Confession

Era il massimo; il massimo che ci si potesse aspettare dal vuoto e dall’orrore di quella cosa che si chiama speranza (maledetta mietitrice di illusioni e ipotetici stati benefici).
Iniziavo ad odiare tutto, qualsiasi cosa.
Com’è possibile arrivare a sfiorare livelli di follia così frequenti?
In qualsiasi luogo andassi, era uguale; sempre tutto maledettamente uguale.
Le paranoie, le ansie, l’umore ballerino, gli istinti suicidi, le belle parole buttate nel cesso di un epoca che fa cagare amaramente.
Quante cose siamo costretti ad inventare per un bene comune? Quante fandonie, bugie, strategie effimere e beffarde saremo ancora costretti ad edificare, indurire, produrre, per non essere giudicati, mal visti, non considerati, maledetti od oggetto di inquisizioni?
Il mostro che aleggia dentro di noi, ormai, è a portata di mano; in pugno, sempre pronto agguerrito a insorgere, evadere, aggredire o aggredirsi da solo.
Culturalmente parlando, potrei fare del mio vissuto interiore un lavoro a tutti gli effetti; ma non si campa di questo, non ti pagano per professare il giusto o non giusto, quello che è stato e non sarà.

Inizio ad odiare tutto, quello che di bene o male possa esistere.
Possono l’odio ed il rancore spingere una persona ai limiti della sopportazione esistenziale propria e quella del resto? Certamente.
C’è qualcosa nella testa che non funziona più, che non ha mai funzionato o mai esistito.
La quiete manca da parecchio, amico mio, troppo tempo!
E ogni volta è sempre tutto uguale a ieri, come oggi, sarà anche domani.
Meritocrazia per il bene fatto? Nessuna.
Non esistono né Dio, né la bontà, misericordia, fede, speranza.
Invenzioni dell’uomo per illudere se stesso che qualcosa di superiore c’è; si, sicuramente, noi stessi.