Due giorni

 “Poi è arrivata la crisi e la Nulla S.p.a® ha chiuso. Così, da un giorno all’altro, mandando in frantumi tutti i nostri prevedibili progetti futuri e le misere, scontate programmazioni spazio temporali che ci separavano dalla pensione”, ascolto questi frammenti di un’intervista fatta a un operaio cassaintegrato, trasmessa al telegiornale. Ogni sera il momento della cena diviene sempre più amaro. Forse basterebbe non accendere la televisione, ma come resistere alla voglia di essere informati e condividere gioie e disgrazie del mondo?
“ Claudia è pronto!”, il richiamo di mia madre è più forte del mio senso civico. Spengo la tv e mi siedo a tavola. “tesorino come è andata la giornata?”, cinguetta ingenuamente la mia mamma‐bambina. “al solito….siamo in attesa”, rispondo, ripensando alla mattina trascorsa in istituto. Rivivo la sensazione di scoraggiamento provata nel leggere: “Il dottore la vuole nella sua stanza tra cinque minuti”. Un messaggio secco e autoritario lasciato su un post it dalla segretaria personale del mio capo sulla scrivania. La mia mente ricrea perfettamente tutti i frammenti delle ore passate in quelle quattro mura. Come un film trasmesso a rilento, mi rivedo alzarmi e sbuffare, dirigendo lo sguardo verso la scrivania davanti a me. Francesca imbambolata davanti allo schermo che digita come una matta sulla tastiera, come se fosse in piena maratona di calligrafia on line. Apro la porta e m’incammino verso la Direzione generale.  “Buongiorno dottoressa, si accomodi”, esorta il mio capo. Il suo tono è sicuro e formale, “La ho convocata per parlare un po’ con lei dell’odierna situazione”. Si ferma e mi osserva. Provo a pensare qualcosa d’intelligente da dire, ma non capisco a quale delle mille situazioni lavorative si stia riferendo.
“Claudia, ci sei?”, domanda la mamma, “la carne si fredda”.
“Si, si…scusami stavo ripensando all’incontro di questa mattina”, provo a giustificarmi, “c’è qualcosa che mi sfugge…”, ed inizio a tagliare la fettina frastornata dai miei stessi pensieri. “Piccola, cosa ti preoccupa?”, sento i suoi occhi fissi su di me e il tono preoccupato. Socchiudo gli occhi con il boccone in bocca. Mastico automaticamente, provando a rintrecciare i fili spezzati della mia mente.  Sono davanti al mio capo, immobile, consapevole che è giunta l’ora di affrontare la realtà. Rintraccio le sue parole nei miei ricordi: “Mi dispiace, ma poiché non abbiamo ricevuto nessuna lettera di re‐invio da parte della Regione e che voi collaboratori non percepite lo stipendio da diversi mesi, il Direttore generale ha deciso di rescindere i contratti”. Sbarrando gli occhi e cercando di recuperare l’uso della parola ho chiesto: “Quindi Lei ritiene che in questa settimana dovremmo ricevere la notifica del nostro licenziamento?”. Non volevo realmente ascoltare la risposta, ma era dovuto. “Sto cercando di prendere tempo, ma la decisione è stata presa ormai. Temo che la prossima settimana sarete tutti disoccupati. Mi dispiace”.
“Bene, La ringrazio per la sua franchezza”, mi alzo, gli do la mano e mi dileguo.  Deglutisco quel che è rimasto della mia cena, alzo gli occhi dal piatto e affronto la donna che mi ha dato la vita: “Dalla prossima settimana saremo disoccupati”. Lo annuncio con tono neutro, quasi glaciale. C’è l’ho fatta nuovamente, ne sono uscita indenne nonostante le ginocchia che tremano e la sensazione che tutto il mondo giri su di me. Ancora stordita cerco di ritrovare la calma. “ Non preoccuparti, qualcosa mi inventerò”, affermo cercando di rassicurarla, “ora vorrei alzarmi ed andare in camera mia”. Lei mi fissa in silenzio, si alza lasciando la tavola apparecchiata, si avvicina e mi stringe forte sussurrando, “ti voglio bene”. Sorrido e mi avvio nel corridoio. Cerco di mettere a fuoco la situazione: è tutto finito. Da giovane precaria diventerò disoccupata.  Senza più uno spazio dove lavorare, colleghi e stipendio.
Accendo il computer, per distrarmi un po’, per prima cosa decido di controllare la posta: cinquanta messaggi in due ore. Scorro la barra laterale per capire la natura delle email: notifiche di facebook, pubblicità, tutte cose che potrò vedere più tardi. Tra il mucchio, noto un nome: Lorenza. Finalmente mi ha risposto, penso mentre apro la bustina gialla. Ero quasi preoccupata dal suo ritardo ma consapevole della sua pigrizia mentale e fisica.
“Francesca è stata spietata, non ha usato mezzi termini, ha vuotato il sacco. Che era bello pieno e tracimava abbondante merda. Che s’è riversata, tutta, su di me e mi ha colpito e affondato, fino agli abissi, dove c’è un buio pesto. Inutile ribattere, spiegarsi ancora, parlare all’infinito, dare dettagli. Non servirebbe a niente.”
Allibita, rileggo le poche e sintetiche righe riportate sul monitor. Deve essere accaduto qualcosa di grave. Inutile mandarle una risposta scritta, rimarrei con l’angoscia sino alla sua prossima lettera. La chiamo. Afferro il cellulare e digito sulla rubrica il suo nome. Immediatamente appare il numero con il prefisso francese. Spingo il tasto verde mentre cerco di respirare profondamente. Il telefono squilla a vuoto, al quinto squillo risponde la segreteria: “Lolla sono io. Ho appena letto, sono senza parole. Ho voglia di sentirti, chiamami, ti voglio bene”. Attacco.
“Claudia, ti sei addormentata?”, chiede una voce conosciuta alle mie spalle. Mi volto cercando di rilassare il viso e sorrido, “tutto bene, Mamy”, rispondo in automatico. Sento i suoi passi per casa. Nonostante tutto è sempre solare, perché darle altre preoccupazioni? Mia madre vuole bene a Lorenza come una figlia e per oggi ha già ricevuto abbastanza emozioni, non posso raccontarle anche delle scaramucce tra la mia amica e la sua compagna. La mamma è una donna moderna, quando frequentavo il liceo e le ho raccontato per la prima volta di avere un’amica gay, non ha battuto ciglio. Ricordo perfettamente il suo sorriso mentre mi chiedeva dolcemente: “È la tua ragazza?”. Questa frase all’epoca mi spiazzò, non avrei mai immaginato che non facesse storie e soprattutto potesse ipotizzare che sua figlia fosse lesbica. Rimasi senza parole. “Tesoro?”, m’incalzò.
“No no, è solo un’amica. Mi trovo bene a chiacchierare con lei, siamo tutte e due nel Collettivo”, mi giustificai. Conobbi Lorenza durante i primi giorni del ginnasio, ero in cortile con una sigaretta in mano, in cerca di un accendino. La vidi che si accendeva una sigaretta e mi avvicinai, dicendo: “Anche tu!” e lei all’unisono rispose con la medesima frase. Scoppiamo a ridere e incominciammo a ragionare del più e del meno, come se ci conoscessimo da sempre. Solo in seguito chiarimmo la frase del primo incontro: io intendevo: “ anche tu fumi”, e lei: “anche tu qui”. Un piccolo malinteso che ci ha unite per la vita. Sorrido ripensando al passato e decido di scriverle, così mi sentirà vicina.
“Tesoro come stai? Ho voglia di sentire la tua voce.ma hai la segreteria telefonica. Dove sei di bello? Io a casa e stavo ripensando al liceo, alla nostra amicizia. Mi dispiace molto per quello che è accaduto con Francesca ma può succedere che i sentimenti a volte finiscano o semplicemente si decida di ignorarli. Lei è sempre stata meno forte di te. Tu sei bella, sicura di te e del tuo essere. Ricordi il tuo intervento durante la conferenza scolastica sull’integrazione? Ti sei alzata in piedi ed hai praticamente urlato: “ Sono lesbica. E’ la mia natura. Da piccola mi piacevano le bambine e tutt’ora amo le donne”. Tutti rimasero un attimo interdetti e poi ti hanno applaudito. I tuoi genitori non ti hanno mai fatto sentire diversa. Carla e Massimo ti hanno spiegato le varie direzioni che potevi prendere e provato a ipotizzarne insieme le conseguenze. Francy al contrario ha avuto problemi con la sua identità, ha provato a farsi piacere i ragazzi. Si è fidanzata con loro ed ha anche avuto rapporti intimi, senza mai provare piacere. Così ha compreso che i sentimenti non conoscono differenze genetiche, ma in realtà non l’ha mai accettato pienamente. L’ho vista felice solo in tua compagnia nonostante i suoi genitori la abbiano rinnegata da quando convivete. Siete andate in Francia per essere libere. Ma forse lei non riesce ad assaporarne pienamente il gusto. Non incolparti amica mia. Ti abbraccio forte ‐C‐“
Spengo il pc e decido di andare a dormire, questa giornata è stata molto lunga e difficile, troppe notizie tutte insieme.
Drinnnnnnnnnnnnnn
Cerco a tentoni la sveglia. Voglio rimanere nel caldo ovattato del piumone altri cinque minuti.
Drinnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnn
Trovata. Blocco la levetta del suono e…
Drinnnnnnnnnnnnnnnnnnn
Svogliatamente realizzo che non è la sveglia, è il citofono.
“Mamma puoi rispondere?”, urlo dalla mia tana.
Nessuna risposta. Mi alzo mio malgrado, liberandomi dall’armatura del piumino. Lentamente vado verso la porta d’ingresso. “Che bel risveglio!”, borbotto mettendo lentamente un piede dopo l’altro. Arrivata nel disimpegno, mi rendo conto che il suono è svanito. Come se nessuno avesse suonato. Che abbia sognato? Mentre m’interrogo sul mio stato mentale, mia madre mi viene incontro dopo aver chiuso la porta. Ha in mano una lettera aperta e ha il viso chino sul foglio. Un brivido di freddo scivola sulla schiena. La guardo avanzare in silenzio. Quando siamo l’una di fronte all’altra, alza gli occhi verso di me, sono rossi e grandi lacrime le ricadono sulle guancie. “Che cosa succede?”, domando preoccupata. Mi porge il pezzo di carta che tiene cautamente tra le mani. Ancora intontita dal sonno interrotto bruscamente, provo a mettere a fuoco le righe trascritte in modo disordinato: “Lorenza questa notte si è tolta la vita. Ancora non conosciamo bene i particolari, siamo stati avvertiti poco ore fa dalla polizia locale. Vi abbiamo mandato un telegramma perché non abbiamo parole ma solo lacrime. Andremo oggi stesso a riprenderla a Parigi. Vi chiameremo appena possibile per informarvi su ulteriori sviluppi ed il giorno del funerale. Carla e Massimo”