Dolcemiele

La vita gli andava scorrendo come un rigagnolo d'acqua dentro la grondaia. Il signor A., un tempo, moltissimi anni prima, era stato ragazzo e aveva avuto anche lui, come alcuni umani, la voglia di guadare il fosso. L'altra sponda gli era parsa l'inizio d'una grande prato dove far crescere qualche sogno, e le molte certezze che aveva.

Perché, il signor A. era un ragazzo introverso e presuntuoso e divenne col tempo, problematico il suo carattere ombroso e nel contempo maligno. Certe sensazioni si imputridiscono nell'anima come ferite infette.

La moglie lo abbandonò per questo suo essere difettosamente uomo. A cinquant'anni si ritrovò solo, incapace di costruire una qualunque relazione d'amicizia.

La sua esistenza si snodava in tristissime liturgie quotidiane: il lavoro davanti allo schermo d'un pc; ricordi sempre più sbiaditi di quell'unico amore; le serate tristissime in casa fuori dal mondo nell'isola in cui viveva.

Accade, nello scorrere dell'esistenza, che il vuoto interiore trasformi l'anima. Non è una regola matematica, ma succede che alcuni di noi, s'incattiviscono per ciò che la vita gli nega ed è allora che il vuoto si colma d'astio, l'anima s'arruginisce e diventa una lama tagliente.

Il signor A. passando gran parte del suo tempo davanti a un display di computer, s'era trovato a scoprire alcuni siti che promettevano amicizie e amori.

Vi si era tuffato a testa in giù, lui che al massimo aveva guadato un fosso, s'era ritrovato a nuotare nell'oceano delle parole, nel mare più grande della terra. Internet.

Il mar d'Internet non aveva affluenti, non sfociava e non nasceva. Era un immenso oceano di parole, di sensazioni, di fantasmi che potevi immaginare. Un grande mare senza barche e vele, dove tutto è immediato e le parole hanno l'effetto di un tuono nel silenzio della notte.

Il signor A. vi si tuffò con quella sua anima contorta, incancrenita da troppe aspettative deluse.

Cadde come un bimbo, nel pozzo delle illusioni sconnesse che spesso nel mar d'Internet, vengono profuse a manciate.

S'innamorò perdutamente d'un nick.

Dolcemiele.

Si scrissero per mesi. Il signor A. aspettava ogni giorno la posta elettronica, come il sole aspetta il tramonto per riposare.

La immaginò quella donna. Immaginò S. con tutta la fantasia che aveva a disposizione. La pensò prima d'addormentarsi, s'ingelosiva se tardava ad arrivargli risposta.

Le scrisse finalmente :

"Ti amo. A."

e allora Dolcemiele gli propose d'incontrarlo.

Il signor A. raggiunse il colmo della felicità, un pò per presunzione maschile e un pò perchè il suo cuore era stanco di stare solo.

Decisero d'incontrarsi in terra di nessuno.

Dolcemiele dichiarava di provenire dal Nord e lui dal profondo sud.

Studiarono via mail attentamente, il tragitto meno complicato per Dolcemiele.

‐ In fondo un minimo di cavalleria nei confronti delle donne è sempre dovuto ‐ pensò il signor A., mentre le scriveva.

Decisero che Roma, per entrambi, era la meta e la città più bella per fissare nei ricordi, il loro incontro.

Al signor A. l'anima s'era rinfrescata da quella brezza d'amore che gli faceva supporre e sognare; fantasticare e desiderare l'incontro.

Dolcemiele, salendo sul treno, si sentì pervadere da una emozione spropositata. Vero che la sensibilità del signor A. le pareva inconfutabile, la profondità dei concetti trasparente; la bellezza di certi versi che le aveva dedicato, erano più di certe promesse sparate come aria fritta dalla bocca.

Però l'emozione le andava soffocando i pensieri, l'ansia strozzava il fluire del piacere d'incontrarlo. Le sensazioni, mano a mano che il treno s'avvicinava alla stazione Termini, si scioglievano nel sudore sotto le ascelle e in quello appiccicoso delle mani.

‐ Avrò una camicia azzurra e i pantaloni grigi. Avrò una genziana blù sopra al quotidiano piegato ‐ aveva scritto il signor A.

Quell'incontro al buio lo eccitava, gli sconvolgeva il ritmo blando dei suoi sensi, addormentati da troppi anni.

Nell'ultima mail, prima d'affrontare il viaggio verso Roma, il signor A., spiegò a Dolcemiele che non cercava avventure.

‐ Voglio trovare qualcuno la sera, quando torno a casa ‐

Al signo A. erano sempre piaciute le donne belle e intelligenti.

Dolcemiele intelligente lo era davvero e se non fosse stata bella, pazienza.

‐ Di notte, al buio, il calore d'un corpo accanto al tuo, la carezza dolce d'una mano sul viso, non hanno bisogno di bellezza esteriore. Sono stanco di stare solo ‐ pensò il signor A. mentre il treno proveniente da Torino rallentava lungo il binario sei della stazione Termini.

‐ Avrò un abito azzurro come i miei occhi ‐ aveva scritto Dolcemiele prima di partire.

Dolcemiele lo riconobbe subito, impossibile non fosse lui quell'uomo con la camicia azzurra e i pantaloni grigi, la genziana blù afflosciata sul quoditiano che reggeva tra le mani.

Gli fu alle spalle che il signor A. roteava ancora lo sguardo tra la folla che usciva dalle porte del treno come una montagna di gelato sciolto.

Sfiorò la spalla del signor A con un lieve tocco della mano e lui avvertì la delicatezza del gesto,e mentre ruotava sulle suole delle scarpe e sul busto, i frammenti di secondo divennero lunghissimi, non passavano mai.

Poi ebbe di fronte Dolcemiele. Finalmente davanti ai suoi occhi.

Il cuore si aprì come una noce di cocco sotto il colpo d'un macete e rimase impalato per lo stupore che lo aveva paralizzato, incapace come gli adolescenti al loro primo incontro d'emettere un suono.

Dolcemiele sorrise da sotto i baffi e guardò il signor A. nel più profondo delle sue pupille.

Forse, se si fossero conosciuti meglio, forse, si sarebbero amati.