Curiosa

Ero un tipo curioso. Di qualsiasi cosa mi passasse sotto il naso o transitasse davanti ai miei occhi, io cercavo di scoprirne il nome o a cosa servisse o chi lo utilizzasse o il perché del suo passaggio nella mia area percettiva.
Non so, se per sfortuna o per fortuna, i nostri professori erano tutti anziani e, quindi, nel corso dei quattro anni didattici un buon numero rispetto al totale, venne sostituito da giovani universitari e noi tutte ad innamorarci di uno di loro.
Avevano solo qualche anno più di noi, eravamo quasi coetanei perché allora per fare qualche supplenza non c’era bisogno della laurea, bastava essere iscritto all’università, forse non proprio al primo corso, presentare una domandina direttamente al preside e... s’insegnava.
Per le mie amiche Sonia e Paola invece le cose andarono diversamente. Tutti professori titolari che le seguirono dal primo al quarto con notevole ricaduta sui risultati... Forse il fatto che fossero iscritte, rispettivamente alle sezioni A e B, ne garantiva stabilità e preparazione dei docenti, superiore alle altre sezioni?
Nella mia sezione, la D, l’insegnante di matematica credo fosse proprio arrivata alla pensione ma evidentemente non era ancora del tutto fuori dal servizio perché nel secondo anno, e poi fino alla fine del quarto anno, fu sostituita dal giovane e “niente male” figlio del preside del quale tutte le mie compagne, una classe tutta al femminile, s’innamorarono.
Tutte tranne io. Fui più attratta dal giovane supplente di un’altra sezione, che in generale non riscuoteva molto successo  perché non era una bellezza “classica”, più un tipo...
Un tipo alto, carnagione olivastra in volto scarnito, un fisico asciutto e slanciato, mani ossute e dita lunghe. Gli occhiali da miope gli conferivano un’aria da intellettuale che mi faceva impazzire.
Avevamo anche un supplente per l’ambito “Storia dell’arte” e “Disegno”, anche lui con un nutrito seguito di fans.
Erano coscienti del successo che avevano tra noi alunne e, durante la gita a Firenze, si prestarono ad una nostra richiesta...
Si fecero fotografare tutti e tre in un’arcata di Ponte Vecchio: la foto più richiesta e stampata di quella gita.
Si mantenevano, però, le distanze con l’uso del “lei” tra alunno e professore e tra professori e alunni, giovava a questo fine anche un atteggiamento distaccato del docente ... ma non con tutte.
Si vociferava, infatti, di una certa simpatia tra alcuni di loro e qualche alunna più “matura” fisicamente.
Ma a chi, come me, era ancora molto infantile nel modo di porsi e nel pensiero, non venivano riferite tutte le “news” su quello che oggi viene definito “gossip”.
Il supplente di matematica aveva, come gli altri due, il suo buon alone di chiacchiere ma nessuno sapeva chi fosse la fortunata.
La mia aula era un po’ decentrata e poco illuminata visto che le finestre davano sul cortile interno del palazzetto che ci ospitava. Quindi la vista non era granché, si potevano vedere gli alunni che a ricreazione stazionavano o transitavano per il lungo corridoio dove si aprivano le porte delle altre aule più fortunate che avevano la vista su piazza Indipendenza.
Durante una lezione mentre era seduto in cattedra, di quelle con la pedana sotto che le rialzava, il nostro giovane supplente di matematica, cominciò a guardare con intensità fuori dalla finestra.
L’azione reiterata e quasi ostentata suscitò la mia curiosità ma non potevo appagarla perché i banchi erano al di sotto della visuale della finestra: potevo vedere il cielo ma non il corridoio.
Non riuscii a trattenere la mia curiosità: mi alzai e guardai.
Ancora ho negli orecchi l’urlo del professore che urlò:
“Chini!!!!! Fuoriii!”
Le mie compagne si guardarono stupefatte senza capire.
Non avevano capito cosa ci fosse di così grave nel mio alzarmi un attimo per guardare fuori...
Io invece capii benissimo e sapevo, dalla punizione così eclatante (per me che non ero mai stata cacciata fuori o rimproverata con quella intensità), che avevo colto nel segno. Il professore stava guardando qualche ragazza che gli interessava...
Uscii dall’aula mentre si alzava il bisbiglio dei perché delle mie compagne di classe e, appena fuori, mi rifugiai nel bagno perché temevo il passaggio di qualche professore che avrebbe potuto chiedermi spiegazioni.
Una punizione che mi fece soffrire, ero convinta di non aver fatto niente di male...