Goodbye

La cosa che aveva tra le mani emise un latrato. O quello le sembrò, per quanto potesse importarle. L'unica cosa certa era che, qualsiasi fosse stato il verso giusto da attribuirgli, stava senz'ombra di dubbio soffrendo.
Le aveva artigliato le braccia nel vano tentativo di fermarla, ma i colpi erano andati a segno ugualmente. Inevitabilmente.
Il suo sangue s'era mischiato a quello della cosa, scorrendo lungo gli arti, imbrattando il bianco immacolato del pigiama che indossava. Ad un certo punto era riuscito a sfuggirle. L'aveva inseguito sotto al letto, afferrandolo per quella specie di manto che usava rivestirne il corpo. Altri latrati erano seguiti, altri singulti, altre urla quando aveva compreso d'essere impotente a quelle percosse, a quella violenza, a quell'ira.Aveva provato a sfuggirle optando per l'armadio. Non si sarebbe mai azzardata ad inseguirlo al buio. Si sbagliava.
Il colpo che gli sfondò il cranio arrivò più velocemente della sorpresa.
"... Cosa stai facendo?".Non s'era accorta delle luci che erano state accese nella sua camera.
Fece un passo indietro portando con sè la mazza da baseball, su cui cadde inevitabilmente lo sguardo circospetto della donna.
"Ho ucciso uno scarafaggio, mamma."
Gli angoli della bocca della donna salirono a formare un sorriso.
"Nell'armadio? Da sola e al buio? Non c'era il tuo uomo nero, lì dentro?".
Il tono canzonatorio con cui furono propinate le domande penetrò appena le orecchie impassibili della bambina.
Sorrise scanzonatamente, con un modo di fare che non le era mai appartenuto, facendo rabbrividire la donna che aveva davanti.
"Non più."