La mia stanza

Quello che segue non è proprio un racconto, ma trattasi essenzialmente di un "esercizio letterario". Il tutto nacque intorno ai primi mesi del 2014, quando ascoltai su rai storia una vecchia intervista fatta a Corrado Alvaro (spero di ricordare bene, tuttavia, e di non confondermi col nome ed il cognome dell'autore!). Lo scrittore di San Luca (zona della Calabria tristemente nota per fatti non del tutto letterari), nel corso della stessa parlò anche di un esercizio letterario ‐ appunto ‐ da poter svolgere ad opera dei neofiti ed imberbi scrittori come me: concentrarsi, cioé, su un oggetto vicino o a portata di...occhio, oppure su un luogo spesso frequentato e descriverlo. L'attenzione, così, cadde subito (di getto, quasi incondizionatamente!), su quella che definisco essere la "mia" stanza. Ovvero, uno dei luoghi più frequentati nel corso della mia esistenza. Uno dei luoghi compagno della mia vita, sovente e volentieri: soprattutto nell'ultimo anno di tempo. Ne nacque, quindi, la descrizione che segue.
"La mia stanza è la terza in ordine d'ingresso o meglio di entrata; ovverosia entrando dalla porta d'ingresso che da sull'androne dove scorrono, di fianco all'ascensore, le scale: che non sono, si badi bene, come quelle di Escher le quali girano sempre su sé stesse, senza mai a nulla condurre né da nessuna altra parte...esse ‐ fortuna per loro! ‐ arrivano sino al portone che sfocia, a sua volta, sul marciapiede che costeggia la strada. Essa è la "mia" stanza: in quanto al suo interno vi trascorro gran parte delle ore che il dì scandiscono (eppure la notte), intercalando il tempo ‐ a volte ‐ con numerose divagazioni sui generis...fuori porta!  E' anche la terza per ordine di grandezza: posta in mezzo alla camera da pranzo che da a nord, confinante con una frazione di appartamento appartenente ad uno stabile attiguo, e la camera da letto grande, quella matrimoniale ove soggiornavano nottetempo i miei genitori, dacché sono stati [Essi] in vita ed in figura su questa terra (la mia carissima zia materna Mary che io, inguaribile esterofilo, chiamavo a quel modo proprio a volerne inglesizzare ed americanizzare il nome, mentre sbrigava le faccende di pulizia in alcune stanze ‐ accadeva sempre durante il fine settimana, quando era a casa dal lavoro ed io dalla scuola ‐ sovente mi ripeteva le seguenti parole: ‐ Ricordati che tutti siamo niente. Oggi in figura e domani in sepoltura! ‐ Si riferiva, ovviamente, alla vacuità del destino dell'essere umano e di tutti gli altri esseri viventi, il suo non era, però, un fare noioso e funereo al contrario la definirei saggezza frammista a realismo, meglio ancora realistica accettazione delle cose e dell'esistenza, pur essendo essa credente e cattolica nonché dotata di gran senso religioso... direi che fosse stato quello il mio primo contatto, quand'ero ancora imberbe ragazzino, con l'aldilà e con l'idea della morte più in generale; quelle parole mi ritornano spesso nelle orecchie, ora che sono più adulto, quasi vecchio!). La mia stanza, dicevo, è la terza stanza dell'appartamento che io abito (tre è il numero perfetto: i pitagorici lo consideravano tale in quanto per loro era la sintesi del due ‐ numero pari ‐ e dell'uno ‐ numero dispari ‐; tante civiltà e religioni lo considerano tale: è per questo, forse, che la stanza di cui vi parlo è quella che considero essere più "mia" rispetto alle altre...o forse è mera casualità!); laddove abito e dimoro, cioé, sin dalla lontanissima estate del 1969, quella che definii essere stata, in tempi recenti, la "lunga estate di Belfagor" (questo nomignolo deriva da un vecchio sceneggiato, "Belfagor", appunto, passato in tivù, e che in una estate lontanissima, ancorché ancora viva e vegeta nella mia mente, tenne ben fermo e quieto me ed altri bimbetti di allora, suppongo, sotto il letto...bloccato dalla paura!): quando vi emigrammo da un'altro quartiere della città io ‐ bimbo allor d'appena un lustro d'età ‐ e la mia famiglia tutta intiera ed insieme; è la terza stanza dell'appartamento sito all'ottavo piano di uno stabile popolare seminuovo (lo é, sebbene esso sia oramai "vecchio" di ben cinque lustri ed abbia dovuto sostenere numerosi maquillage e rifacimenti di viso...facciata!), di quelli inclusi nella categoria "A4" secondo quanto è scritto nella visura catastale originaria (o secondo ciocché essa recita...sarebbe forse meglio dire!); o meglio ancora, in base alla classificazione "arida" assai ed alquanto ‐ nonostante essa sia notevolmente essenziale e pratica ‐ stabilita dal nuovo catasto urbano all'incirca trenta anni fa (la visura originaria, infatti, quella redatta dall'esimio geometra Pantano ‐ non so, però, se fosse anche lustrissimo! ‐ , titolare dello studio omonimo ed al tempo sito alla via Temenide civico diciannove, in Taranto, recava scritto: unità immobiliare A 18): posto [lui], in una zona cittadina la quale, sino a vent'anni fa,  era definita "fuori borgo"; decentrata, cioé, dal centro cittadino, quasi periferia; mentre oggi, invero, è essa stessa diventata borgo, quasi centro, rispetto ad altre zone: fattesi esse stesse periferia o periferie ‐ ad opera e per merito, forse...per colpa più che altro dello sviluppo extraurbano, scellerato e scellerabile, avvenuto d'amblé ‐ quindi sempre più ‐ ed inesorabilmente ‐ lontane dal centro. E' la terza stanza, la mia stanza, se si esclude lo sgabuzzino piccolo il quale, a volta sua, è dirimpettaio dell'ingresso e del disimpegno (frazione più piccola del corridoio che sbocca nella cucina), è funge da ripostiglio o solaio interno (in poche parole, che povere non sono affatto, avente funzione di scantinato o mezzanino) che ben si possa dire, anzi, affermare: colà, cioé, dove la roba vecchia metto a riposare o in stand‐by prima ch'essa affronti l'ultimo suo viaggio, insieme al pattume di casa, verso il cassonetto del pattume che abita sotto casa; ivi attendendo d'esser poi trasportata in discarica con l'altro pattume (suo fratello: sebbene sia esso di madre diversa e forse ignota!) ed in compagnia dell'altra roba vecchia e magari dei sorci verdi! E' la mia stanza, adesso, questa stanza: proprio perché adesso è soltanto "mia" (in realtà lo è da ben sei anni, non uno di più e neanche di meno: uno in più, cioé, d'un lustro che di anni ne conta cinque!), mentre pria era in primis la "loro" eppoi anche la mia; è la mia stanza, adesso: perché adesso appartiene solamente a me, così come le altre stanze vuote. Invero, essa reca con sè i segni del tempo, quel tiranno inesorabile che lentamente scorre senza infamia né lode: li porta fiera, però, sulle sue spalle vecchie ma ancora forti; su quelle spalle che sono i muri: avvolti in una carta talmente sottile e lieve da apparire talora quasi eterea...grondano di ricordi, di suoni e di strane voci. Occidua guarda, la mia stanza, il balcone che da sulla strada esterna ed il quale guarda, a sua volta, la strada: ed insieme, come entrambi, guardano lo scorrere del tempo senza ch'essi portino occhiali sopra gli occhi che non posseggono...allo stesso, identico e perpetuo modo la mia stanza osserva il sole nascere e morire, ogni giorno, la luna sorgere e calare ogni sacrosanta sera sopra il cielo; ed ascolta lo scorrere del traffico che percorre la strada sottostante al di sopra di quel cielo che la oscura o la illumina ad intermittenza e secondo l'alternarsi delle stagioni durante l'anno astronomico. Ogni notte, silenziosa e stanca, la mia stanza si addormenta insieme a me: che a volte, a mia volta, sono silenzioso e spesso stanco ‐ ma non sempre, però ‐ quando mi addormento. E' la mia stanza, adesso: solo e soltanto "mia"!

Taranto, 14 marzo 2014.