IL RIBELLE LETTERARIO

Finalmente era arrivato all’ultimo capitolo.
Giulio Priandello era proprio soddisfatto del romanzo che stava per finire ed in particolare delle atmosfere e dello stile narrativo che era riuscito a profondere in tutti gli otto capitoli scritti fino a quel momento. A dire il vero, qualcuno dei suoi amici, cui aveva raccontato la vicenda e letto alcuni brani, gli avevano fatto notare che la trama somigliava maledettamente a quella dei Promessi sposi ma la cosa non lo aveva minimamente turbato. Anzi, aveva preso questo rilievo come un complimento perché considerava il romanzo del divino Alessandro come uno dei più grandi capolavori della letteratura mondiale e il fatto di essere riuscito a reinterpretare in chiave moderna i suoi massimi archetipi (lo sfondo di grandi avvenimenti storici, l’arroganza del potere nei confronti di persone umili, l’atmosfera di soffuso e sensuale misticismo, il riscatto morale di alcuni,  la punizione finale dei cattivi e l’happy end per i buoni)  lo esaltava anziché mortificarlo. Per la verità, le assonanze col grande libro si fermavano lì perché in realtà le differenze narrative erano enormi: i grandi avvenimenti storici erano quelli di oggi e quindi andavano dalla mafia al  terrorismo internazionale; il grande cattivo (ovvero un certo Viktor nel ruolo di Don Rodrigo) era il capo di una grande organizzazione mafiosa russa; al posto di Lucia c’era Paulette, una bella quanto intelligente scrittrice italiana che veniva rapita e avviata alla prostituzione internazionale dopo un turbinio di terribili vicende; il Renzo Tramaglino della situazione era  un aitante  giovane francese di nome Gunmax, che attraversava l’Europa intera e i paesi mediorientali in guerra alla ricerca dell’amata, sempre inseguito dai sicari di  Viktor che avevano l’incarico di ucciderlo. Nel ruolo di Don Abbondio c’era un sindaco di una cittadina della Lombardia che si era rifiutato di sposare i due giovani per atti osceni in un luogo pubblico chiamato “pleasure island” ma, in realtà, perché corrotto da Viktor. Al posto dei buoni (il Cardinale Borromeo, Fra Cristoforo e l’Innominato) c’erano un ambasciatore, un addetto consolare, e un agente segreto che salvavano, a più riprese e in diverse circostanze, sia l’una che l’altro. Insomma, tutte le situazioni che vedevano i due giovani separatamente affrontare rischi, pericoli e violenze erano alquanto diverse da quelle del grande romanzo ispiratore e somigliavano più a quelle di un film di 007 o del Padrino. 
Questo era dunque il romanzo che Giulio Priandello si accingeva  a completare con il nono e ultimo capitolo, ben lontano da sospettare che di lì a poco si sarebbe ritrovato a vivere un’avventura talmente inattesa e surreale da sconvolgere la sua vita di scrittore e la stessa trama del romanzo.

Erano le quattro di pomeriggio e Giulio accese il computer contenendo a stento la sua eccitazione. Per l’ultimo capitolo aveva tutto chiaro nella mente: la morte di Viktor, il ricongiungimento dei due giovani e soprattutto il dialogo finale,  che stava elaborando da giorni e che sperava potesse diventare un esempio di alta  letteratura per il modo sorprendente col quale pensava di scriverlo. Aprì il documento all’ultima pagina del capitolo otto, rilesse alcune righe, passò alla pagina successiva e cominciò a scrivere il capitolo nove, quello finale. 
Scrisse a lungo e con trasporto fino alla descrizione della lotta tra Gunmax e Viktor che vedeva quest’ultimo soccombere e fare una morte orribile. La crudezza dell’episodio e la scena della fine di Viktor richiedevano uno stile descrittivo rapido e asciutto, quasi cinematografico, e Giulio pensò di esserci riuscito tanto che decise di premiarsi concedendosi una serata di svago e rimandando all’indomani il prosieguo della storia con l’happy end  e il famoso dialogo finale.
Il giorno dopo, lo scrittore non seppe attendere la solita ora pomeridiana per riprendere il lavoro e accese il computer (di buonora per lui) alle nove di mattina. Appena sul monitor apparve il capitolo nove del romanzo Giulio pensò di aver sbagliato qualche comando perché, dopo poche righe iniziali, lo schermo “s’illuminò” di sole pagine bianche. Tutta la lotta tra Gunmax e Viktor e la fine drammatica di quest’ultimo erano sparite, volatilizzate o nascoste chissà in quale meandro elettronico e chissà per quale ragione.  Giulio tentò una serie di comandi di ricerca ma tutto fu vano; per un attimo pensò perfino di averle sognate quelle pagine che pure ricordava perfettamente di avere scritto.
Stupito, chiamò un suo amico esperto di computer, gli spiegò la situazione e seguì alcune sue indicazioni tese a recuperare dall’hard disk il testo mancante ma tutto fu inutile: di quelle pagine il computer sembrava non avesse mai sentito parlare. “Evidentemente – gli disse l’amico ‐ ieri sera, nel chiudere il documento hai dato, senza accorgertene, qualche comando di cancellazione. A questo punto non ti resta che riscriverle avendo l’accortezza, questa volta, di farne una copia sia stampata che su floppy disk.”
Di fronte all’impossibile Giulio si rassegnò e, pazientemente, facendo leva sulla sua buona memoria, riscrisse le dieci pagine che alla fine provvide diligentemente a copiare su dischetto e a stampare su carta,  come d’altra parte faceva sempre alla fine di ogni giornata di lavoro, tranne che nell’improvvida occasione della sera precedente. Rasserenato, andò a mangiare, fece un riposino di mezz’ora e verso le quattro del pomeriggio riprese il lavoro. Accese il computer, aprì il suo romanzo e in un attimo si rese conto di essere ripiombato nello stesso incubo. Sullo schermo, le dieci pagine erano sparite di nuovo e altrettanto lo erano dal dischetto e da quelle stampate, dove ora si potevano vedere solo delle colature d’inchiostro del tutto illeggibili.
Giulio Priandello, benché frequentatore della fantasia, era alla bisogna un uomo molto razionale,  per cui si fermò, respirò profondamente e si mise a  riflettere su ciò che gli stava succedendo con l’idea di non escludere nessuna ipotesi, anche la più strampalata. “I casi sono tre: ‐ pensò ‐ o si tratta di un errore tecnico da parte mia, oppure di un hacker che si diverte a farmi i dispetti o, infine, di un virus che attacca il mio testo, non si sa perché, solo a partire da quel punto.”
Sembrandogli questa sintetica analisi un buon punto di partenza, cominciò a scartare la prima ipotesi perché era stato molto attento nel fare le operazioni di chiusura e poi perché essa non giustificava la sparizione del testo dalle pagine stampate. Allo stesso modo si sentì di escludere l’intervento (per ben due volte) di un hacker in quanto, in tutto questo periodo, non si era mai collegato in rete. Rimaneva la terza ipotesi, anche se di un virus specializzato in capitoli non aveva mai sentito parlare prima di allora.
Decise comunque di fare una prova: riattaccò dal solito punto e cominciò a scrivere parole e frasi senza senso per una decina di righe; poi spense tutto, aspettò un poco, riaccese il computer ed ecco riapparire, intonse, tutte le frasi senza senso insieme agli otto capitoli precedenti.
Seppure con qualche dubbio, Giulio sperò che per qualche motivo lo strano fenomeno potesse essersi risolto. Azzerò le sciocche frasi di prova e ricominciò per la terza volta a scrivere il riottoso capitolo.
Fu proprio in quel momento che accadde un fatto incredibile: invece delle parole battute sulla tastiera da Giulio,  sullo schermo apparve questa frase:
“Insomma la vuoi smettere di scrivere questo stupido capitolo?”
Giulio rimase per un attimo impietrito dallo stupore: chi diavolo aveva scritto quell’imperioso messaggio? Subito ripensò all’ipotesi dell’hacker ma presto la escluse di nuovo perché non era collegato in rete. Eppure il contenuto sembrava proprio provenire da un contatto diretto. Per accertarsene, digitò sulla tastiera una risposta:
“Il romanzo è mio e ci scrivo quello che mi pare!”
Passarono alcuni secondi, che gli parvero una eternità, prima che apparisse un nuovo messaggio:
“Credi? Prova ancora a scrivere le stesse cose di ieri e di oggi e vedrai che fine faranno.”
Giulio non sapeva cosa pensare. Da un lato la sua mente cercava di trovare una spiegazione logica a quello che stava accadendo, dall’altro si rendeva conto che quel dialogo così assurdo non poteva avere un’origine e una motivazione del tutto razionale.
“Chi sei? Sei un virus?” chiese senza rendersi conto dell’idiozia della domanda.
Di nuovo un’attesa, questa volta molto più breve.
“Possibile che non hai ancora capito chi sono io?”
“No!” rispose deciso lo scrittore.
“Eppure mi hai creato tu: sono Viktor, il cattivissimo Viktor che tu vuoi far morire di una morte orribile solo a scriverla, figuriamoci a subirla.”
“Ma di che parli? I personaggi di un libro vivono nella mente di chi li crea o di chi li legge e non vanno a spasso in un computer a polemizzare con il loro autore. E poi io mi chiamo Priandello e non Pirandello. Secondo me sei un virus, un programma finalizzato a demolire le opere letterarie.”
“Oltre che come scrittore mi deludi anche come investigatore informatico. Non sono un virus: da quando in qua i virus dialogano con gli esseri umani? E poi, se fossi un programma‐killer, starei qui a perdere tempo con te? Con uno, cioè, che scrive cose come quelle del capitolo nove che mi tocca cancellare ogni volta?”
Giulio cominciò a innervosirsi: “Perché, cosa hai da dire sul capitolo nove?”
“Guarda, non commento il valore letterario che mi sembra comunque modesto. Contesto il fatto di essere io descritto come una  persona così malvagia da meritare una morte tanto orribile come quella che mi hai riservato.”
“Una morte meritata viste le sofferenze che hai arrecato a quei due poveri giovani….”
“No, non io. Sei tu che ti sei servito di me per farli soffrire come a te piaceva. Ed ora vorresti farmi scontare colpe non mie in un modo così crudele?”
Giulio rimase per un momento sconcertato non sapendo più dove quel dialogo potesse andare a parare. Decise comunque di scoprire cosa volesse realmente quel “coso” al di là dello schermo:
“Va bene, secondo te cosa dovrei fare?”
Questa volta non ci fu attesa:
“Per quanto mi riguarda, basterebbe che tu non mi facessi morire, mi consentissi di fare qualcosa che mi riscattasse agli occhi di Paulette, che lei lasciasse perdere quel mediocre di Gunmax  e si mettesse con me. Quella ragazza, come ben sai, ha fatto perdere la testa a molti personaggi del libro, me compreso.”
“Ma ti rendi conto di quello che proponi? Sarebbe come se qualcuno avesse chiesto a Manzoni di finire il suo romanzo con Lucia che molla Renzo e scappa con Don Rodrigo per vivere con lui felice e contenta. Ma dai!”
“Bèh, non sarebbe stato un bel colpo di scena? E oggi i ragazzi non leggerebbero più volentieri  I promessi sposi?”
“Senti, non scherziamo. La storia resta quella che era e non intendo discuterne con un.… dipendente.”
“E allora io continuerò a cancellarti tutto e non riuscirai a finire il romanzo nemmeno se cambierai i nomi,  il computer o vattelappesca.”
Giulio capì che non era il caso di scherzare oltre e cercò di recuperare la situazione:
“Senti, cerchiamo di essere realistici. Io credo in questo romanzo e nei suoi personaggi soprattutto in quelli negativi come te perché sono quelli che  hanno il maggiore impatto sulla fantasia dei lettori. Sono sicuro, ad esempio, che se ne facessero un film, i migliori attori si contenderebbero il tuo ruolo molto più di quanto farebbero per quello di Gunmax. Quindi perché questa tua ostinazione?”
“Non è un’ostinazione di principio. E’ che innanzi tutto non mi va di morire in quel modo e poi sono convinto che la soluzione che io suggerisco sarebbe molto più brillante e originale di quella che tu intendi proporre. In fondo lo dico per il tuo bene.”
“Non credo che tu sia in grado di stabilire il grado di brillantezza e originalità di un testo né, tanto meno, di stabilire ciò che è per il mio bene.”
“Senti – ribatté quasi immediatamente il ‘coso’ – ho l’impressione che questo dialogo con me stia mettendo a dura prova il tuo equilibrio nervoso. Facciamo così: prendiamoci una pausa di riflessione e risentiamoci domattina, diciamo intorno alle dieci, per riparlarne. Sono sicuro che a mente serena, sarai più ragionevole e più propenso a trovare una soluzione. Va bene per te?”
“D’accordo.” rispose  lo scrittore e d’istinto, quasi in un gesto di liberazione,  spense il computer.
La notte Giulio la passò ad elucubrare su quella faccenda incredibile,  non trascurando l’ipotesi che il tutto fosse una sorta di allucinazione della sua mente un po’ esaurita dal super lavoro degli ultimi mesi. Per un attimo, intorno alle tre di mattina,  ebbe perfino la tentazione di riaccendere il computer per verificare se …….”Ma no! ‐ si disse ‐ che diavolo mi passa per la mente? In questo modo rischio di impazzire. Aspettiamo domani e vedremo. Io questo romanzo lo devo finire assolutamente per rispettare  l’impegno con l’editore e per incassare qualche soldo. Per riuscirci dovrò pur concedere qualcosa a questo surreale personaggio ma un fatto è certo: lui deve morire! Su questo non transigo.”  E con questa certezza si addormentò verso le cinque di mattina per svegliarsi al trillo della sveglia alle nove e trenta esatte.
Giulio accese il computer all’ora prefissata e, senza indugi o tentennamenti, aprì al solito contestato capitolo e scrisse semplicemente:
“Ci sei?”
La risposta non si fece attendere: “Certo che ci sono. Credi che  la puntualità sia una virtù solo dei buoni?”
Giulio recepì l’ironia e con questo si convinse che chiunque fosse a rispondergli non era gestito da un programma qualsiasi ma da uno molto sofisticato in grado di percepire e imitare anche gli aspetti emotivi di un dialogo.
“Allora – riprese Viktor – hai riflettuto? Hai una proposta da farmi?”
Giulio prese un po’ di tempo prima di rispondere. Voleva ponderare bene le parole da scrivere: “Sì,  ho riflettuto sulla questione e ho deciso che sul fatto che devi morire non ci sono margini di trattativa.”
“Quand’è così – rispose Viktor in un attimo – è inutile perdere altro tempo. Vuol dire che ciascuno farà ciò che deve fare.”
“Ehi!...aspetta un momento. Non essere permaloso e lasciami finire: ho detto che non sono disponibile  a una trattativa sulla tua morte ma sono disposto a trattare sul come.”
“Intendi dire che posso scegliere io il modo di morire?”
“Esattamente.”
La conferma di Giulio rimase senza risposta per qualche minuto prima che sullo schermo apparisse un nuovo messaggio di Viktor:
“Okay, ci sto. Voglio morire per un colpo di pistola sparato da Gunmax dopo  però aver salvato da morte sicura Paulette e aver detto un’ultima frase d’amore per lei.”
Giulio s’innervosì molto nel leggere questa proposta. Si morse le labbra e, cercando di stare calmo, rispose:
“Questo significa chiedere tutta la mano a chi ti ha offerto un dito. No, così non può andare, non posso trasformarti in un eroe salvatore quando questi c’è già ed è Gunmax. Quello che posso concederti è di morire per un colpo di pistola e una frase che ti riscatti un po’, ma non troppo, in punto di morte. In ogni caso niente frasi d’amore per Paulette. Prendere o lasciare!” _ replicò con decisione Giulio scrivendo in grassetto le ultime parole per sottolineare la loro perentorietà.
Passarono ancora una volta diversi minuti prima che una risposta arrivasse e Giulio li visse con la sensazione che Viktor (o chi diavolo fosse) prendesse tempo al solo scopo di assaporare qualche forma di soddisfazione nel saperlo in ansiosa attesa. Poi, finalmente, sullo schermo apparve la sua risposta:
“Va bene, però sappi che questo accordo non lo devi alla tua capacità di negoziatore ma alla mia generosità. Tienilo a mente quando riscriverai la mia morte senza fogne e senza topi e con una bella frase di parziale riscatto perché  io resterò in agguato fino a quando non avrai finito il tuo romanzo per controllare che tu non mi faccia brutti scherzi. Addio, e in bocca al lupo!” E con queste parole, lo schermo si sbiancò cancellando tutto il surreale dialogo intercorso tra il personaggio e il suo autore.
Dopo un profondo sospiro di sollievo, Giulio  si lasciò andare sullo schienale della sedia alzando le braccia al cielo e lanciando una specie di urlo liberatorio  neanche avesse vinto il premio letterario più prestigioso del mondo.
Decise di mettersi subito al lavoro e lo fece con una tale lena e un tale furore creativo che si fermò solo per mezz’ora, il tempo per un panino e una birra, per riprendere subito a scrivere senza mai smettere fino a tarda sera. In più di otto ore di lavoro aveva finito il capitolo nove, e dunque il romanzo,  apportando tutte le correzioni concordate con Viktor. Non aveva avuto alcuna difficoltà nell’ambientare la colluttazione finale con Gunmax in una stazione di servizio e a risolverla con un  colpo di pistola e la morte di Viktor cui, prima di spirare, fece mormorare questa frase:  “Non devo chiedere perdono a nessuno. Se Paulette ha scelto altri da amare avrà avuto le sue buone ragioni come ne ha avute Dio se mi ha fatto così malvagio!” “In fondo – aveva pensato Giulio ‐ si tratta di un buon compromesso: da un lato gli faccio riconoscere la sua malvagità e dall’altro l’esistenza di un Dio misericordioso. Roba che piacerebbe molto ad Alessandro Manzoni!”
Al contrario, un po’ di difficoltà Giulio l’aveva trovata nello scrivere quello che, secondo le sue intenzioni, doveva rappresentare il momento più originale del romanzo e cioè il dialogo finale tra Gunmax e Paulette L’idea era quella di farli parlare d’amore ricorrendo a un collage di frasi tratte da film di successo come Via col vento, La vita è meravigliosa, Casablanca, Rocky e Pretty woman. Insomma,  un gioco letterario, fatto più di invenzione che di stile, che gli era sembrato molto più geniale quando lo aveva pensato rispetto a come gli era venuto scrivendolo. “Forse – pensò tra sé – anche quest’amore finirà male se dovessi scrivere la seconda parte”.
Ad ogni buon conto, il lavoro era finito e Giulio decise che avrebbe lasciato il romanzo nel cassetto per qualche giorno prima di  rileggerlo un’ultima volta e inviarlo per posta elettronica al suo editore nella speranza di una risposta rapida e positiva. 
Fu così che fece, e tutto si svolse nel modo previsto. Rilesse il libro apportando solo un paio di piccole correzioni e quindi lo inviò per posta elettronica all’editore Stampini. La sera stessa ricevette da questi una telefonata di conferma: “Caro Priandello, ho ricevuto il suo romanzo e lo sto facendo stampare per leggerlo durante il fine settimana. Se ci riesco, penso di darle una risposta entro lunedì. A presto e in bocca al lupo!”
I cinque giorni gli sembrarono cinque mesi ma, come Dio volle, arrivò l’atteso lunedì e alle sette di sera anche la telefonata di Stampini.
“Caro Priandello, vado subito al sodo: ho deciso di pubblicare il suo romanzo.”
Giulio frenò a stento un urlo di gioia:
“Grazie commendatore, le sono molto grato. Non le nascondo che aspettavo questa notizia con un po’ di batticuore.”
“La capisco, caro Priandello; in fondo lei non è ancora così famoso da vendere il suo prodotto solo per il nome. Sarò però sincero con lei: fino al capitolo otto le assicuro che avevo deciso di non pubblicarlo. Poca originalità e in certi tratti perfino noioso, come una specie di Promessi sposi in chiave moderna ma senza l’arte sublime del Maestro. Poi, per inerzia, ho cominciato il nono capitolo e improvvisamente sono stato catturato dal suo cambio di marcia: un’idea semplicemente geniale!”
“La ringrazio commendatore, l’idea di quel dialogo tra Gunmax e Paulette mi frullava per la testa da molto tempo e sono felice che le sia piaciuto al punto da averle fatto cambiare idea.”
“No, Priandello, non ci siamo capiti, – corresse Il commendatore – quella è roba del capitolo dieci. Io sto parlando del capitolo nove…”
“Il capitolo dieci? Quale capitolo dieci? I capitoli sono nove!”
“Ma che dice? Io parlo del capitolo in cui l’autore, cioè lei, discute e negozia col personaggio di Viktor del modo in cui deve morire. Una soluzione che ha sorpreso me e sorprenderà in modo positivo i lettori probabilmente delusi dagli altri capitoli. Ha capito ora?”
Giulio non rispose. Era annichilito, sconvolto, incapace di ammettere ciò che invece gli era ormai  chiaro, anzi chiarissimo: quel … quel ‘coso’ …. quel traditore di Viktor aveva fatto finta di cancellare il loro dialogo che aveva invece reinserito nel testo partito per posta elettronica spostando il finale ad un inesistente capitolo dieci!
“Pronto….. Priandello? La prego, mi risponda: cosa le è successo? Ha perso la parola? Si è offeso per la mia critica? Guardi che io il romanzo glielo pubblico perché quel capitolo è una bomba! Per me basta e avanza per giustificare l’investimento! ... Priandello ... pronto … Priandello ...”
Giulio sentiva la voce del commendator Stampini diventare pian piano una sorta di incubo sonoro che lo portò a riattaccare la cornetta senza rispondere ai petulanti appelli del suo editore. La sua mente vagava ormai nel mare della delusione e del dolore e l’unica esigenza che sentiva in quel momento era quella di trovare un pensiero consolatorio. Provò a pensare all’anticipo che avrebbe ricevuto, al probabile successo del libro e al fatto che a quel benedetto dialogo aveva in qualche modo partecipato anche lui, sia pure involontariamente. Purtroppo nessuno di questi pensieri riuscì a consolarlo, perché nel frattempo si rendeva sempre più conto di una dolorosa e mortificante realtà: che il suo romanzo veniva pubblicato solo per merito dell’unico capitolo che lui non aveva mai scritto. “Forse – pensò – aveva ragione Viktor: sarebbe stato meglio se Paulette si fosse innamorata di lui!”

‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐