Fine di un sogno

Era un’estate torrida,  a detta del bagnino la più calda degli ultimi vent'anni,  e la vacanza
procedeva a rilento  come un vecchio barcone a motore spento. I miei genitori si arrostivano al sole
leggendo libri che non raccontavano a nessuno  mentre il loro matrimonio  se ne andava dolcemente
alla deriva. Le giornate erano lente  e afose . La musica risuonava per gli stabilimenti mentre le
persone si affollavano sul bagnasciuga. Il caldo era insopportabile quindi si cercava di alleviarlo
con continui bagni e per noi bambini, la concessione di un ghiacciolo in più. La mattina veniva
comprato al baretto nella piazza del paese ed il pomeriggio direttamente in spiaggia. E quest'ultimo era il più buono e ricercato. Il gelataio annunciava il suo arrivo con uno scampanellio. Tutti noi correvamo incontro al banco frigo colorato che nascondeva meravigliosi tesori ghiacciati.
Ogni spazio conteneva un gusto unico: il rosa la fragola, il verde il pistacchio, il bianco la panna, il
marrone la cioccolata ecc. La mattina eravamo in spiaggia, ad osservare il mare chiaro e tirar su
castelli di sabbia sino all'ora di pranzo, poi noi bimbi venivamo trasportati, controvoglia, all'ombra e verso il cibo. Dall'una in poi dovevamo stare buoni, mangiare in silenzio, pena la mancata merenda e sopratutto star lontani dagli adulti. Dopo averci sfamati e messi a riposare, i nostri genitori si radunavano e si rinchiudevano tra  chiacchiere e sorrisi, giocavano a carte per gran parte del tempo.
Poker, scopa, scala quaranta.
Tutti li conoscevano.
I ricordi della mia infanzia mi assalirono mentre passeggiavo per le vie strette del borgo antico.
Volevo andare a visitare il castello degli Orsini.
L'aria dolciastra mi pervase completamente mentre avanzavo sulla salita.
Ad un tratto mi mancò il fiato.
Forse troppi pensieri o il pranzo pesante, avevo ceduto alla gola ed all'aria di vacanza concedendomi uno spaghetto allo scoglio accompagnato da un bicchiere di vino bianco fresco e frizzantino. Dimenticando la mia astemia.
Mi poggio su un muretto in attesa di riguadagnare il completo controllo del mio corpo. Mentre espiro ed inspiro, noto delle scritte nere  sui sassi accatastati e uniti dal cemento. "Cucciolo ti amo", "Ale e 
Jordy per sempre"...segni di un passaggio.
I ragazzi firmano la roccia come l'uomo di Neanderthal,  incise  le pareti delle caverne. Segni
indelebili di un  passaggio. Cambiano i secoli, passano le ere ma l'istinto umano è sempre lo stesso.
Me ne rendo conto ancor di più quando effettuo studi sui ritrovamenti antichi. Ogni pezzo
rappresenta il frammento di una vita, ogni utensile, oggetto, racconta una storia. Il mio lavoro è
scovarla e narrarla ai posteri.
L'archeologia è una delle poche discipline che riesce ad unire in un addizione completa e perfetta
passato, presente e futuro.  Venni distolta dai mie pensieri da un rumore e perché in  mi sentivo
osservata. Non è una sensazione a me sconosciuta, essendo una donna . Sia socialmente che
lavorativamente sono abituata ad avere l'attenzione dei miei interlocutori focalizzata su di me. Ma
quando questo capita inaspettatamente, mentre sono sola con i miei pensieri, questa sensazione mi
innervosisce. La vivo come una invasione dei miei spazi. Virginia Wolf aveva una stanza tutta per
sé, io amo i prati  infiniti offerti dalla natura. Quando ho voglia di rimettermi in linea con il mondo
o solamente schiarirmi le idee, osservare le foglie e le loro sfumature, alzo il naso verso il cielo e mi
perdo nella sua immensità. Tutto  mi trasmette un tale senso di libertà assoluta che tutti i piccoli
quotidiani si dissolvono.
Mi guardo in giro infastidita in cerca del soggetto della mia distrazione. Intorno vedo solo le
rovine del borgo medievale, ma nessuno per la strada. Incuriosita continuo a girare lo sguardo,
domandandomi se sia impazzita. "bip bip", il cellulare mi distoglie dalla mia ricerca, lo estraggo
dalla borsa e apro la bustina lampeggiante. Leggo velocemente il testo e mi riprometto di rispondere
al più presto.  Non voglio perdere di vista il mio obiettivo. Ripongo il telefono e mi incammino
verso l'entrata del castello. La grande inferriata mi osserva muta e piena di ghirigori. Le ante sono
chiuse da un lucchetto.
Non sono arrivata in tempo per una visita all'ultimo minuto. Quindi torno sulla strada quandosento una voce: "Miriam?"...mi giro di scatto...e....ritrovo il mio passato dinanzi a me! Avevo
diciassette anni, voglia di amare e scappare dalla routine. Musica. Feste illegali, canne. Tutti i flsah
di quel periodo mi passano dinanzi come una pellicola trasmessa a  velocità ridotta. I miei capelli
colorati, le mie smorfie e la mia durezza esterna che nascondeva una grande fragilità.
"Tommaso?!"...ancora incredula dell'incontro, mi avvicino alla figura maschile che mi osserva
incuriosita. Lo saluto con un bacio sulla guancia mentre lo guardo, è ancora alto, moro con i ricci
ribelli e gli occhi di un verde profondo. Quanto volte mi sono persa in quell'immensità. Ogni frase
letta e discussa insieme era una conquista. La prima volta che mi prese la mano nella sua, pensai di
morire. Per lui rinunciai alle unghie viola, alle canne e..mi adattai allo smalto rosso e le sigarette.
Compromessi della coppia. Che non avrei mai più ripetuto. Lui era stato il primo amore,  colui che
ti fa provare le così dette  farfalle nello stomaco, passare ore osservando il telefono che non squilla
mai. Quindi ogni tanto provavo a prendere la linea da un altro apparecchio per assicurarmi che non
fosse staccato o ancor peggio occupato. In quei due mesi trascorsi insieme, avevo colonizzato il
telefono fisso di casa, il citofono e pure la cassetta delle lettere. Nessuno dei miei familiari era
autorizzato ad usufruirne previa autorizzazione della sottoscritta. In caso di disubbidienza, armavo
un casino di urla, pianti e lamentele. I miei genitori stettero al gioco, imputando la colpa
all'adolescenza. All'epoca non esisteva internet, il cellulare ecc...ai mie tempi si recapitavano lettere
d'amore, si doppiavano le cassette musicali sulle quali si apportavano dediche ad hoc e colorate. Gli
anni 80...un altra epoca. Rivivo tutto ciò mentre Tommaso è davanti a me, bello come non mai.
"Che coincidenza incontrarci qui. Sei di passaggio?". Le sue parole mi riportarono alla realtà. Due
trentenni che non sanno nulla dell'altro....ma.... perché avevo voglia di parlare con lui? Di
raccontarci le nostre vite? ...semplice curiosità o voglia di una svolta?
E si perché la vita a volte è strana e crea degli eventi proprio per metterci alla prova. Chissà se
magari da questo incontro fortuito, capissimo che è stato un errore lasciarci?anzi, che lui lasciò me?
che in realtà questi anni sono passati proprio per farci capire il valore della nostra coppia? "si, sono
venuta a trovare i miei genitori", rispondo mentre mi accorgo che mi sono nuovamente persa....la
mia memoria congela e scongela a suo piacimento, come un freezer rotto, e la fantasia ne approfitta
per volare in alto o allearsi con la speranza. Non riesco a concludere un discorso con un amico
senza incepparmi o incappare in pericolosi silenzi. La digestione della mia vita è lenta, anzi
lentissima, così nei momenti meno impensati si blocca o va avanti senza che me ne accorga. E  mi
ritrova persa e sola. Il mio psicologo afferma che è una malattia guaribile. Ma già il terminemalattia‐, non mi convince. Non ho la febbre, né una disfunzione o un eritema, soffro solo di
pensieri in libertà. Nascono, viaggiano e volano nella mia mente. Semplice.
Eppure tutto ciò, mi blocca nell'interazione con gli altri. Certo, in ambito lavorativo riseco a
chiudere le porte stagne e sono attenta e disponibile. Con il mio micro mondo personale, però, le
porte rimangono socchiuse. Come adesso. Tommaso mi sta parlando da un po’, ma non sento le sue
parole, mi limito a fissarlo negli occhi e annuire o fare un sorriso di circostanza. Ogni tanto  penserà
che soffro di qualche tic o paresi.
"Papà!"
Una voce infantile urla per la vietta di sassi ed una figura piccola ed esile con le braccia allargate
si dirige correndo verso Tommaso.
Fine di un sogno.