I miei radical chic di sinistra

Orlando nel '98 andò a Baghdad. Mi sembra che in tutto ci sia andato un paio di volte.
Per il compleanno gli regalai una camicia di Armani presa da Biancullo a via Mazzini (o lì è già via Paolo Baratta?).
Lui se la guardava e toccava tutto contento e disse che l'avrebbe indossata per il discorso che doveva tenere alle Nazioni Unite (beh, immagino una sede o qualcosa del genere, era a Baghdad, non a New York).
Quando ci aveva annunciato di quel viaggio, il primo pensiero che avevo avuto era stato: "E' più facile volere bene ai lontani che ai vicini".
Cinque anni prima mi aveva comunicato: "Io con i vostri problemi non voglio essere scocciato".
E quando vidi quell'entusiasmo di fronte la camicia pensai: "Curioso (odd) come i comunisti vadano in visibilio di fronte a cose borghesi come un capo di abbigliamento di marca" 
Non avevo ancora imparato a guardare la trave nel mio occhio, invece che la pagliuzza nell'occhio dell'altro.

Tempo dopo Orlando ci inviò un suo articolo, pubblicato sulla rivista di "Un ponte per Baghdad", associazione diventata poi "Un ponte per ...". 
In questo articolo ci faceva immaginare come anche la nostra vita, fatta di ufficio, problemi per i figli, potesse svolgersi sotto le bombe. 

1993.Orrore!
Bombardano Bagdad!

  1. Guarda che stanno bombardando tua sorella.
    E chi se ne frega, anzi fanno bene, li appoggio.
    Il primo a bombardarla sono stato io.
    E poi guarda, non è vero. E' lei che bombarda.
    Ed è una vita che se ne è sempre lavata le mani.
  2. Orrore!
    Per la guerra in Siria, ci sono migliaia di profughi!
    Guarda che tua sorella ha portato le sue bambine lontano da casa per non farle perseguitare dai parenti e vicini.
    E che me ne frega. Glielo avevo detto anch'io: "Non ti trovi bene là? Vattene!"