L'assalto

«Allora! Muovete le chiappe, mammolette! Ora si comincia a ballare!» tuonava il sergente richiamando il resto del team. Ormai il cargo da sbarco aveva terminato l'attraversamento della ionosfera e stava raggiungendo l'obiettivo, nell'emisfero nord del pianeta.
In quella zona un gruppo di colonie erano state individuate e marchiate come rifugio dei senz'anima: questo bastava a predisporre un raid di sterminio, prima che qualcuno tentasse la fuga e si disperdesse.
Nel fragore dei reattori a piena potenza Noa guardava fisso la canna del suo mitragliatore pesante, concentrata su quello che si sarebbe di lì a poco apprestata a compiere: uno sporco lavoro cui aveva dedicato anni di sofferenze e di addestramento, ma che era ormai la sua unica ragione di vita.
Al richiamo del suo superiore il soldato, insieme ai suoi compagni, scattò in piedi, disponendosi in fila davanti al portellone, pronta a sbarcare.
I nervi erano tesi, in quell'occasione come in tutte altre le volte: in ballo c'era la pellaccia e non c'era da scherzare.
Nessuno parlava, in attesa di quel momento che sembrava non arrivare mai e, mentre il sergente continuava a inveire sui soldati nel tentativo di spronarli, ognuno di loro aveva la mente immersa nel vortice dei propri ricordi.
Noa non stava pensando a nulla in particolare e la nuca del compagno che aveva di fronte gli rammentava solo che sarebbe dovuta andare dal barbiere e rasarsi i capelli che ormai avevano superato i tre millimetri.
Quella dei capelli era una vera scocciatura, era l'unica cosa dell'essere donna  che la tormentava: aveva represso ogni caratteristica del suo corpo per poter essere al pari dei combattenti maschi e l'essere gurionese certo non l'aveva aiutata a superare le differenze di forza e atletismo che si richiedevano a un mercenario.
Ma nulla l'aveva fermata, ed era giunta lì in quel luogo sperduto della galassia a compiere quello che era il suo dovere: salvare il suo popolo dall'orda dei senz'anima e riportarlo forse un giorno nella terra promessa.
Lei, come tante altre donne, ormai sterili a causa delle radiazioni della stella nana che illuminava Ben Gurion, aveva solo quello nella mente e tutto il resto passava oltre, oltre la fatica, oltre il dolore.
Ma ecco giunto in quei pochi istanti il momento di attraccare, e già si sentivano rintronare i lanciamissili e i mitragliatori del cargo che rovesciavano la gragnola di metallo ed esplosivo per far strada alle truppe da sbarco.
«Muoversi! Muoversi! Muoversi!» gridava a squarciagola il sergente, tanto che i suoni della battaglia sembravano scomparsi e uno ad uno i mercenari smontarono in un campo di riso intriso di acqua e fango, iniziando a loro volta a vomitare proiettili.
Noa scese a terra quasi subito, e già sentiva forte l'odore del fumo degli esplosivi che riempiva l'aria ormai avvinghiata dal fumo nero.
Tutt'intorno, già alte in un paio di punti, le fiamme avevano avviluppato alcune capanne di paglia e legno che erano state prese di mira dal fuoco dei cargo.
Noa, cercando di tenere un profilo basso, si muoveva tra gli steli di riso e la fanghiglia del campo che rallentavano la sua andatura, e aveva modo di scorgere il sergente e alcuni suoi compagni che si stavano avvicinando al villaggio.
Cominciò ad accelerare il passo per non perdere il contatto con il resto della squadra, poi fece più attenzione al panorama che le si parava davanti e al nemico che stava affrontando.
Dinnanzi a lei alcune donne, appena vestite da delle casacche scure, cercavano di fuggire dalle loro abitazioni, ma invano, raggiunte o da un proiettile o dall'esplosione di una granata.
Poco lontano un paio di donne stavano fuggendo in fiamme, ormai avviluppate e in preda a contorsioni disperate nel vano tentativo di spegnere ciò che corrodeva le loro carni.
Noa ben presto si rese conto che non c'erano nemici, che nessuno stava reagendo al loro attacco, che nessuno aveva imbracciato un'arma per  difendersi.
L'unico fuoco d'armi era il loro, che continuava incessante a vomitare morte verso il nulla.
Noa rallentò la sua andatura, cercando di comprendere dove fosse il nemico, dove fosse questa minaccia così pericolosa da estirpare con tutta quella veemenza, ma non riusciva a scorgerlo.
E per una volta, forse la prima in tutti quegli anni, Noa si era fermata a pensare, per capire quale fosse veramente lo scopo di tutto questo.
Certo erano cloni, erano senz'anima, erano il male supremo, l'onta della creazione, ma tutta questa violenza non avrebbe mondato questo peccato che l'uomo aveva compiuto contro Yahweh.
Di fronte ai suoi occhi si parava davanti il corpo di un bambino, mutilato da un'esplosione, inerme, squartato dalle schegge della granata che l'aveva colpito, sporco di fuliggine e di fango e di tutto l'odio che erano venuti a portare in quell'attacco.
Noa non aveva mai affrontato una cosa simile, aveva attaccato, ucciso, distrutto, ma sempre contro qualcuno che era armato fino ai denti, che minacciava la sua vita e quella dei suoi compagni, della sua gente, della sua patria.
Ma ora non era così, ora aveva davanti un cumulo di sterpaglie arse, in mezzo a un cumulo di vite spezzate.
Noa non poteva continuare a guardare...
Noa non poteva combattere contro degli inermi...
Noa....

Noa all‘improvviso cadde in avanti, e non si rese conto nemmeno di quello che il suo corpo aveva subito in quell'istante mentre il fuoco amico le aveva fatto esplodere la testa rasata.
Ormai di quei pensieri, di quella pietà, che per la prima volta aveva provato, non restava altro che una pozza di sangue e metallo, in mezzo al fango e agli steli verdi del riso.