Fermata d'autobus

Vedevo i tuoi sguardi, sembravano persi nel filo conduttore di una vita anonima e ribelle.
Passavi distratto con il tempo in tasca che scandiva il ritmo costante del tuo passo fino a rallentare dinanzi alla fermata della 65 rossa, capolinea Linate.
Voltavi il viso abbassando lo sguardo. Ogni giorno ‐ 06,30 ‐ mai un minuto di ritardo.
Era il nostro rendez‐vous, uno spazio sospeso di pensieri distratti dalla meccanica routine del mattino, che si poggiava sui mocassini di camoscio, sul cappotto color cammello.
Guardavo il colletto della tua camicia, nascosto dal maglione, spuntava appena.
Impeccabile, perfetto, inamidato.
‐ Non può essere una donna a stirare le tue camicie, non la tua donna. Troppo perfette, ne sento l’odore di lavanderia, di lavaggio a secco, di vita asettica.
Il tempo rallentava nel respiro che cresceva in affanno, dietro la moviola del tuo viso, maturo, privo d’espressione, appena rivolto, appena reclinato.
Uno sguardo, l’aspettavo e fissavo l’attimo in cui i tuoi occhi mi avrebbero toccata.
Era come una scossa, un attimo d’apnea. Subito abbassavi lo sguardo come se fosse stato tutto già compiuto.
Avrei voluto azzardare una parola, una scusa.
Abbassavi lo sguardo ed il tempo ricominciava a correre, superata l’ultima gamba della pensilina scattavo in piedi, un movimento riflesso, incontrollato, come lo scatto dell’arto galvanizzato di una rana da laboratorio.
Scattavo in piedi, sistemando i capelli, stizzita da quel passaggio senza senso, quotidiano.
Si fermava stridula nei freni la 65, rossa, capolinea Linate.
Un respiro profondo prima di salire, Jasmine era già lì col suo solito sorriso, la solita divisa, la solita frase … “Pronta per volare?”
– Volare, volare … chissà poi dove? Linate Fiumicino e ritorno in 8 ore e non ho mai visto le sue mani.
Appoggio il viso al finestrino appannato di respiri promiscuamente liberati, ti osservo girare l’angolo: “A domani”.