L'uovo e il pirata

L’uovo era ancora lì, sul tettino dell’Opel nera, e non si muoveva, neanche un segno.
Marco si avvicinò e lo scrutò. Niente di strano, sempre le stesse striature e un rosa pallido che non accennava a cambiare.
Luca s’appoggiò all’albero e disse: “Vieni qua sotto, è inutile che stai al sole. Dobbiamo solo aspettare.”
“Sei sicuro? Qui non cambia niente, e stiamo morendo di caldo.”
“Fidati, è così.”

Marco e Luca erano ancora lì, sotto l’albero, e non si muovevano, neanche un segno.
Luana li osservava dal balcone, aveva un debole per Marco e sarebbe rimasta a guardarlo tutto il giorno visto che si vergognava troppo a parlargli.
Raccolse l’asciugamano da mare, sollevò lo schienale della sdraio e si mise comoda a far finta di prendere il sole.

Luana era ancora lì, sullo sdraio, e non si muoveva, neanche un segno.
Vestito da pirata, sul terrazzo di casa, con benda e cannocchiale, Giovanni scrutava il mondo sottostante alla ricerca di una nave da abbordare. Ma non ce n’erano.
Qualche palazzina a babordo, delle casette a settentrione, e a meridione un paio di bambini in un giardino e una bambina in un balcone. “Osp, una donzella!” corresse i suoi pensieri ad alta voce.
Cercò d’inquadrarla meglio, ma non c’era molto da fare. Quel binocolo giocattolo sarebbe servito a poco. L’avrebbe raggiunta!
Prese una corda e legò un capo allo stendino, l’altro alla vita. Si posizionò in bilico sulla ringhiera e fece per tuffarsi all’arrembaggio.

L’uovo non s’era mosso.
Marco disse: “Forse il sole non è abbastanza forte.”
Luca si avvicinò alla macchina, toccò il cofano e subito allontanò la mano. “Scotta!”
“Allora è l’uovo che è fasullo.”
“Mah… possibile che una gallina riscalda più del sole?”
“Allora la gallina è fasulla.”
“Dai, non è possibile era…”
“OhoooOoooOooooooo” un urlò li fece voltare in una non precisata direzione. Poi un altro: “AHHHHHAAAAAAAA”, e videro Luana indicare un bambino che penzolava avanti e in dietro.
“Oh, cavoli!” dissero i due all’unisono.
“Che diavolo facciamo?” disse Luca.
Marco si voltò stupito dalla domanda. “Vai a chiamare papà, subito!”
Luana saltellava sul balcone di casa urlando: “Mamma, mamma.”
Lei arrivò e vide la figlia nel panico, poi vide il bambino nuotare a rana per aria e aprì la bocca dallo stupore. Bocca che venne subito riattappata da una mano perché l’educazione non sarebbe mai venuta meno, anche nei momento più strani…
Entrò dentro casa e chiamò l’ambulanza e i pompieri, sperando che della prima non ce ne fosse bisogno e per quanto riguardava i pompieri non le sarebbe dispiaciuto conoscerli: donna vedova che rimorchiava un pompiere, un classico.
Luana attraversò il salone correndo, sbatté la porta e scese di corsa le scale. Che maleducata, pensò la madre, ma forse questa volta non la rimprovero.

Marco era arrivato sotto il palazzo del bambino. Vide che da quel lato c’erano finestre, ma niente balconi. Vide il bambino che piagnucolava e gli chiese: “Come ti chiami?”
“Giovanni.”
“Come va?”
“Uhm, bene.”
“Ok, ehm, dai, sul serio, che è successo?”
“Volevo saltare su quel balcone” disse direzionando in maniera vaga il suo indice verso un palazzo.
“E’ a dieci metri dal tuo!”
“Me ne sono accorto…”
Stang, stunc, stunc, alluminio e acciaio si scontrarono in terrazzo, e un pezzo volò fuori e Giovanni precipitò d’un metro.
“Cos’era?” chiese Marco preoccupato.
“Sai, sono legato a uno stendino…”

Luca, il papà e Luana erano arrivati assieme. Il papà aveva con sé una scala di quelle che una volta appoggiate alla parete si allungano e provò a raggiungere Giovanni, ma era troppo distante.
Luana guardò Giovanni, poi Luca e chiese: “Dov’è Marco?” e divenne rossa in viso.
Luca alzò le spalle e Giovanni rispose: “Sta risalendo le scale e sta cercando qualcuno per aprire il portone del terrazzo… io l’avevo chiuso dall’esterno perché non volevo essere disturbato.”
Il papà evitò di pensare alla stupidità di Giovanni e invece pensò a quanto fosse intelligente suo figlio Marco. Sì, senza dubbio diventerà un dottore o un avvocato, pensò.

Marco aveva citofonato a tutti, e dopo era corso a bussare alle porte dei singoli appartamenti, però, a parte un vecchietto pieno d’energie, il resto della palazzina era stata diffidente e s’era immaginata il solito scherzo di qualche ragazzino.
Il vecchietto aveva in mano delle forbici, una lattina di birra e una spilla da balia, e fermo davanti al portone del terrazzo spiegava a Marco: “Questa è una serratura a cilindro europeo, ed è molto facile da aprire, per fortuna. Vedi, ora con le forbici taglio la lattina ricavandone una piccola lastra d’alluminio grossa quanto un telefonino.”
Marco assisteva ammirandolo.
“Bene, facendo due tagli in questi punti, e piegandola a metà verrà resistente e della grandezza della serratura. La infilò dentro la serratura, infilo pure la spilla da balia e giro in senso orario.”
Click, il portone si aprì.
Marco e il vecchietto corsero fuori, afferrarono lo stendino, che però si spezzò in più parti, allora presero la corda e iniziarono a tirare.
In un minuto Giovanni era stato trascinato sulla sua nave‐terrazzo, distrutto psicologicamente per quanto aveva fatto, ma non abbastanza da ritentare tutto in futuro. I dottori arrivati poco dopo gli avevano dato qualche pomata per i lividi e avevano minacciato di denunciare i genitori.
Marco ringraziò il vecchietto e gli disse che sarebbe tornato ad imparare qualche trucchetto. Scese le scale e venne accolto da una piccola folla calorosa, con Luana, il papà e Luca che l’abbracciarono a festa. Poi insieme tornano alla macchina in giardino e videro che l’uovo s’era schiuso, ma del pulcino non c’era neanche l’ombra.