La soglia

Nella stanza abbastanza capiente, costeggiata da corridoi informi, ripieni di dolore per il troppo.
Sopra la caldaia, che un po’ riscalda vicino la macchinetta del caffé, non lontano dallo stanzone dei ticket.
La stanza è costruita in prefabbricato. I tavolini sono originali. Un designer pagato da una banca li ha progettati e colorati sinuosi.
Il sole fa capolino dall’unica finestra. Gli infissi sono vecchi. Il legno si scrosta (forse è come una lucertola).
In questa primavera non c’è niente da pensare. Proprio nulla.
Gaetano è seduto ma la sua testa gira vorticosamente, capita che sia la stanza a girare, le sue orecchie percepiscono qualcuno che voglia fare il furbo: è un sussurrare.
Nel pomeriggio a casa ci sono tutti. È un ambiente familiare. Padre, madre, sorella, sorellina, morosa, un amico.
Dentro c’è un insopportabile  caldo. I familiari non fiatano. Non c’è odore di chiuso, solo musica classica. Tutti resistono, tutti vanno oltre.
Ogni mattina Gaetano si alza presto, si cambia. Non sopporta la puzza che in una sola notte si accumula nella biancheria intima. Deve essere pulito. Poi torna.
Ogni volta si guarda attorno: solo camici bianchi, solo minuscole fotografie e nomi e cognomi. I corridoi sono sempre popolati. Le stanze si popolano. Parlano la sua lingua, il corpo trasmette gli stessi messaggi.
Lui si incanta a guardare lungo le pareti: sfoghi, divieti, annunci.
È come in gruppo, è come con gli amici: se trovi… se hai perso... perché loro sanno come vestirti.
Poi arriva il dottore. Sua sorella corrompe i vicini per tenerlo fermo.
Tutti ci parlano, tutti lo toccano. Lei chiude la porta dello studio.
Il medico la vede. Lavora in mezzo ad un ammasso di carte. E’ l’unico dottore senza camice, senza cartellino, che non si cura la barba.
Stiamo lavorando, cara ragazza, la massa tumorale di tuo fratello è diminuita, adesso dobbiamo fermarci per un po’ perché rischiamo di compromettere il suo fisico.
Potrebbe non rispondere, potrebbe non farcela.
La mente della sorella si riempie di odori e di oggetti.
La sua mente è un grumo disordinato che appare in maniera intermittente.
Di notte, di giorno, lungo la strada.
A lei sembra che anche i cubetti di porfido le dicano qualcosa.
Che gli animali domestici, trincerati dietro solide staccionate, ballino e danzino al suo fianco.
Passano cinque minuti. Lei e il fratello escono fuori.
L’asfalto ha un’anima. Una volta si camminava e basta, ora è tutta una sinfonia.
Ritornano a casa.
Lasciano la macchina vicino ad un cassonetto, dove dentro ci sono oscuri rifiuti organici.
Salgono le scale. Gaetano ansima ma è arguto e veloce.
Non si fa aiutare.
Fuori dalle finestre, i panni si librano, si rimpiccioliscono. Prendono una loro forma: sono tondi, sono cerchi colorati.
Entrano in casa.
Lui inserisce una cassetta nel mangianastri: la sua prova.
Nella prima periferia, lui da solo, un assolo con la chitarra. 
Immagina che poi anche gli altri ascoltino la sua musica come un rito, a turno. Ascoltino, ascoltino e poi la pensino. Nudi nella loro mente.
In quel banchetto di uomini appaiono sagome in bianco e nero: buffi manichini inautentici ogni settimana si alternano davanti al suo relitto.
Mentre l’amico prepara il tè, tutti si guardano resi più potenti dalle maschere. Qualcuno segue una voce, un altro ordina da bere, altri eseguono strani volteggi.
Intanto intonano una canzone ma nessuno sa che cosa sia. Non è una melodia. Fa paura.
Gaetano ha paura.
Il gatto si avvicina, lo annusa, si strofina. Lui dice pensa a quanti fiori vedrai luccicare dalla  finestra, a quanti brusii ti costringeranno ad ascoltare, pensa a quanti dormiranno senza il fastidio di una zanzara.
E’ sera.
Tutti sono seduti attorno ad un tavolo. Nessuno si azzarderà ad aprir bocca. La madre ripara un oggetto. Il padre pensa all’andamento della bottega. La sorella studia su quel manuale che tanto le ha insegnato. La morosa pensa al bonsai abbandonato a casa.
Poi  ricominciano a parlare ma non si guardano, non muovono le mani, non camminano, desistono dal leggere, non imparano.
Un silenzio sporco inonda la casa.
Nella stanza tre luci si illuminano: il giallo, il rosso, l’arancione.
Gaetano vorrebbe aprir bocca, dire qualcosa, continuare un discorso che gli altri appena accennano di là. Come nelle storie, quando succede qualcosa.
Ma è impedito, non partecipa.
In una stanza colma di scatole, in una smisurata notte, tutte le residue maschere finiscono nella spazzatura.
Un nero rumoroso fagocita tutto.