La bottiglia

La giornata era limpida e tersa. L’aria frizzantina delle otto di un mattino di marzo pizzicava il volto e le parti scoperte del corpo di Adamo. Nike nuove e immacolate, i pugni serrati ai fianchi di chi produce uno sforzo notevole a cagione di allenamento scarso, l’eterno andare e venire dell’onda sulla battigia… la sabbia dura e ostinata a ficcarsi tra la gomma della suola delle scarpette ad ogni passo.
Percorsi cento metri sì e no, con già il fiatone sospeso tra lo stomaco e il collo, la vide. Sembrava aspettarlo. Chissà da quanto era là… apparentemente abbandonata sulla sabbia, la metà inferiore conficcata malamente, sempre sul punto di stare per essere trascinata via dal mare e invece no… tenace a restare nel mondo degli esseri terrestri, quasi stanca di aver vissuto per decenni nell’acqua.
Adamo si era fermato ora… La vecchia bottiglia opacizzata e sbiadita sembrava osservarlo: il fiatone ancora, ora non più per la corsa, ma per lo stupore. Si chinò ad afferrarla circospetto con tutta la curiosità possibile di questo mondo; “Chissà, forse contiene qualcosa di valore” pensò mentre si guardava attorno pur sapendo benissimo che solo qualche gabbiano in lontananza faceva capolino o planava, come del resto i lontani stridii svelavano. Pesava più di quanto si aspettasse e fece quasi uno sforzo per estrarla dalla rena bagnata, novello Artù con la sua Excalibur: con la mano spazzolò delicatamente la sabbia incrostata, quasi timoroso il vetro implodesse. Il tappo non poteva più definirsi tale, ormai un tutt’uno col vetro, una sorta di ceralacca, cartone, legno, cordame, sabbia, cementati tra loro; ma… venne via subito, gli bastò tirare leggermente: un “flop” stanco, l’odore dell’aria stantia che solo per un attimo sovrastò quello del mare…
Il mare! In tutti quei lunghi attimi aveva seguitato il suo eterno andirivieni e solo ora Adamo lo sentiva di nuovo nonostante il suo ansimare… il foglio giallo e incartapecorito arrotolato all’interno era ormai quasi illeggibile, passò a stento dal collo stretto; qualche colpetto capovolto e fu fuori, nella mano curiosa di Adamo.
Non ebbe neanche il tempo di accorgersene, la sensazione di orrore nel vedersi risucchiare all’interno di quelle pareti di vetro troppo spesse e irreali… la voglia di urlare e l’impossibilità a farlo, quasi la sensazione di non averla, la bocca.
Si ritrovò a terra in un attimo… dentro la bottiglia sporca ora c’era lui.
L’essere che ne era uscito e si era impossessato del suo corpo che si allontanava con le sue belle scarpette Nike (avevano percorso solo 100 metri scarsi sulla distesa sabbiosa) quasi immacolate era lì da decenni in attesa, famelico come il ragno della mosca.
L’ondata successiva se lo prese Adamo, lui e la bottiglia, trascinandolo nell’acqua d’improvviso gelida.
Un improvvisato, ipotetico, spettatore avrebbe scorto forse un occhio allibito e stupefatto con quasi più niente di umano, fuori ormai dall’orbita e pressoché incollato, ciglia, iride e tutto a quel vetro lattiginoso…
A terra un foglio spiegazzato e ingiallito su cui a esser dotati di buona vista si poteva scorgere una riga: “Non ti fermare mai quando corri…”