L'amico di un attimo

"E' morto. Si è ucciso."
"Ma cosa è successo?"
"Non so: pare che un uomo si sia suicidato."
La gente si era raccolta attorno a un'aiuola in fondo al parco ed era un brusìo generale.
"Ma chi è?"
"Non si sa: nessuno lo conosce."
Anch'io mi insinuai in mezzo a quel gruppo di persone proprio mentre il corpo dell'uomo veniva pietosamente coperto con un telo. Ma ebbi un attimo di tempo per vedere il suo viso, e rimasi impietrita a fissarlo. Era lui? Sì, non c'era dubbio: era lui. Continuavo a fissare il telo, incapace di muovermi, fino a quando sentii qualcuno che gridava:
"Largo, largo, fate largo. Lasciate passare."
Stava arrivando l'ambulanza. Il corpo fu steso su una barella e velocemente portato via. Subito tutti se ne andarono: chi scuotendo la testa, chi con un nuovo dolore impresso nella memoria. Qualcuno, visibilmente scosso, piangeva allontanadosi. Io ero ancora lì immobile a fissare quel telo che non c'era più senza trovare la forza di andarmene, finchè un signore mi prese a braccetto e, trascinandomi via, mormorò:
"Sono cose che succedono. Lo conosceva?"
Scossi la testa in segno di diniego.
"Vada a casa signorina, vada. L'accompagno?"
"No grazie, sto bene." Volevo stare sola e forse lui capì perchè mi salutò e se  ne andò, dopo avermi raccomandato di andare a bere qualcosa di forte.
Mi avviai lentamente col viso di quell'uomo impresso nella mente. Quel viso: aveva l'espressione stupefatta e rilassata allo stesso tempo: chissà se il suo ultimo pensiero era stato per Lucia!
Senza neppure rendermene conto mi ritrovai di fronte alla panchina dove l'avevo incontrato il giorno prima e ripensai a quell'incontro. L'uomo era seduto lì e si fissava pensosamente le mani. Il mio sguardo si era fermato su quelle mani che erano grandi e ben curate. Era un uomo di circa quarant'anni dallo sguardo intenso e intelligente; il fisico asciutto.  L'abbigliamento era di stile antiquato, ma pulito e in ordine. Aveva alzato gli occhi verso di me quando gli ero quasi di fronte come se volesse dirmi qualcosa, ed io istintivamente avevo rallentato, fermandomi quasi, attratta da quegli occhi insistenti nei miei. Tuttavia non era accaduto nulla subito. Soltanto dopo pochi altri passi avevo sentito la sua voce:
"Signorina, scusi."
Mi ero fermata, indecisa, senza voltarmi.
"Signorina, non si preoccupi, non voglio darle fastidio, vorrei soltanto chiederle un favore."
Ero tornata indietro e stavo ferma di fronte a lui, che abbozzando un faticoso sorriso, cercava qualcosa in tasca.
"Mi scusi sa, ma non conosco nessuno in questa città. Devo partire per un lungo viaggio e ho bisogno di far recapitare questa lettera: però non voglio spedirla. Devo avere la sicurezza che arrivi a destinazione."
Intanto aveva estratto dalla tasca una busta bianca sigillata e me la porgeva con un leggero tremore della mano. Io non sapevo bene cosa fare però avevo preso la lettera e, automaticamente, letto l'indirizzo: Signora Lucia Correnti ‐ Piazza S.Filippo 23‐ Roma.
"Roma! Ma io...io non so. Non so se potrò andare a Roma."
Balbettavo, mentre il suo sguardo si faceva sempre più intenso e la sua mano stringeva la mia con la lettera.
"La prego, non c'è fretta, basta che arrivi, non importa quando. La prego, la prego!"
C'era una tale forza in quegli occhi che avevo dovuto abbassare i miei. La mano mi faceva quasi male, stretta dalla sua. Avevo annuito perchè non riuscivo più a parlare. L'emozione mi chiudeva la gola. Avevo aperto la borsa e messo via la lettera, ma lui già non mi vedeva più. Il suo sguardo si perdeva malinconico oltre gli alberi del parco.
Quasi parlando a se stesso aveva aggiunto sottovoce:
"Mi chiamo Claudio. Grazie."
Io avevo soltanto sorriso con le labbra tremanti e me ne ero andata.
Ora, intanto che ripensavo a tutto questo, avevo estratto la lettera dalla borsetta e la rigiravo fra le mani chiedendomi se avevo sbagliato il giorno prima ad andarmene, lasciandolo solo. Avrei potuto fare qualcosa per lui? Le sue parole mi bombardavano la mente: "devo partire per un lungo viaggio."
Decisi di non prendere il tram per andare a casa. Avevo bisogno di camminare e di pensare. Sentimenti contrastanti affollavano il mio cuore. Ma poi, improvvisamente, ebbi la sensazione che il parco fosse diventato solitario e triste. Mi affrettai, mentre un brivido di freddo mi percorreva la schiena, e gli alberi danzavano fra le lacrime che mi inondavano il viso.
Non vidi nulla e nessuno, ma quando giunsi a casa non piangevo più e sapevo quello che dovevo fare: dovevo andare a Roma: subito. Preparai una borsa da viaggio e avvisai che mi sarei assentata dal lavoro per un paio di giorni. Mentre facevo i preparativi per la partenza un senso di sollievo mi pervadeva: era la serenità che mi dava l'idea di poter fare qualcosa per Claudio. Non volevo pensare a lui come al suicida del parco e nemmeno come all'uomo della panchina, ma semplicemente volevo pensare a Claudio, l'amico di un attimo, che mi aveva chiesto un favore nel momento più disperato della sua vita.
Arrivai a Roma il mattino seguente. La giornata era splendida. Respirai profondamente, abbassando il finestrino, mentre il treno rallentava, ormai prossimo alla stazione, affascinata da quel cielo terso e l'aria frizzante. Per un attimo dimenticai il motivo per cui ero a Roma.  Sul taxi il cuore mi batteva forte. Non sapevo cosa e chi avrei trovato al 23 di Piazza S.Filippo. Chi era Lucia? E se mi avesse posto delle domande? Sospirai: al momento opportuno avrei trovato le risposte. Cercavo di tranquillizzarmi ma avevo le mani sudate e le gambe mi tremavano. Il tassista chiacchierava e rideva per conto suo, per niente preoccupato che io non partecipassi affatto alla conversazione, né ridessi alle sue battute. Quando arrivammo, pagai, scesi dal taxi e mi fermai, incerta, di fronte al numero 23: una palazzina a tre piani, bella, certamente abitata da gente benestante. La piazzetta era silenziosa ed io stavo lì a fissare la targhetta CORRENTI senza trovare il coraggio di suonare il campanello. Mi venne anche la tentazione di tornare indietro, ma gli occhi di Claudio tornavano e la stretta della sua mano era ancora impressa sulla mia. Ad un tratto sentii la voce:
"Cerca qualcuno?"
Alzai lo sguardo e vidi alla finestra del primo piano una signora.
"Sì, cerco la Signora Correnti."
"Sono io. Le apro subito."
Ormai non potevo più fuggire. Entrai e salii fino al primo piano dove la porta era già aperta e una signora che poteva avere l'età di Claudio mi sorrideva facendomi cenno di entrare. Era decisamente bella, elegante e dai modi gentili, aveva gli occhi chiarissimi, grandi e strani. Mi guidò nel salotto e, quando mi fui seduta
"Dalla voce lei deve essere molto giovane"  mi disse sorridente.
Ecco cosa c'era di strano in quegli occhi: Lucia non vedeva. Mi ripresi subito ma non potei fare a meno di stupirmi:
"Ma lei dalla finestra..mi ha vista."
"Oh! Sì l'ho vista. L'ho vista come vedono i ciechi. Sa, non deve impressionarsi. Noi che non vediamo siamo molto più sensibili....e forse vediamo molto di più."
Una risata argentina da ragazzina seguì le sue parole. Ebbi il coraggio di ridere anch'io e comunque mi sentii a mio agio.
"Ho 24 anni e vengo da Torino e....Roma è veramente bella; tutte le volte che la vedo mi sembra la prima volta."
Non volevo entrare subito in argomento, non mi sentivo pronta.
"Sì, è vero, è bellissima. Sa, io non sono stata sempre cieca. Mi è accaduto in seguito ad un incidente d'auto, ed avevo proprio la sua età."
"Oh!" Non riuscii a dire altro.
"Sono stata più fortunata di altri, almeno posso continuare a vedere i miei ricordi. Ma lei....non mi ha ancora detto perché è venuta qui, e mi sembra di capire che non le è nemmeno tanto facile dirmelo." E seguì un'altra risata argentina.
Quella donna cieca mi vedeva fino in fondo all'anima ed io non riuscivo a stare ferma sulla poltrona. Inspirai tutta l'aria possibile, e d'un fiato parlai.
"Devo consegnarle una lettera, una lettera di Claudio" e la mia voce si ruppe, in attesa.
La guardavo attentamente, ma il suo viso rimase impassibile.
"Claudio" mormorò quasi fra sé  "Claudio! Era molto innamorato: ma lei lo conosce da molto? Come sta?"
Evitai di rispondere.
"Ho la lettera per lei" Le ricordai.
" Ah sì, la lettera. Me la dovrà leggere."
"Ma io veramente...non vorrei.."
"Direi che non abbiamo altra scelta. Non crede?"
"Ma lei avrà sicuramente qualcuno di più intimo. Credo..credo che sia una lettera privata e..."
"Lasci perdere. Da molti anni vivo sola e qui non viene nessuno. L'unica persona che può leggermi la lettera è lei."
La sua voce si era indurita e le sue labbra avevano una piega ironica. Capii che non potevo far nulla per evitare di leggere, e di malavoglia aprii la busta. Dentro di me tutto si ribellava all'idea di frugare fra quelle righe che non mi appartenevano. Lucia incalzò spazientita:
"Allora! Vuole leggere?"
Cominciai con voce tremante:
"Lucia, cara!"
Avevo la gola secca e le parole non volevano uscire. Ripresi:
"Lucia, cara! Ti scrivo perché sto partendo e penso che starò lontano molto tempo. Per anni ho vissuto nella nostalgia e in preda al rimorso pensando che se quella terribile sera di tanto tempo fa non me ne fossi andato dopo aver litigato con te, tu non saresti salita in auto con Francesco, e nulla sarebbe accaduto. Ho sofferto tanto, ed ancora di più quanto tu mi hai lasciato: secondo te una donna cieca sarebbe stata un peso troppo grande per un uomo. No Lucia, non è così. Lo so bene io che ho vissuto e vivo nel rimpianto; che sono venuto tante volte a Roma fermandomi a guardare da lontano la tua casa senza mai trovare il coraggio di suonare alla tua porta. Ho atteso, oddio quanto ho atteso, una telefonata, una lettera, un segno qualunque che mi ridasse ossigeno per vivere. Ma non è mai accaduto nulla. Quante volte mi sono chiesto angosciato se dentro di te ci sia rancore, disperazione per la tua situazione! Quante volte ho sperato che tu mi dessi la possibilità di assisterti, di amarti, di viverti accanto. Ora sto per partire. Vorrei provare a rifarmi una vita, ma prima di andarmene volevo dirti queste cose. Sei nel mio cuore Lucia, come allora. come una ferita che nulla può cicatrizzare. Ovunque io vada il dolore mi accompagnerà sempre. Quella sera di sedici anni fa è come un film che continua ad attraversare la mia mente senza che io riesca a distruggerne la pellicola. Ti ho cercata in ogni donna che ho incontrato, ma tutte sparivano al tuo confronto. Perché, perchè un così grande sacrificio per te e per me! Perché rinunciare all'amore. Ormai è tardi  per cercare queste risposte. Sono stanco. Addio Lucia, addio cara, e abbi cura di te. Perdonami, se puoi.  Claudio.
Non potei reprimere un singhiozzo mentre appoggiavo la lettera sul tavolo.  Lucia era silenziosa, ma del suo viso non si muoveva un muscolo. Il silenzio era anche troppo in quella stanza arredata all'antica, con le gelosie accostate. Il sole filtrava attraverso le fessure disegnando una strana penombra, e il mio cuore stava scoppiando.
"E' pronta?"
"Per cosa?" dissi io asciugandomi le lacrime.
"Per scrivere. Spero che non le dispiacerà troppo portare a Claudio una lettera da parte mia"
Rividi il viso di Claudio senza più vita e il mio cuore si strinse.
Lucia si alzò e, con la sicurezza di chi, pur non vedente, conosce a memoria l'ambiente in cui vive, prese da uno scrittoio carta e penna e le posò sul tavolo. Io mi apprestai a scrivere chiedendomi intanto come lei riuscisse a nascondere così bene ogni sua emozione.
In piedi, dandomi le spalle, cominciò a dettare:
"Claudio carissimo, mi rendo conto oggi, leggendo la tua lettera, di quanto sbagliai allora non dicendoti subito la verità, e cioè il vero motivo per cui ti lasciai. Non ho mai provato rancore verso di te perché quella maledetta sera, era su quell'auto che volevo salire. Proprio quella sera io e Francesco avevamo deciso di sposarci. Allora eravamo tutti molto giovani. Io non volevo farti del male. Uscire con te mi era servito per chiarire i miei rapporti con lui, ma non volevo giocare con i tuoi sentimenti, semplicemente li avevo sottovalutati. Eravamo molto innamorati, io e Francesco, e quella notte, con la sua morte, anche la mia vita finì. Non volli mai un altro uomo nella mia vita. Quando mi resi conto di quanto fossero profondi i tuoi sentimenti non mi sentii di deluderti e così mi rifugiai nella mia disgrazia per interrompere il nostro rapporto. Pensavo che anche tu avresti dimenticato in fretta. Mi accorgo di avere sbagliato due volte con te, ma spero che saprai perdonare e forse, più presto di quanto immagini, saprai anche sorridere di avvenimenti di tanti anni fa: perché in fondo fu soltanto una ragazzata. Ti auguro buona fortuna, Claudio, e, se vieni a Roma, ti aspetto.  Lucia."
Avevo le mani gelate, gli occhi brucianti, e tanta fretta di andarmene da quella casa.
Lucia sorrideva mentre, imbustata la lettera, me la porgeva:
"Lei avrà sicuramente l'occasione per consegnare a Claudio queste righe, visto che lo conosce. Grazie per la sua gentilezza, signorina. Le chiamo un taxi?"
"No no grazie, desidero camminare un po'." 
"Qui vicino c' è un bellissimo lungofiume: da lì potrà ammirare il panorama di quasi tutta la città. Grazie ancora e buon viaggio di ritorno a Torino."
Finalmente me ne andai. Mi sentivo invecchiata. Camminando mi ritrovai proprio sul lungofiume che a quell'ora era deserto, e mi abbandonai su una panchina. Fu lì che strappai la lettera di Lucia in tanti piccolissimi pezzi lasciando che il vento li sparpagliasse, e fu lì che, piangendo, parlai con Claudio:
"Ho consegnato la tua lettera Claudio. Anche lei ti ama..ti ama..ti ama......."