JACK

‐“Finalmente una giornata di sole!”‐ Ero raggiante; Londra in quel periodo mi sembrava l’anticamera di una enorme ciminiera. Grigio, grigio e grigio ancora. La solita pioggerellina sottile sottile che ti obbligava a portare con te l’ombrello per evitare raffreddori e influenze varie…Non avevo dormito bene quella notte e al risveglio mi immaginai di trovarmi di fronte la solita desolante scena di grigio ed invece…
Mi preparai con calma, un bagno in una tinozza d’acqua semi bollente, un te (rigorosamente col latte, senza è una bevanda da barbari) e mi incamminai verso Victoria Embankment. C’era parecchia gente per strada, nonostante fosse domenica, e le piccole taverne su Exeter Street erano già affollate di persone d’ogni età. C’era concitazione nelle loro voci, agitazione…Possibile che la gente non riesca a godersi la pace domenicale e debba sempre essere in costante apprensione?
Arrivai a Scotland Yard verso le dieci. Gli uffici erano semideserti. Domenica per tutti, anche per i segugi. Ovviamente solo per una parte dei segugi. Io ero al mio posto, ligio al dovere come sempre.  George Lusk era già li ad attendermi nel suo ufficio: ‐“Buongiorno James, novita’?”‐ chiesi. Scrollò la testa e getto davanti a se una copia dello Star. Sulla prima pagina una foto di una “cosa” sfocata con una scritta  “Jack è tornato! Un’altra prostituta trovata morta a Whitechapel”. Guardai  George. Era pallido e non riusciva a nascondere il suo nervosismo tamburellando le dita in modo costante. –“Un’altra!”‐ esclamai. –“Non so cosa fare, giuro non so cosa fare, è gia’ la quarta, quel maniaco non si ferma. Avevamo predisposto staffette su Whitechapel per tutta la notte è questo è il risultato. Cazzo! Questo è il risultato!”‐ concluse George con un pugno sul tavolo. –“Non farne un fatto personale”‐ risposi –“umanamente hai fatto tutto quello che si poteva fare ma questo tizio sembra essere un professionista. Non sbaglia una mossa. Bisogna insistere”‐. Mi guardò con un amaro sorriso: ‐“Insistere? Forse lo faranno gli altri. Si, io ho deciso. Domani mattina scrivo al gran capo. Voglio essere sollevato dall’incarico. Non voglio avere sulla coscienza altre vittime, ne ho abbastanza.”‐ Lo guardai sbalordito. Era George Lusk. L’uomo che dopo i primi due delitti di Jack aveva chiesto di potersi occupare del caso, lui che conosceva Whitechapel come le sue tasche (o almeno così sosteneva). Non ci potevo credere. –“George non dirai sul serio? Ti rendi conto che senza di te quello avrà ancora di più via libera?”‐. Un altro sorriso: ‐“Direi che più via libera di così non ne potrà mai avere”‐. Riprese: ‐“La vittima si chiamava Catherine Eddowes, è stata trovata a Mitre Square. Solita firma. Ti risparmio i particolari”‐. –“Posso ben immaginare”‐ . –“Avevo piazzato un paio di agenti sulla Duke’s, è a meno di 100 metri dalla Mitre ma niente. Il tizio sembra invisibile, prende la vittima, uccide e svanisce chissà dove”‐.Non fu facile, dovete credermi, convincere George a rivedere i suoi propositi. Dopo mesi di indagini lasciare tutto sarebbe stato umiliante per lui. Sarebbe stata  l’ammissione del suo totale fallimento. Non lo potevo permettere. Era un amico, uno di quelli che ti capita di incontrare una sola volta nella vita. La nostra amicizia risaliva sin dai tempi dell’infanzia. Abitavamo entrambi nel East End fino ai dieci anni. Poi le nostre famiglie si trasferirono proprio a Whitechapel dove in pratica condividemmo le gioie e i dolori dell’adolescenza. A differenza mia George era sempre stato un  ragazzo molto curioso e vivace. Ogni strada era la sua strada. Credo che per ognuna di esse conoscesse anche il numero delle finestre che vi si affacciavano. Lo spronai: ‐“George, quel bastardo non la passerà liscia! Dobbiamo riprovare. Dobbiamo indurlo all’errore. Si sente sicuro e questa sua sicurezza sarà la sua rovina! Credimi! Ho già in mente un piano”‐.
Tornai verso casa dopo aver sbrigato le solite faccende burocratiche  in ufficio. Perlopiù si trattava di esaminare casi di ladruncoli disperati che sarebbero dovuti finire sotto processo per aver rubato qualche penny e nulla più. Erano le cose che più mi facevano innervosire. Londra sta vivendo un incubo e la polizia che fa? Si occupa di questi rubagalline…Mah! Per strada non si parlava che della povera Eddowes. La gente sembrava ingorda di particolari scabrosi, “L’hanno trovata senza un rene, no mancava il cuore, lo hanno trovato per metà mangiato” e via di seguito. Arrivai a casa disgustato.
In realtà il piano di cui avevo parlato a George non esisteva. Lo avevo detto solo per prendere un po’ di tempo, per far calmare la situazione ma era indubbio che qualcosa andava fatto per risolvere la situazione. Qualche cosa avrei trovato.
Passò più di un mese e dello squartatore nessuna notizia. Con George avevamo concordato il seguente piano. Oltre agli agenti dislocati su tutta Whitechapel  saremmo andati anche noi di persona a vigilare nel quartiere. Era tempo che George lasciasse la sua bella scrivania e venisse con me in prima linea nell’inferno, a casa di Jack. All’inizio George non si era mostrato troppo entusiasta dell’idea poiché avrebbe preferito coordinare i suoi uomini dall’ufficio, spostandoli sulla mappa come pedoni su una scacchiera. Il tutto, a sua opinione, rispondeva ad una logica di strategia. Ma alla fine si convinse nel seguirmi in quelle che sarebbero divenute le nostre battute di caccia notturne.
La notte dell’8 novembre una nebbiolina fine fine penetrava tra le vie del quartiere. Per strada si sentiva chiaramente la presenza della polizia. Qua  e la si intravedevano le figure degli agenti con i loro pompose uniformi che gironzolavano per gli angoli delle vie. Alcuni passanti sembravano volersi unire a questa caccia, come in una sorta di grande gioco collettivo. Stupidi!
Io e George arrivammo fino a  Gunthorpe Street tenendo d’occhio la situazione. Fermammo una persona che stava gironzolando vicino alla Old Castle ma scoprimmo che abitava proprio li. Falso allarme. Decidemmo di dividerci. Io avrei preso la parte ad est di Gunthorpe mente George avrebbe proseguito sulle parallele ad ovest. Camminai fino ad arrivare in Miller’s Court dove vidi una giovane ragazza dai capelli rossi. Mi sembrava alquanto agitata. Mi avvicinai: ‐“Posso esserle d’aiuto?”‐. Mi  guardò e si mise a ridere: –“Mi scusi, sono una sciocca ho solo perduto il mio fazzoletto era un ricordo di una persona cara, devo averlo perso proprio qui”‐. La guardai: ‐“E’ per caso rosso il suo fazzoletto signorina?”‐ dissi mostrandole quello che avevo appena trovato per strada. –“Oh dio mio! E’ proprio questo grazie!”‐. Mi toccò la spalla. –“E’ meglio che vada in casa ora signorina, a quest ora, di questi tempi per una ragazza come lei può essere pericoloso starsene in giro da sola”‐. –“Oh, ma io abito proprio qui, stavo appunto rincasando, lei piuttosto cosa fa in giro a quest’ora?”‐. –“Sono un agente di pattuglia”‐ dissi mostrando il mio tesserino “controllo la sua zona”‐. –“E’ un sollievo saperlo. Ma perché non entra? Le preparerò una tazza di te bollente. L’aiuterà per il resto della notte!”‐. Accettai di buon grado ed entrammo. Il suo appartamento traspirava povertà da tutte le crepe. Non era difficile immaginare come recuperava i soldi per l’affitto mensile. Mi tese la mano: ‐“A proposito mi chiamo Mary Jane ma i miei amici mi chiamano Ginger. Lei come si chiama?”‐ Sorrisi. –“Un nome vale l’altro. Ma a questo punto credo tu possa chiamarmi Jack”‐.