Nera Notte Bianca

È mattina nella mia casa al mare: riconosco chiaramente il terrazzo spoglio di acciaio, mattonelle rosse a copertura, pareti di una strana pasta color crema stantia e forata. Da lì si vede il lungo fiume, con tanto di argini, scorrere di acqua non molto putrida, pescatori e cespugli di macchia mediterranea. Dall’altra parte c’è il paese, di cui si intravedono il ponte e le prime casupole in calde tinte pastello.
Poi un’ombra.
*Ma cosa…*Per un attimo sono sicura di aver visto un’ombra, proprio una macchia di colore più scuro che aveva una forma quasi perfettamente sferica. Era qualcosa di tondeggiante ed enorme: l’ho vista riflessa sulla vegetazione, sull’acqua, sull’asfalto della statale.
*Un’ombra enorme grigia. Voi l’avete vista?*Sto per chiederlo a quelli che sono nel soggiorno insieme a me, intorno al tavolo quadrato e seduti sul divano con motivo floreale. Ci sono mia madre, mio padre e la nonna.
No, nonna è morta.
Nonna se ne sta placida sulla sua sedia di legno molto pesante, attenta a non scucire il cuscino verde a pois bianchi; ha la solita vestaglia da lavoro rossa, di stoffa leggera e legata sui fianchi. E, come sempre, ha le due tasche piene di fazzoletti, aghi e filo per cucire o altre cianfrusaglie che ha trovato in giro e che devono tassativamente sostare un po’ lì prima che si decida a buttarle nell’immondizia. Io non le chiedo niente e lei mi risponde niente.
*Aspetta, anche mamma è morta.*Mamma se ne sta seduta accanto a mio padre ed entrambi sono incollati al teleschermo.
*Non le dico nulla tanto non mi crede.*Mi trovo immobile in mezzo alla stanza. Vorrei parlare, vorrei spiegarmi, ma comincio a pensare di essere invisibile a tutti loro quanto loro potrebbero essere fittizi per me.
È come quando dico che ho visto un Ufo… nessuno ci crede.   Passano le ore. La pareti sono identiche, ci siamo ancora tutti quanti noi. Il grande lampadario della stanza è acceso sulla cerata verde del tavolo che ne accoglie il riflesso. I miei occhi vanno costantemente verso il paesaggio fuori dal terrazzo, dove sono sicura di aver visto e non di essermi ingannata. Poi succede. Torna quell’ombra, solo che adesso possiede un corpo, un corpo gigantesco, una massa e un peso, e non è più possibile che qualcuno possa razionalmente dire che non è vero, che sto sognando.
È enorme.
Mi volto verso il cielo stellato: siamo all’ultimo piano, oltre il soffitto c’è solo il tetto piatto e praticabile.
Cristo!
La sua rotondità è eccellente e buia: ne lascia intuire le dimensioni, ma è notturna, cupa, mi sta facendo gelare il sangue. L’unica estremità luminosa, però, è accecante.
È come un tulipano.
Non è difficile da riconoscere: c’è uno breve stelo incandescente, giallo e arancione; dopo si sviluppano l’asse fiorale, l’ovario, lo stilo e lo stimma. È in fiamme. Questo fiore maschio non è maturo, non ha petali, ma ha lo stesso colore della lava che erutta da un vulcano. È spaventosamente grande e bello, ed è sopra la mia testa.
E si muove.
Non tutto però, solo ovario, stilo e stimma. Sta partorendo. Si gonfia e si ingrossa e poi sputa fuori qualcosa. Non riesco a pensare niente che abbia un senso o sia di una qualche utilità in questa situazione. Il fiore vomita fuori dei globi luminosi, anch’essi giallognoli e incandescenti, che non registrano alcuna particolare mutazione chimica o fisica a contatto con l’aria e l’atmosfera terrestre. Semplicemente, ognuno di essi compie un certo percorso, come se possedesse un’autonomia limitata, e poi scompare nel nulla. Ne vedo uno mangiato dal fiume senza alcuna pretesa, senza nemmeno il sibilo e il fumo che farebbe una meteora se cadesse in mare. Tutto questo non mi preoccupa finché non mi accorgo che i globi caldi stanno provando ad entrare in casa mia.
Cazzo.
Non hanno trovato resistenza con i vetri aperti. Uno l’ho perso di vista vicino al divano. Qua dentro sono ancora tutti immobili. Alla nonna e ai miei questi problemi esistenziali e di sopravvivenza non interessano proprio.
*Forse perché sono morti? No! Papà è vivo. Almeno lui dovrebbe provare a scappare.*È troppo spaventoso, io non resisto. Ho già fatto la spettatrice troppo a lungo.
Le chiavi della macchina! Prendi le chiavi della macchina e scappa.
Non ricordo bene se le ho prese, se ho trovato il moschettone e la maledetta chiave a scatto della mia auto. So che mi hanno fatto spazientire, e quindi me ne sono andata via rumorosamente sbattendo la porta e poi giù sul pianerottolo attraverso le scale. Non ho acceso la luce. I globi che riempiono l’aria sono in numero maggiore, ci pensano loro a far luce. Magari sono innocui. Eppure io sono in preda al terrore, ci tengo alla mia stupida inutile vita, e quindi scappo. Loro possono anche rimanere, io vado. A questo punto è una questione di principio.