpo c’è tutta la speranza di un domani che non sa ancora contenere. Poi il duello ha termine, i respiri si calmano di nuovo. L’uomo le scivola affianco avvolgendola con il braccio come fa di solito. L’accarezza ripetutamente lungo i fianchi, sulla schiena liscia e madida, vuole assicurarsi che lei sia lì, che non sia altrove come a volte ha la sensazione che accada. Ma lei c’è. E’ rimasta anche per quell’uomo solo nella camera da letto di casa sua  che sente seguirla col pensiero mentre s’abbandona sul petto di un altro. E per un attimo, forse per la prima volta, ne ha quasi vergogna.
Si stringe più forte che può contro il corpo di lui, si contorce, lo annusa, struscia il viso sulla pelle ruvida del suo. Sta cercando qualcosa Elisa, qualcosa che non sa spiegarsi nemmeno lei. Forse un punto dove sentirsi al sicuro da tutto, una fessura nascosta sul corpo dell’uomo  a cui aggrapparsi per sentirsi libera.
“Io ti amo” le sussurra scostando una ciocca dei capelli dalla guancia.
E lei adesso è più perduta che mai.



Lui poggia la fronte sul vetro freddo della finestra come volesse riprendere coscienza di sè. Lo sguardo abbandona il civico ventidue, ripercorre il mercato, attraversa gli odori dei cesti di frutta, passeggia tra gli alberi del parco che costeggia la strada di fronte e precipita nuovamente nella camera da letto, sua e di Elisa. Guarda l’orologio.
L’uomo sta per rivestirsi e anche lei lo sta facendo con l’ansia di chi deve occultare gli indizi di un delitto.
Lui non è più lì a guardarli, non li sta spiando da dietro la vetrina della loro intimità appartato nel buio, ma continua a  scorgere ogni dettaglio col pensiero.
Dovrebbe dirle che sa. Pensa da giorni che dovrebbe dire che sa. In fondo perché tacere. Tacere è un po’ come tradire Elisa a sua volta e lui non vuole un’ intera vita costruita sul tradimento.
“So che vai da un altro uomo” le avrebbe detto, forse urlato, questo non lo sapeva. “Lo so e basta. Non ti ho mai seguita, non vi ho mai visti insieme. Ma quante volte me lo hai confessato, cara Elisa. Quante volte. Mentre lavavi i piatti, ti sistemavi i capelli prima di uscire, quando mi sorridevi e non sorridevi per me, in quei silenzi scesi fitti come pioggia a renderci sempre più estranei, in un rossetto che non ho mai visto, sulla pieghe di un vestito che non indossi più, in una tazzina del caffè. Era sulla punta della tua lingua ogni mattina Elisa, piccola Elisa, e lo ingoiavi come una pillola dal gusto amaro ogni sera quando mi davi la buonanotte. Io lo so, lo so e basta.”


Una donna è appena uscita da un portone verde. Cammina a passo svelto per i vicoli, il mercato, il parco. Sta per tirare fuori dalla borsa un mazzo di chiavi. Sale le scale. Un gesto ripetuto ogni giorno, per anni. E’ dietro la porta ormai. L’uomo può addirittura scorgerne l’odore. Sa che esiterà ancora prima di entrare. Si sta passando freneticamente la mano in mezzo ai capelli, permette ad un bottone di fasciarle il bel seno adesso. E’ un rito che lui conosce bene, di cui ha compreso il senso anni fa. E’ una fibra della sua pelle che si chiude totalmente alla possibilità di respirare quanto di più puro ci sia nel suo angolo di mondo, che si prepara all’inevitabile.
Non ha fretta l’uomo dietro la porta. Abbozza un sorriso triste di chi ha appena perduto il suo ultimo sogno. Tra poco la donna entrerà e allora non ci sarà più nulla da dire.