Dopo scena

Finisco di ruminare la cena per poi stravaccarmi sull'amaca ad apparecchiare il cielo. L'estate è come un dolore, portato da una notizia, il suo crepuscolo ne è il messaggero. Da ragazzo mi dicevano che ho occhi grandi abbastanza per sopportare il dolore, per riconoscere perfino la foglia che non si muove, mi dicevano che più buia è la terra e più stelle stanno nel cielo. Le osservo, le stelle, mentre ostentano il loro brillare che è solo illusione per i miei occhi grandi di cui uno più piccolo. Ci stanno tutti i miei sogni ad imbandire quel cielo lungo quanto un buffet dove il dolce si mischia al salato. Ci sono vassoi di stelle scondite, caraffe di lacrime che mai arrivarono a toccare pelle, ossa di satelliti dimenticate, mai strette, abbracciate, avvinghiate. All'improvviso un gregge di nubi chiude il sipario, lo spettacolo dovrà proseguire senza il cielo, la terra ha smesso di tremare, solo qualche brivido, di miseria. Se provo a chiudere gli occhi grandi si accenderà una luce, la quale giace negli occhi di un mare che in lei si riflette. La natura costruisce demolendo, l'uomo demolisce costruendo. Forse è per questo che di quando uno muore si dice vada in cielo, solo le anime delle bestie sono di questa terra, della terra. L'uomo crede di essersi talmente elevato che perfino il cielo non lo è abbastanza e pensa in cuor suo che la propria anima andrà ancora più su, che gli spetterà di più, una volta pentito.