L'intervista

Come dice? Sì, sì. Siamo saliti in tre sulla torre nottetempo portandoci negli zaini tutto quello che poteva esserci utile per i primi giorni: acqua, cibo, un po’ di farmaci essenziali, tenda, i materassini, i sacchi a pelo, la mazzetta e i lunghi chiodi di acciaio per fissare la tenda al terreno in cemento, teli di plastica.
Sì, non l'abbiamo detto a nessuno, a scanso di equivoci, perché non volevamo che questa nostra iniziativa potesse essere bloccata. Non c'era più spazio per le manfrine.
Ora questa forma di lotta è stata riconosciuta come propria e appoggiata dalle rappresentanze sindacali e qui sotto c'è il presidio quotidiano degli altri lavoratori.
Chi siamo? Io mi chiamo Mauro, sono il più anziano, ho 59 anni. Ne ho fatte di lotte, sa? Ne ho di chilometri nelle gambe, se penso a tutte le manifestazioni a cui ho partecipato. Me ne sono perse poche.
C’è poi Alfredo, il più giovane, ha 33 anni. E’ il più incazzato e il più libero di noi. Potrebbe andarsene, non ha obblighi, ma ha deciso che starà qui fino alla fine. Quindi, c’è Sergio che ha 48 anni, è il più inguaiato di tutti, ha moglie e figli e non sa che pesci pigliare. Certe volte lo vedo piangere e sbattere la testa contro il cemento della torre. È il candidato giusto per fare harakiri.
L'acqua e il cibo adesso li tiriamo su con la corda  e così facciamo scendere i nostri “scarti”. Beh, sì. Intendo i rifiuti in genere, anche quelli nostri. Beh, non è piacevole soddisfare quel tipo di bisogni, la roba grossa la facciamo dentro la carta di giornale che stendiamo per terra e poi raccogliamo dentro sacchetti di plastica. La pipì, invece, la facciamo dentro le bottiglie. Sembra di essere in guerra. E, in effetti, siamo in guerra.
Di notte fa freddo ma cerchiamo di scaldarci stando uno a ridosso dell'altro. Abbiamo tirato su delle nuove coperte ma si dorme per stanchezza, più che altro. Stanchezza fisica e di testa.
Cosa ci pesa di più? Difficile fare una scelta. Molte cose, dovrei mettermi a farle un elenco. Ci pesa essere costretti a vivere come bestie. Ad esempio, per nostra dignità, abbiamo deciso che ci saremmo lavati. Non dico ogni giorno ma abbastanza spesso da non urtarci l'un l'altro. Per rispetto l’uno dell’altro. Abbiamo costruito una rudimentale doccia, con pezzi di legno, dei teli di plastica e una pentola coi buchi come quelle per fare le caldarroste. Per il freddo, stringiamo i denti e ci laviamo alla svelta ma dopo stiamo bene, ci sentiamo a posto, come persone civili. Io no perché ho la barba ma Alfredo e Sergio si radono quasi ogni giorno.
Abbiamo anche un posto per accendere il fuoco e quindi c’è se si vuole  l’acqua calda o tiepida perlomeno. Il fuoco serve per scaldarci quando ci mettiamo lì a contarcela su o per gioco alziamo gli occhi al cielo e cerchiamo di riconoscere le stelle. Sapesse in certe sere quante ce ne sono, sembra di essere in montagna.
Con i mattoni che abbiamo tirato su con la corda abbiamo costruito una rudimentale turca, sotto tre teli che ci danno una parvenza d’idea di stare al cesso di casa nostra.
Chi ci appoggia, mi chiede? Le istituzioni, i partiti, le organizzazioni sindacali… Lei qua mi tira per i capelli ma io non me li lascio tirare, a questo punto la diplomazia sa dove me la infilo? E poi, oggi, è come sparare sulla Croce Rossa, ché è molto difficile difendere queste realtà oggigiorno, diciamolo. Le istituzioni? Ci sono quelli che non si fanno nemmeno vedere, sono contro la nostra lotta per principio: noi siamo solo dei rompicoglioni. Altri invece si fanno vedere, rilasciano una bella dichiarazione, si fanno fotografare e poi chi li vede più.
I partiti? Dio mio… i lavoratori sono stati cancellati da anni nella rappresentanza politica, non contano più nulla… Lo sa quanti operai ci sono oggi in Parlamento? Uno, sì uno. Messo lì perché non è bruciato vivo come i suoi sette compagni. Lo sa quanti operai c’erano nel parlamento italiano‐sabaudo all’inizio del Novecento? No? Beh, glielo dico io: Uno! Servono commenti?
Ne abbiamo fatto di strada, eh? Veniamo da lontano e andiamo lontano… Ci ho creduto tutta la vita, che cosa ci ho guadagnato?
I sindacati? Esistono perché si occupano d’altro, sono diventati delle agenzie di servizio: la compilazione del 740, le pratiche legali con l’Inps, gli sfratti, l’assicurazione, i viaggi. Fra l’altro, spesso con poca professionalità e molta presupponenza. Fanno tutto fuorché quello per cui sono nati: tutelare i lavoratori, difendere il lavoro, lottare, contrattare.
Uno dei tre firma tutto quello che gli propongono così dimostra che è lui che ottiene i risultati. Il secondo cerca di differenziarsi e poi si accoda come sempre. Il terzo si astiene, si ritrae, non firma. Ma le idee? Possibile che a inventare queste forme disperate di lotta debbano essere gli operai con le spalle al muro e il plotone di esecuzione davanti?
Cosa dobbiamo fare? Suicidarci? Buttarci giù dalla torre?
Nel 2012 sono morti 1180 lavoratori, sicuramente una cifra in difetto. 3 morti al giorno, uno ogni 8 ore, uno ogni giorno di lavoro. In questa misura, sono “omicidi sul lavoro”, non "morti sul lavoro". È un incessante tributo di sangue che non accenna a diminuire.
Ci dovremmo accordare fra di noi e invece di ammazzarci in estrema solitudine ‐ uno a uno, operai e piccoli imprenditori – trasformare  questa cosa in un fatto collettivo: in “suicidi di massa per assenza di lavoro”, alla maniera delle sette religiose. Questa sì che sarebbe una notizia, ma forse faremmo un bel favore a molti, non le pare?
Se siamo qui sopra significa che le abbiamo provate tutte ma senza risultato. Salire qui era l’unico modo per ottenere un po’ di visibilità per fare cassa di risonanza alle nostre rivendicazioni. Ma anche questa forma di lotta estrema si sta usurando. Quante torri come questa sono cresciute, qua e là in tutta Italia, in questo lungo inverno sociale? L’unico modo per finire sulle pagine dei giornali, nei notiziari televisivi ma poi non è nemmeno vero che finisca così perché fra i tanti funghi cresciuti sono sempre gli altri a scegliere. Tanti funghi non fanno una primavera e nemmeno una notizia.
Come stiamo in salute? Finora reggiamo, abbiamo un medico di fiducia che ci viene a visitare e perfino una psicologa. Ma non creda che sia tutto così semplice, è dura e nella testa ci vengono certi brutti pensieri.
Come trascorriamo le giornate? Beh, c’è molto da fare. Parlare con i giornalisti come sto facendo adesso con lei. Tirare su le vettovaglie. Eseguire le corvèe. Fare qualche esercizio ginnico. Qualche volta giochiamo a carte, ma solo se siamo all’ultima spiaggia. Leggere.
Cosa leggiamo? Sergio legge dei romanzi gialli e ama l’enigmistica. Alfredo amava i fumetti, una vera esaltazione, ma ora si è affinato: Per impulso della sua ragazza che è una disegnatrice si è appassionato ai romanzi grafici o fumetti d’autore. Sono molto belli, sa? Piacciono anche a me.
Io invece mi sono preso il tempo necessario per leggere i classici, quelli veri. L’Odissea e I promessi sposi. Del Manzoni conoscevo già delle sue poesie e La storia della Colonna infame. Il suo romanzo me l’avevano fatto odiare alle industriali. Non l’avevo più ripreso in mano ma devo dire che a parte il suo messaggio cattolico e romantico è un gran bel libro. Ora ho capito cosa voleva dire con “aver sciacquato i panni in Arno”, lui ha aggiornato la lingua italiana passando dalla lingua rococò del Settecento alla lingua che tuttora adoperiamo.
Di Omero cosa debbo dire? Quanti migliaia di anni sono che lo stiamo  leggendo e non ci stanca mai? E poi, la nostra lotta, non è in fondo una piccola Odissea?