Felicitas

La felicità è come gli occhiali
che cerchiamo mentre li abbiamo sul naso.
Gilbert Cesbron(1)
(scrittore e filosofo francese, 1913‐1979).
  La condizione di felicità non ha radici nel razionale: predisponente è, invece, l'irrazionalità.
Se riflettessimo su ogni forma di gratificazione che genera felicità, questa verrebbe certo compromessa.
La felicità che è sovente avvertita alla fine di una guerra potrebbe essere sminuita così dal ragionamento su quelle che saranno le incognite del futuro, quali la risoluzione dei problemi che sopraggiungeranno circa la disoccupazione, la ricostruzione, le incertezze, vinte tuttavia spesso dall’illusione che l'avvenire sarà migliore del passato...
Un momento felice, per il filantropo, può essere soffocato dal solo pensiero che molti uomini sofferenti non possono essere felici, o non esserlo più.
Il bambino può essere felice, forse, proprio perché appunto non si trova nella condizione di ragionare, come pure il vecchio incosciente o il tarato mentale.
Se è vero che la felicità possa consistere in uno degli attimi fuggenti, come venivano chiamati una volta, potremmo oggi chiamare attimi di incoscienza, o tutt’al più di inconsapevolezza, i nostri momenti felici(2).
L'uomo più è razionale, quantomeno è felice; più ci si attende dalla vita, più questo quid assume una più voluminosa, talvolta irraggiungibile dimensione.
Si può anche aggiungere che, per il conseguimento di momenti di felicità, occorra esercitare, se possibile, non il vano tentativo dell'arresto di quell'attimo fuggente, bensì una sorta di repressione del pensiero deprimente. Potendo.

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(1) ‐ Ma, acquisita ancora a posteriori, riporto pure l’espressione di Ivan Sergeevič Turgenev (1818‐1883) il quale afferma: ‐ “La felicità è come la salute: se non te ne accorgi vuol dire che c'è”.
È un po’ come l’aria che si respira: inodore, incolore, insapore. Non l’avvertiamo, appunto, ma ce ne accorgeremmo, se non esistesse. Anzi... forse non ce ne accorgeremmo affatto!
(2) ‐ I nostri momenti felici ‐ Nel suo piccolo capolavoro (piccolo, ma solo per mole) che ho avuto la gioia di leggere in questi giorni ‐ sto scrivendo la presente nota nel febbraio 1997 ‐, Fëdor Michàjlovic Dostoevskij (1821‐1881) dice giusto al riguardo di questo nostro argomento: ‐ Il sapere è superiore al sentimento; la coscienza della vita è superiore alla vita”. Ed anche: ‐ “La conoscenza delle leggi della felicità è superiore alla felicità” (da «IL SOGNO DI UN UOMO RIDICOLO»). Esasperata modernizzazione e cerebralità, quindi, ai nostri tempi, confortata dalle idee positivistiche che proprio nella seconda metà del 1800 cominciavano a farsi strada e che parevano confortare l’uomo ‐ in un consequenziale quanto implicito allontanamento da una vita semplice e naturale ‐ verso l’inesauribilità delle risorse. Una “età dell’oro” che, come appunto ogni “età”, è, o è stata,
soggetta alle medesime antiche leggi dell’immutabil ciclo vitale, breve o lungo che sia: nascente, giovane, rigogliosa, adulta, matura, vecchia, obsoleta...
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Firenze, mercoledì 11 dicembre 1991 10h37'