Credere

Credere:
“ Ritenere vera una cosa, avere la persuasione che una cosa sia tale quale appare in sé stessa o quale ci è detta da altri, o quale il nostro sentimento vuole che sia.”
Proprio a Cuba, di fronte ai manifesti del Che, alle sue frasi, incollate sui muri, al suo sorriso, al suo volto, quasi un’immaginetta sacra su oggetti d’uso, ho avuto una sorta di nostalgia nel credere. Quest’atto di certezza, proprio di una stabilità di giudizio e frutto di una elaborazione del nostro cervello. La Chiesa taglia corto e della certezza ne fa un dono di Dio, la fede. Se non c’è, pazienza!  Credere, deve essere una sensazione inebriante, estremamente totalizzante in ogni sua manifestazione corollaria. Ricordo mio padre che mi disse, una sera, sui moli del porto di Genova: ‐“ Era una nave, così, quanto quella. Tutta piena di giovani. C’erano i miei compagni. Credevano in Lui. Massacrati tutti, in Africa, tutti. Non se ne salvò uno. “‐ Possibile che il credere generi chimere così allettanti da non far scorgere gli abissi della vita? Quale luce, quale miraggio sorge nella mente di chi, improvvisamente crede? “ Lo stato nascente”‐ dice Alberoni: l’esplosione iniziale di un innesco di una reazione chimica, difficilmente controllabile. La miccia appena accesa di una mina. Il fascino di una configurazione nuova, inattesa, inimmaginabile.  “FANATICO”, un insulto. Non basta insultarlo, se non mi è chiaro il fuoco che gli arde dentro, quando il kamikaze, s’imbottisce di plastico, salutando moglie e figli, e va a farsi esplodere tra la gente, a lui nemica. Non credo alle novantanove vergini che lo attendono all’aldilà. La religione, in questo compenso, è tristemente terrena. Il sorriso di suo figlio vale ben altro, ma lui riesce a ignorarlo. O la mente del bonzo, che si da fuoco sui gradini del tempio per un’ideale, una protesta, lui, che quando spegne una candela, teme la piccola fiammella.
Nostalgia del credere…in quante cose ho creduto da bambino!  E le più ingenue, quelle travolte da una pronta delusione, sono quelle che sopravvivono negli anni.  Una per tutte: nonno Angelo, teneva sotto il letto, in un paniere, avvolto con maglie di lana, una decina d’uova di gallina. Una mattina, un pigolio nuovo in quella stanza buia, mi annunciò la nascita dei pulcini.  Far credere a un bimbo di quattro anni, d’allora, che bastasse star accovacciato, sul cesto, su altre uova, senza romperle e generare qualsiasi animale, fu cosa facile. Mi ricordo che scelsi da covare da un piccolo uovo, un animale che mi affascinava, l’elefante. Villa Adela per un giorno non ebbe le mie scorribande.