Death Proof

Chiara e Michele avevano molti amici, ma non era lo stesso. Erano solo loro, Chiara e Michele, gli indissolubilmente legati. Non c’era niente al di fuori di questo. Non era cambiato niente da quel giorno, al liceo, quando Matteo li aveva avvolti in molteplici giri di nastro adesivo.
"Perché voi vi volete davvero bene" aveva detto.
Chiara parcheggiò l’auto nel cortile con una frenata brusca e trovò a tentoni il pulsante dell’ascensore; non accese le luci condominiali, entrò subito nel suo appartamento e richiuse la porta con una lentezza disarmante. Si gettò sul letto, spossata ed inerme, ma non desiderava dormire.
Ripensò alle conseguenze di quello che aveva fatto poche ore prima. All’inizio un forte senso di nausea; si era rimessa in piedi traballando, sentendo braccia e gambe che formicolavano impazzite. Tremava, e questo le impediva di restare immobile in una certa posizione.
Aveva avvertito una fitta allo stomaco, subito accompagnata dall’ansia di rimettere la cena e forse anche la merenda. Si era trattenuta a stento.
In quella camera sconosciuta aveva trovato un letto matrimoniale dirimpetto alla grande libreria di mensole bianche; si era seduta socchiudendo gli occhi. La stanza girava! Ogni oggetto si era animato: la scrivania volevano venirle incontro, il letto ballava sotto il suo peso, il pavimento ondeggiava come una barca nella tempesta.
"Calma" ‐ aveva detto a se stessa ‐ "riprendi il controllo".
Aveva acceso la televisione, ma non ricordava trasmissioni e canali; era rimasta in posizione semi sdraiata ad osservare quella scatola magica per minuti interminabili, col collo contorto verso il parquet. Il cervello ordinava di compiere una serie di movimenti necessari a cui lei non poteva dar seguito. Nessuna fuga. Nessun proseguimento nel piano.
Quello sfortunato stallo l’aveva resa nervosa; e poi c’era il freddo, una fortissima sensazione di gelo nella mani. Sudava gocce di ghiaccio, come un cubetto che si decide a scomparire. Una bolla fredda era esplosa nella sua guancia sinistra e aveva attecchito nella pelle; si era bloccata sul collo, sulla nuca e proprio all’attaccatura delle spalle. Sudava ancora sulla fronte, e sopra le labbra screpolate.
L’ampiezza del letto era una tentazione per stendersi, ma Chiara non aveva ceduto: pensava che mettendosi supina e chiudendo le palpebre a notte, non si sarebbe più svegliata. Aveva resistito, contratto e stretto i muscoli della faccia, sentendo il dolore del piercing fresco al sopracciglio. Quello l’aveva riscossa. Aveva cominciato a nascondere le tracce.
In quel preciso istante, sul proprio letto, con le braccia incrociate sotto la testa, finì di ripercorrere i suoi gesti, scavando fino al più piccolo dettaglio. S’alzò in piedi, quasi soddisfatta, e si diresse al bagno. Seduta sul water non riuscì a svuotare la vescica per un po’, anche se sentiva che ne aveva voglia. Osservò bene i suoi slip per vedere se l’aveva fatta addosso quando aveva cominciato a tremare e sudare. Per Michele lei doveva essere perfetta.
Guardò la sua espressione allo specchio, con un misto di serena compostezza e cieco compiacimento. La prima conversazione si era svolta in questa maniera.
"Io ti amo" gli aveva detto Chiara.
"Provamelo" aveva risposto Michele.
Poi lui si era allontanato in fretta, lasciandola pietrificata sulle scale, incapace di aprir bocca. La seconda volta sarebbe stato diverso.
"Io ti amo" avrebbe detto Chiara.
"Provamelo" avrebbe risposto Michele, per la seconda volta.
Allora lei gli avrebbe stretto  la mano fra le sue e, in silenzio, l’avrebbe accompagnato alla macchina, mostrandogli quel corpo in bauliera.
"Ci credi adesso?" gli avrebbe chiesto. Michele, commosso fino alle lacrime, l’avrebbe abbracciata forte, accarezzandole i capelli, mimando un dolcissimo sì con la testa, a un centimetro dalle sue labbra.