il mercatino degli organi usati

Il mercatino degli organi usati.


Era il sabato mattina di una ridente e bla bla. Non vi annoio con la solita tiritera in salsa prosastico‐
poetichese, in quanto so benissimo che darete una rapida occhiata all’intro, vi soffermerete al centro, come se questo contenesse il sugo del racconto, per poi svogliatamente leggere il finale con l’occhio “appannacchiato” del critico provetto.
Quel sabato, Eulalia, ‐ solo per averle dato il nome, la madre della ragazza, avrebbe dovuto scontare due anni ai domiciliari‐ prese la meditata decisione di rifarsi: sia la carrozzeria che qualche partuccia interna. Desiderava altresì sostituire qualche tubicino logoro che con gli anni si era reso rigido ostacolandole il flusso del sangue, e anche qualche neurone menefreghista che si rifiutava di ricevere un impulso nervoso.
Sui banchetti bianco panna acida si trovava ogni genere di ricambio umano, certo contenuto in pozzetti frigo che attraverso pareti di vetro si mostravano vivaci e pulsanti al pubblico.
Cuori: (con e senza freccia) che ticchettando allegramente instillavano l’ancestrale e primogenito istinto alla vita.
Fegati: operati una sola volta e ancora in grado di contribuire alla digestione di mezzo chilo di patatine fritte.
Polmoni: con alveoli appena intaccati dal fumo passivo, con tanto di specificazione del volume d’aria che potevano ancora contenere.
Poi, ghiandole e ghiandoline, tubicini e grovigli di intestini e frattaglie.
Eulalia si soffermò davanti a quella che gli sembrò essere un lembo di pelle. Una targa in bella mostra specificava nella sua arzigogolata scritta “isole di Langerhans;” e lei che aveva sempre creduto che fossero un atollo delle Antille!
Distolse lo sguardo dall’atollo, proseguendo decisa verso il banchetto delle vene usate.
“Che vene, signorina!” – disse il commerciante allargando le braccia‐ “sembrano quelle di un ragazzino!.” Vedendo Eulalia interessata, questo, sparò il suo alto prezzo.
“Non posso permettermele” _‐disse la ragazza‐ “anche se mi piacciono un casino.”
“Signorina con queste vene, lei, butterà alle ortiche quel gonnone che le nasconde le gambe dalla vita ai piedi! Il prezzo comunque e quello che le ho chiesto; anzi, visto che lei mi sta antipatica, e che è risaputo che godo la fama di essere un poco stronzo, non le le do nemmanco per mille euri! E mica stiamo a vende broccoletti!”
La ragazza non diede voce al suo risentimento e si limitò ad alzare il dito medio della mano destra, come aveva visto fare nei film americani.
Girò per ore tra i banchi e avendo trovato e acquistato quello che a lei era d’uopo, compreso un thermos elettronico per mantenere il tutto alla rigorosa temperatura di un grado sotto lo zero, si incamminò verso la vicina clinica “mater corpus usati” dove, dopo avere preso precedenti accordi era attesa da: un chirurgo laureato, una infermiera laureata, e da una matrona normale.
Un mese dopo, dalla ridente struttura immersa nel solito ridente sabato mattina, gli occhi increduli dei passanti,  poterono ammirare il corpo modellato di una immensa figa. Era la nuova Eulalia. Nei suoi confronti Lady Gaga diventava la “maestrina dalla penna rossa.”
Giorni dopo la ragazza morì. L’autopsia rilevò l’uso di organi di ricambio di scadente qualità. Eh! Glie lo diceva sempre la mamma! “Figlia mia: chi sparambia, spreca!”