Il giardino di Ada

Le onde si infrangevano sui suoi pensieri, come lame affilate… quasi a ritorcersi sul suo ostinato negarsi al passato.
Ada, come le orme fatue sulla battima, cercava di lasciarsi alle spalle le beffe della vita.
Era sola, ma non si sentiva tale. Con gli anni e le varie traversie sentimentali che avevano imbastito diverse fasi della sua vita, aveva deciso di allearsi con quell’isolamento, che tutti, specie gli amici e colleghi le rimproveravano.
In particolare Anna, una sua collega insegnante, le sottolineava con palese dissenso, la sua indissolubile rassegnazione che ormai perdurava da ventotto anni.
Più volte Ada si era soffermata sul significato del destino, voleva crederci… voleva credere in modo assoluto, nell’incanto dei sentimenti e dei buoni valori che fino ad allora, pochi eletti come i suoi predecessori, avevano avuto l’occasione di vivere.
L’anno scolastico stava per giungere al termine e lei, da tutti designata come un insegnante un po’ fuori dalle righe, per il suo modo eccentrico e spensierato di insegnare, pensava ad un saluto speciale per la sua terza liceo, che da li a poco si sarebbe approcciata agli esami di maturità.
Era una classe speciale diversa dalle altre che aveva ereditato precedentemente.
Molti dei suoi studenti avevano riversato su di lei un insolita confidenza, cercando più volte, attraverso le sue esperienze, di avere risposte esaustive e confortanti sulle loro visioni distopiche.
Col pensiero, Ada li aveva sempre accarezzati in quel loro dimostrarsi fragili, esageratamente introspettivi e si arrabbiava dentro di se per una società distorta, disgregata da prepotenti confronti esistenziali e da logiche contemporanee preconfezionate per un obbligato quieto vivere.
Spesso si trovava in difficoltà in quel ruolo di pseudo psicologa, di risolutrice di rebus complicati, ma capiva anche l’importanza del suo riferimento, di quel ruolo salvifico che i suoi studenti le attribuivano.
Pensava a cosa sarebbe stato di loro, dei loro sentimenti e dei loro sogni…un domani, in una quasi virtuale quotidianità.
E comparabilmente associava a questo loro insaziabile interrogarsi, le sue pregresse disillusioni; cercava un nesso, un parallelismo intuitivo/ profetico che avrebbe salvato lei da una ristagnante rassegnazione e i suoi ragazzi da una squallida solitudine.
I giorni volavano, le sue cognizioni culturali a cui spesso si aggrappava per lenire le sue paure, le sfuggivano come pesci guizzanti nell’acqua.
A quale pensiero filosofico o letterario abbarbicarsi, quale insegnamento spirituale poteva assolvere  questi dubbi?
In questo rimuginare palinodico, si acutizzò in lei un perfetto dualismo esistenziale tra il pensiero di Socrate e quello di Hannah Arendt. Entrambi, con veemenza, più di altri si erano chiesti il perché della fragilità di certi valori, della mente umana, dell’omologarsi a tutti i costi al più forte, a certe mode per poi mortificare prima noi stessi e poi cinicamente gli altri.
L’ultima sua lezione per quell’anno, era alla prima ora. Arrivò presto con la sua solita cartelletta vissuta, in un tubino celeste tenue, quasi a voler emulare un cielo limpido, sgombro da qualsiasi presenza oscura o disarmanti paure.
L’aula era ancora vuota e ne approfittò per lasciarsi andare all’irrefrenabile desiderio di accarezzare quei banchi scarni e allo stesso tempo, eccellenti custodi delle loro emozioni.
Quante cose avrebbero raccontato se avessero potuto parlare e quante vessazioni, distinte da pasticci e orripilanti scritte avevano sopportato. Nel loro composto silenzio avevano subito le loro rabbie, i loro sotterfugi e i plateali sfoghi.
Ada li guardava con tenerezza e si associava un po' a quel loro gravoso ruolo di sacrificale accoglienza.
Il brusio dei suoi studenti nell’accomodarsi in classe, però,la distolsero repentinamente da quelle intricate analogie e si concentrò sulla sua delicata missione. Salutò tutti con evidente commozione e con altrettanta emozione, dopo un profondo respiro, iniziò a dispiegare quei concetti che aveva ben legato alla sua mente, come vele agli alberi di una nave.
«Cari ragazzi, oggi sono felice come non mai di condividere questo momento insieme a voi. Siete bellissimi… dalla mia cattedra, vedo dei fiori, dei fiori delicatissimi che stanno per dischiudersi alle intemperie della vita. Tante volte vi siete affidati alle mie esperienze e al mio paziente ascolto, nella speranza di trovare risposte immediate. Non so se sono riuscita a trasmettervi le chiavi giuste per aprire quel buio che spesso vi attavanagliava…spero, però, di avervi trasmesso la volontà del coraggio.
Non siate fragili,non omologatevi alle ideologie e agli pseudo valori degli altri, ma abbiate il coraggio di credere nel vostro “io”. Quell’io che esiste fin dalla nascita e che pian piano perdiamo inconsapevolmente, perché crediamo che il più forte sia chi segue la massa e la stupida esteriorità. Gioite del vostro essere, del vostro imperterrito incuriosirvi, delle vostre insicurezze e delle vostre sconfitte, perché dalla loro consapevolezza rinascerete più forti e dispensatori di bellezza.
Quando vi sentirete soli, disarcionati, ricordate Socrate e la sua caparbietà nell’insegnarci la valenza del nostro essere, prescindibile da ogni inquinamento esteriore. Abbiate sempre il coraggio di ascoltarvi, di inseguire i vostri sogni, i vostri desideri e abbiate misericordia dei vostri errori quanto degli altri.
Se riuscirete a ritrovare quella libertà di essere indulgenti con chi vi ha fatto del male cercando di scavare nei perché nei loro comportamenti, troverete più gioia nei vostri cuori e più forza nelle vostre azioni. Custodite intensamente i concetti della Arendt…la quale ha saputo spiegare, con invidiabile sfida verso  radicati e finti moralismi, come un impossibile perdono verso chi ci ha fatto del male, possa costituire lo specchio delle nostre fragilità e perpetue precarietà. Se noi riusciamo ad intravedere i limiti degli altri nei nostri, solo allora potremmo ritenerci all’altezza di questa vita e delle sue imprevedibilità.
Vorrei augurarvi tante cose, ma sono consapevole che sarebbero concetti desunti da ovvie circostanze, rischiando anch’io di omologarmi a tutti coloro che sfacciatamente dispensano consigli sul vostro futuro.
Spero, anzi, promettetemelo, che portiate nel cuore questi concetti e che vi siano di conforto in quei momenti in cui cercheranno di sottrarvi la vostra purezza e unicità.
E siate profumo di vita per voi e per gli altri come io ho cercato di esserlo con voi.»
Un lungo e scrosciante applauso pervase l’aula, spezzando quel consueto silenzio mattutino che per diversi mesi scolastici, aveva accompagnato il loro percorso didattico.
Tutto era così bello e vivo e la commozione dei suoi ragazzi, Ada l’avrebbe custodita sempre nel suo cuore, come un giardino rigoglioso di fiori profumati.