Il re è servito

Si è appena lavato, ha indossato una sgargiante camicia bluette e adesso se l’abbottona con morbosa attenzione; mentre si specchia assume l’aspetto capriccioso di un sovrano d’altri tempi, allisciandoseli operosamente, i baffi color vinaccio.
La servitrice che ha il volto inespressivo di un’amante occasionale, gli passa la tazzina di caffè corretto con la sambuca.
Una breve rintoccata alle basette, una spruzzata di un Bulgari d’imitazione, e un bacio penetrante della sua servitrice‐amante, che si congeda lasciandogli in un pizzino un numero di cellulare: il re è servito.
Manca ancora qualcosa?  Certo, la corona: il cappello panama che tutti nel quartiere gli riconoscono, e che nessuno ha mai osato chiedergli di provare.
Se lo fissa bene bene sulla testa calva e spiantata, facendo una smorfia a metà tra l’isteria e la  rassegnazione:
“Chi ci pozzu fari, cundannati ‘a vecchiaia semu!”
Questa volta prima di scendere da casa, ha intenzione di controllare dalla finestra, perché qualcosa gli dice che quel signore pure stamattina starà appoggiato al muretto del palazzo di fronte; e infatti è là, una sagometta intenta a fissare un punto imprecisato dello stabile  dove il re e parte di certi suoi sudditi dimorano.
Al bar di Gaetano il re è accolto da un’ondata di benemerenze; come in un teatro dell’ottocento, la claque seduta al bancone e ai tavolini, sostiene quell’apparizione col più rispettoso ossequio, elargendo ringraziamenti e complimentose strette di mano.
Gaetano stesso non può esimersi dall’offrire un cospicuo onorario al sovrano di Corso Candelai, che lo ha reso degno della presenza nel suo bar;
“Sempre a disposizione, compare Bartolomeo”.
Come Gaetano, anche Flavio il macellaio, Totò il barbiere, Rosa e Pietro i tabaccai, nonché Vito, il padrone del cinema Ortensia, rendono grazie per il suo passaggio, con una somma di euro che sia rappresentativa, se è possibile, del rispetto che col tempo il re si è adoperato di non farsi mai mancare.
“Compare Bartolomeo, i cannoli freschi come le rose sono…”
Il re di Corso Candelai se ne fa impacchettare una dozzina, che poi lascia a un giovane di guardia al comando dei carabinieri della sezione Candelai‐Val di Sole; “Per il comandante Giuffrida, mi raccomando”.
Di ritorno dalle sue commissioni mattiniere, il re incrocia di nuovo quel signore, che questa volta si è spostato di fianco al portone della palazzina, e sta sfogliando il Giornale di Sicilia, con aria apparentemente distaccata.
Il re non ci pensa più di tanto: è re proprio perché è  pronto a prendere le decisioni quando servono.
Sale al primo piano, dove abita il suddito Vincenzo, e sotto la fessura della porta deposita un foglietto piegato in più parti con scritte poche parole: “Vicè, ammazzalo”.
A tarda sera, il riposo di re Bartolomeo viene guastato da un triplice colpo alla porta d’ingresso; dalla fessura  spunta una busta che il re raccoglie e porta con sé nella camera da letto:
“Il re è servito. Ma taliassi ‘sta foto”.
Nella polaroid sgualcita riconosce se stesso, senza baffi, senza corona, quando era semplicemente Bartolomeo “ ‘u sciancatu”, per la sua camminata imperfetta ; e aveva una moglie, sì, Lucia, e anche un bambino di pochi mesi, che nella foto dorme tra le braccia della madre.