Dalla parte del lupo

Da che mondo è mondo rappresento la metafora del male. Il leone è il re della foresta, il cane il miglior amico dell'uomo, io sono il lupo cattivo. E basta. Tutta colpa delle favole, dove scrittori dotati di grande fantasia e di accanimento da psicanalisi mi fanno masticare nonnine, insidiare ragazzine, spaventare paesi interi e, quando mi va bene, mi lasciano a crepare impallinato dall'eroico cacciatore di turno. Quando va male invece mi ricuciono la pancia preventivamente squarciata, riempendola di sassi, atterro direttamente da un camino dentro un pentolone di acqua bollente lasciato apposta da tre irritanti porcellini (almeno due dei quali peraltro emeriti imbecilli), vengo dipinto come uno psicopatico che inventa le scuse più ridicole per addentare un ingenuo agnellino che beve al suo stesso ruscello. Una sola volta ho avuto un minimo riscatto, quando mi arrestai di fronte ad un uomo vestito di sacco, pazzo dicevano alcuni, santo altri, e non gli feci alcun male, anzi mi inginocchiai docile docile. Tutti gridarono al miracolo, al prodigio: Francesco ha parlato al lupo ed è riuscito a domarlo. Ma che miracolo, ma quale prodigio. Io ho un caratteraccio, ma bisogna sapermi prendere. Capisco la lingua degli umani, ma prima di allora avevo sempre e solo ascoltato urla di terrore, schiamazzi, colpi di fucile, avevo visto volti dipinti di paura, panico e fughe concitate, avevo sopportato sassate, bastonate e chi più ne ha più ne metta. Quello non fuggì, non ebbe paura: mi parlò pacatamente di perdono, compassione, di amore, mi raccontò di un uomo issato su una croce per lavare certe porcherie commesse da altri e mi convinse: rimasi lì seduto vicino a lui e fu un incontro molto rasserenante. Forse era davvero pazzo, o forse santo, le uniche due categorie che sanno andare al di là dell'apparenza.
Io, vi assicuro, non sono cattivo: essere cattivi implica una scelta tra il bene e il male, ed io questa facoltà non ce l'ho. La natura mi insegna ad essere feroce, ad uccidere per sopravvivere, per mangiare, per non essere a mia volta ucciso. Chissà, forse se avessi conosciuto quel falegname inchiodato avrei porto l'altra guancia come predicava. Nessuno di quei famosi favolisti sottolinea mai quanta cura mi prendo dei miei figli, proteggendoli al rischio della mia stessa vita, rinunciando persino al cibo a loro beneficio, quando la caccia non è proficua e la carestia non concede abbastanza per tutti. Nessuno parla della solidarietà del branco, dove la fragilità dei deboli e l'esperienza dei vecchi viene curata e rispettata, quasi venerata. Vi confesso che un giorno ho sentito la fortissima curiosità di conoscere meglio l'uomo. In incognito, nascosto, tra mille pericoli, mi sono spinto fino ai loro villaggi e ho spiato, cercando di carpire qualche suggerimento per la nostra razza. Ho visto ben nutriti e pasciuti cacciare per divertimento, non per fame, ho visto ben vestiti scuoiare animali per rivestire la propria vanità con le loro pelli, non per freddo, ho visto combattere per scacciare altri da un pezzo di terra,  e a me sembrava che ci fosse spazio a sufficienza per tutti, ho visto perdere ogni traccia di dignità in chi morbosamente inseguiva il potere e il denaro, ho visto i diversi emarginati ed isolati fino a morirne, ho visto figli abbandonati, padri fatti a pezzi, abbozzi di vita congelati, ho visto... ed io, la belva, il crudele, il feroce, sono fuggito. A perdifiato, spaventato, ho guadagnato in breve tempo la via fino al mio rifugio e il respiro, già affannato, si è mozzato di gioia quando finalmente ho riconosciuto le familiari sagome dei miei simili. Se quello è l'uomo, mi sono detto, io sono il lupo cattivo, e me ne vanto.