Il manipolo

All'interno dell'angusta stiva di carico ‐ avvolta nella fredda penombra, per evitare l'eccessiva l'emissione di calore e i rischi di un possibile avvistamento ‐ sei uomini sedevano immobili mentre mormoravano un incomprensibile mantra meditativo.
Intanto nella cabina di pilotaggio, i due piloti gurionesi tenevano sotto controllo la rotta per la loro destinazione  mentre davanti a loro le spesse nubi in quota e il buio della notte li avvolgeva, rendendo impenetrabile l'orizzonte.
«Che avranno mai da cantilenare?» borborrò uno dei due ufficiali ebrei, mentre di sottecchi osservava i passeggeri.
«Fregatene! Abbiamo l'ordine di scortarli sull'obiettivo e di recuperarli una volta terminato il lavoro... Cosa fanno e come lo fanno non è affar nostro!» replicò il collega, intento a fare il punto con gli strumenti di bordo.
«Ma li hai visti come sono conciati? Vanno in giro con quel saio arancione, a piedi nudi e senza armi a energia e pensano di far saltare quell'installazione, tra le più impenetrabili della galassia, con cosa... Con le preghiere?» lo rintuzzò il copilota, senza nascondere lo sbeffeggio nella sua voce.
Ma il pilota gurionese venne richiamato all'attenzione degli strumenti di bordo, che iniziavano a segnalare l'approssimarsi della meta, abbarbicata sul dirupo di una montagna isolata, dove la multinazionale Kama Industries aveva installato un laboratorio per la produzione di una nuova stirpe di uomini‐bestia che avrebbe potuto segnare le sorti delle battaglie dell'intero settore.
Là, gli uomini della Galaxiacorp avevano installato una moltitudine di sistemi difensivi automatizzati e centinaia di robot sentinella erano di guardia al laboratorio dove un piccolo gruppo di scienziati era segregato in quel luogo inaccessibile per portare a termine l'avvio in serie della produzione dei nuovi cloni da combattimento, nel disperato tentativo di porre fine all'avanzata delle religioni nel Braccio di Orione.
Scopo della missione era quello di fermare l'immonda manipolazione genetica o, almeno recuperare il maggior numero di informazioni sull'installazione al fine di organizzare un massiccio attacco nella zona, prima di dover fronteggiare sul campo questa nuova minaccia infernale.
Per questo motivo i capi religiosi si erano affidati alle riconosciute capacità dei monaci Shaolin che più e più volte si erano distinti in battaglia per le loro capacità individuali nel combattimento e nell'infliltrazione dietro le linee nemiche.
«Tra dieci minuti siamo sull'obiettivo!» esclamò il comandante del vascello, rivolgendosi ai passeggeri.
Immediatamente il mantra si interruppe e con breve inchino i monaci terminarono il loro rito di preghiera con assoluta calma e mestizia, sfilandosi all'unisono le cinture che li assicuravano allo strapuntino su cui erano a malapena appoggiati durante il viaggio, per iniziare la vestizione delle tute alari che avrebbero utilizzato per planare sull'obiettivo.
Mentre i monaci si stavano apprestando a uscire dal mezzo, il loro comandante si avvicinò ai due piloti esordendo, con tono pacato: «Appena vedrete il fumo salire dall'installazione, dateci venti minuti per uscire dal complesso e atterrate nel luogo convenuto».
«Ma siete sicuri di quello che state per fare? I nostri strateghi hanno previsto non meno di un paio di divisioni corazzate e il supporto di due navi da guerra per piegare le forze di difesa...» intervenne il copilota, tentando di far rinsavire i buddisti da quell'apparentemente insano piano d'attacco.
Ma il monaco pacatamente lo interruppe, citando il Buddha: «Fra chi vince in battaglia mille volte mille nemici e chi soltanto vince sé stesso, costui è il migliore dei vincitori di ogni battaglia...».
Poi sorrise e si diresse sicuro verso il portellone di lancio, lasciando ai due piloti sbigottiti di fronte a quella risposta criptica il compito di dargli il via libera per il lancio.
Appena il portellone aveva terminato di aprirsi del tutto, uno ad uno i monaci si lanciarono nel buio, inghiottiti in in un istante dalle nuvole dense che avviluppavano ogni cosa.
I due gurionesi restarono in attesa, sulla stessa rotta per diversi minuti, monitorando con gli strumenti di bordo l'installazione. Iniziarono poi a scorgere l'intensificarsi delle attività sulle mura di cinta della fortificazione.
Come previsto dal monaco Shaolin, un'esplosione si sprigionò dall'interno dell'impianto e una coltre di fumo nerastra come un vessillo di vittoria iniziava a inerpicarsi verso la loro posizione.
«Quei monaci ce l'hanno fatta...»  esclamò il copilota esterefatto.
«Già! Ora andiamo a vedere se abbiamo ancora qualcuno da portare a casa...» commentò sarcastico il comandante, mentre impostava la rotta per il rendezvouz.