Gli sposi di Auschwitz

La guerra imperversava inesorabile, per le strade non si udiva altro che il rumore dei fucili e delle bombe che frequentemente venivano lanciate. La gente era costretta a barricarsi in casa per evitare di incappare in qualche colpo d’arma da fuoco. Quasi nessuno però riusciva a sottrarsi alle persecuzioni delle S.S. e ogni giorno erano sempre di più le persone che raggiungevano il campo di sterminio di Auschwitz. C’erano proprio tutti: uomini, donne e persino bambini i quali venivano completamente strappati alla loro identità e improvvisamente catapultati in un mondo fatto di crudeltà e di orrore. Lo spettro della morte viveva quotidianamente con loro poiché temevano di essere uccisi da un momento all’altro.
Un giorno, a bordo del convoglio che trasportava l’ennesimo carico di prigionieri, vi era Carlo; un giovane di circa vent’anni di origine calabrese strappato alla sua terra e alla sua famiglia e destinato a diventare un’altra delle numerosissime vittime prodotte dal secondo conflitto mondiale.
Nonostante la giovane età, Carlo era un grande lavoratore; già da piccolo infatti aiutava spesso suo padre nel suo lavoro di falegname e, molto presto anche lui avrebbe imparato a svolgere brillantemente questa professione. Quella di Carlo era una famiglia piuttosto povera e non poteva permettersi di mantenere agli studi il giovane.
Il ragazzo ancora non immaginava il destino che lo attendeva una volta entrato all’interno del campo di sterminio; egli credeva infatti di essere stato condotto lì per continuare a svolgere il suo lavoro ma fu immediatamente smentito quando uno dei capi delle S.S. si presentò nel piazzale del campo per controllare quanti fossero i nuovi arrivati. Erano davvero tanti, tutti allineati come un grande esercito e nei loro occhi si leggeva la paura di chi stava per prepararsi ad un destino sicuramente tragico.
Carlo sembrava essersi reso conto di tutto ciò che stava accadendo e le sue sensazioni vennero confermate non appena alcuni militari delle S.S. lo condussero, insieme ad altri prigionieri, in una modesta stanza con soltanto un misero letto in cui tutti erano costretti a dormire come dei veri e propri ammassi di carne umana.
Anche il cibo che ottenevano lasciava molto a desiderare; ogni giorno infatti Carlo e i suoi compagni di sventura mangiavano soltanto un pezzetto di pane stantio e un po’ di brodo dal sapore molto sgradevole. La sveglia per Carlo e per tutti gli altri prigionieri suonava alle cinque del mattino e immediatamente cominciava per loro una nuova giornata di duro lavoro. Il giovane Carlo sembrava essere stato preso di mira dai militari delle S.S. i quali lo sottoponevano ai lavori più faticosi ma lui non osava mai ribellarsi alla loro volontà perché sapeva che sarebbe andato incontro a torture molto dolorose. La vita all’interno del campo di concentramento diventava ogni giorno più dura ed era sempre più frequente udire colpi di fucile indirizzati a coloro che venivano ammazzati come altrettanto frequenti erano le urla di disperazione dei prigionieri vittime di torture. Da quel luogo inoltre era impossibile qualsiasi tentativo di fuga, infatti, chi in passato aveva provato a fuggire, si era immediatamente trovato di fronte due guardie con i fucili pronti a sparare in qualsiasi momento.
Erano ormai trascorsi alcuni mesi dall’arrivo di Carlo ad Auschwitz e per lui le speranze di sopravvivenza diventavano sempre più tenui; un giorno però fece il suo ingresso all’interno del campo di sterminio una persona che riuscì parzialmente a distogliere l’attenzione del giovane falegname dall’orrore a cui quotidianamente era costretto ad assistere. La persona in questione era Maria, una ragazza poco più che ventenne anch’ella come Carlo di origine calabrese e figlia di agricoltori. In un primo momento nemmeno la giovane donna sapeva che cosa il destino le riservasse una volta arrivata lì ma guardando i severi volti dei militari delle S.S. avvertiva che quello era un luogo tutt’altro che tranquillo. Appena lo sguardo di Maria incrociò quello di Carlo, il giovane rimase letteralmente rapito dalla lunga chioma bionda della ragazza e dai suoi splendidi occhi azzurri. Fu così che tra i due nacque immediatamente un sentimento di tenera amicizia e man mano che il tempo passava, sembrava che i due non potessero più fare a meno di stare insieme anche se erano costretti a vedersi di nascosto e per pochissimi minuti. Durante il brevissimo tempo che trascorrevano insieme i due ragazzi chiacchieravano del più e del meno raccontandosi le loro rispettive storie; entrambi provenivano dalla Calabria e man mano che la loro conversazione andava avanti Carlo e Maria scoprivano di avere tantissime cose in comune. Talvolta Carlo, quando si sentiva lontano dagli occhi indiscreti dei militari delle S.S., riusciva persino a rubare a Maria un affettuoso bacio sulle sue labbra. Carlo stava imparando a conoscere Maria sempre di più e la sua permanenza all’interno del campo di sterminio sembrava in parte alleggerita da quella ragazza che fin dal suo arrivo aveva conquistato il suo cuore.
Nonostante tutto però la barbarie ad Auschwitz era senza sosta; ogni mattina i prigionieri si alzavano prestissimo per svolgere lavori molto umili e duri e chi osava ribellarsi alla volontà delle S.S. pagava a caro prezzo il suo rifiuto; spesso infatti i prigionieri ribelli, dopo essere stati barbaramente uccisi, venivano bruciati nei forni crematori in modo che di loro non restasse altro che cenere.
Oltre che con la bella e dolce Maria, Carlo aveva stretto amicizia con Pasquale, un suo coetaneo napoletano ma purtroppo questo legame durò davvero molto poco. Pasquale infatti aveva infatti sfidato un militare delle S.S. ribellandosi ad un suo ordine e questi non esitò nemmeno per un momento a fucilarlo. La perdita di questo carissimo amico gettò Carlo nello sconforto più profondo anche perché egli temeva che prima o poi sarebbe capitata anche a lui la medesima sorte. Fortunatamente Maria era al suo fianco e in qualche modo cercava di rendergli la vita meno difficile in quel luogo dove la sopravvivenza era quasi impossibile.
Il destino però si dimostrò tutt’altro che benevolo nei confronti dei due giovani amanti. Una mattina infatti Carlo si sentì male, il suo peso si era notevolmente ridotto a causa della scarsa alimentazione e quando i militari delle S.S. lo esortarono ad alzarsi dal letto il giovane riuscì a stento a muovere entrambe le braccia.
‐ “Non riesco ad alzarmi, sto male!” disse Carlo in preda alla disperazione; a queste parole di Carlo uno dei militari replicò con tono molto severo:
‐ “Ti aspetti che io ci creda? Alzati e raggiungi gli altri”.
Carlo stava davvero molto male quel giorno e non sapeva proprio cosa fare per convincere quel militare della veridicità di ciò che diceva.
I giorni passavano e Carlo peggiorava a vista d’occhio; questa volta nemmeno le premure di Maria erano sufficienti a tirarlo su. Sembrava che il terribile spettro della morte stesse ormai per divorare la vita del giovane falegname calabrese. Nonostante tutto però l’amore per Maria riusciva in qualche modo a tenerlo in vita e fu così che Carlo, resosi conto che ormai non poteva fare più a meno di quella dolce fanciulla dagli occhi azzurri, le fece un’importantissima richiesta destinata a cambiare la vita di entrambi.
‐ “Mia dolcissima Maria” sussurrò Carlo “tu mi hai aiutato a sopravvivere in questo maledettissimo luogo e ogni giorno che passa mi accorgo di quanto tu sia indispensabile per me; per questo prima che la morte mi separi da te vorrei che tu diventassi mia moglie”.
Nel sentir pronunciare queste parole, la ragazza non potè fare altro che accettare questa importante proposta e, con il cuore gonfio di commozione rispose:
‐ “Come posso dirti di no mio amato Carlo, anche tu sei stato fondamentale per me e sono disposta a sposarti anche subito”.
L’indomani la cerimonia nuziale si svolse in una chiesetta non lontana dal campo di sterminio. Non era la cerimonia che Maria aveva sempre sognato per il suo matrimonio; tutto infatti era piuttosto triste e gli unici invitati erano alcuni militari delle S.S. arrivati per sorvegliare i due prigionieri. Le forze di Carlo erano ormai arrivate al limite e sull’altare il giovane riuscì a stento a pronunciare il “sì” che lo avrebbe legato per sempre alla sua amata.
Alcuni giorni dopo il matrimonio uno dei militari delle S.S. accortosi delle precarie condizioni del giovane Carlo, compì un gesto che nessuno si sarebbe mai aspettato: liberò i due giovani sposi indirizzando Carlo in uno dei più importanti ospedali della Germania affinché potesse guarire al più presto dalla sua malattia affidandosi alle cure dei migliori medici tedeschi.
Dopo alcuni giorni di degenza Carlo e Maria poterono finalmente fare ritorno in Calabria e riabbracciare i rispettivi parenti. I due giovani, ormai conosciuti al loro paese come gli sposi di Auschwitz, andarono ad abitare in una splendida tenuta situata nelle campagne calabresi e poterono così iniziare una vita serena dimenticando man mano ogni singolo attimo di terrore vissuto all’interno del campo di sterminio. Il ritorno a casa della giovane coppia coincise anche con la definitiva fine delle ostilità e Carlo e Maria poterono tirare un ulteriore sospiro di sollievo consapevoli che la paura di morire la quale per molto tempo li aveva assaliti, questa volta li aveva abbandonati per sempre.