Le donne arrivano sempre in ritardo

Avessi avuto una donna tra le mani sarebbe andato tutto diversamente. Ma come sempre accade, nel momento in cui hai più bisogno di loro ti girano le spalle, ti lasciano affondare.
Sarei uscito da quel maledetto locale a testa alta, magari ridimensionato, ma non deriso e bastonato.
La mia reputazione ormai mi precedeva ovunque in città. Tutti si aspettavano di vedere il grande Leslie dare una bella lezione delle sue, e intanto umiliare lo spaccone di turno.
Ho fatto l’errore di andarci da solo in quel posto malfamato e corrotto. Avessi avuto con me un paio di amici, avremmo potuto e saputo cavarci d’impiccio e demolire qualcuna di quelle facce da culo.
Invece ci sono uscito io con la faccia spaccata, e con la dignità sotto le scarpe.
Il grande Leslie questa volta ha avuto una bella lezione. I lividi e le ossa incrinate guariranno, andranno a posto, ma l’autostima è stata drasticamente ridimensionata, forse per sempre.
Quando la gente si abitua a vederti vincere, a troneggiare come un semidio, prende sempre lo stesso atteggiamento; ti lodano, ti leccano il sedere, ma in cuor loro sperano di vederti cadere nella polvere. E tutti vogliono sfidarti. È la storia del mondo, da sempre.

Se quella sera avessi invece insistito con Paula, per vederci e cercare di appianare i nostri dissapori, l’avessi invitata a cena e poi a una romantica passeggiata sul lungomare, oppure una focosa nottata di ballo e di sesso, sarebbe andato tutto diversamente.
Invece, visto il suo ritardo a richiamarmi, ho spento il cellulare e sono uscito.
Ma anche l’uomo più accorto e talentuoso prima o poi commette un passo falso, combina un casino.
Ho seguito il mio istinto bacato, che mi diceva di fregarsene di Paula, di lasciarla sola a cuocere nel suo brodo, le sarebbe servito a capire quanto fossi importante per lei. E ho seguito, come una pecora, il mio inveterato vizio, senza pensare, senza domandarmi se magari era il momento di fare qualcosa di diverso dal solito. Si vive troppo di abitudini, buone o cattive che siano.

Sono abituato ad avere a che fare con avversari di ogni tipo, non temo nessuno, conosco le mie capacità e ho le mie collaudate strategie.
Ma quando incontri gente che è lì solo per attaccare briga e nient’altro, le strategie servono a poco.
Quando ho intuito che la serata avrebbe preso una piega pericolosa, mi sono detto, okay, questi qui stanno cercando una scusa per saltarmi addosso, glielo leggo negli occhi.
Così ho provato ad assecondarli, per vedere se le loro intenzioni erano solo passeggere o avevano fermamente deciso di darmi una lezione, per quello che può significare nelle menti malate e troglodite di individui come quelli.
Non c’è niente di più bruciante dell’invidia dei falliti, di quelli che hanno speso anni e anni a fare la tua stessa attività, ma mentre loro sono rimasti a macerare nella palude della mediocrità, tu sei assurto all’olimpo dei grandi. Tu sei un vincente e loro i perdenti. E tanto basta per provocare la reazione animale.

Dapprima ho lasciato che fossero loro, tre mafiosetti da poco, a condurre il gioco, con quelle facce squadrate e stolide, quegli sguardi porcini, pieni di rabbiosa concupiscenza e di disprezzo per tutto e tutti.
Li ho lasciati giocare per un po’, sottostando alle loro maldestre manovre, alle loro tattiche da presuntuosi dilettanti. Inveterati falliti.
Ero in bilico, tra dare soddisfazione a quei tre gorilla e a tutti i loro compari, oppure difendere la mia reputazione e dargli una lezione.

Il wishky mi scendeva in gola, con la sua usuale ruvida carezza, bruciante e stimolante. Le mie mani si muovevano calme e controllate. I miei occhi non tradivano nessuna emozione.
L’uomo di fronte a me sudava copiosamente e continuamente, più di rabbia malcelata che non di fatica o di stress. Gli altri due, ai miei fianchi, sbuffavano e sbraitavano le loro sconcezze, i loro aneddotti pruriginosi e volgari. Provarono diverse volte a coinvolgermi in dissertazioni più o meno bestiali sulla fica e sulle donne, ma io mi limitavo a brevi e recisi commenti, senza assecondare la loro putrida voglia di turpiloquio e patetica automitizzazione. Non c’è niente di più ridicolo di un gorillotto di un metro e sessantacinque, con la faccia da neanderthal, che millanta fatali conquiste di belle donne e sovrumane prestazioni sessuali. Il tutto condito dalla loro usuale mimica grottesca e sporcacciona.

Essendo conosciuto come discreto seduttore di donne belle e desiderate, nessuno dei presenti si è azzardato a insinuare qualcosa sulla mia virilità, nonostante fossero visibilmente contrariati dal mio rifiuto di partecipare alle loro volgari pantomime. Ma questo li ha resi ancora più invidiosi e rabbiosi, forse speravano in cuor loro di attingere un po’ di sapienza, un briciolo di capacità, da me.
Certo hanno scelto il modo peggiore per cercare di entrare nelle mie simpatie. La gente così è totalmente incapace di entrare in comunicazione, in empatia con chiunque. I loro rapporti sono fatti di latrati, ringhi e ululati.
Eppure vivono nello stesso mondo di tutti gli altri. È sempre un mistero sorprendente, per me, osservare quanto si possa essere diversi, pur vivendo nella stessa città, addirittura nello stesso quartiere o condominio. Pur appartenenendo alla stessa razza.

Sta di fatto che dopo un’oretta che eravamo al tavolo, al quale mi avevano costretto a sedermi con le loro insistenze sgraziate e pretenziose, era fin troppo chiaro che la serata sarebbe finita male.
Non potevo lasciarli vincere facilmente, sarebbe stato poco credibile e poco dignitoso per me. Così ho cercato di gestire la partita in maniera scaltra e complessa, confidando nello scarso acume di quei cavernicoli. Quando i rispettivi gruzzoli furono propriamente ridistribuiti, un bel malloppo nelle mani del capetto, poche fiches agli altri due, e il mio ridotto solo di un terzo; il capobanda iniziava ad essere soddisfatto della piega presa dalla partita. Mi guardava con un ghigno di sfida, l’idiota, pensando di essere pari o più bravo di me. E guardava i suoi compari con ugual disprezzo e complicità.
Non si era nemmeno reso conto che ogni fiche che era girata su quel tavolo era stata guidata da me, che ogni singola mano aveva avuto l’esito che io avevo previsto. Avrei potuto farli fuori tutti e tre in poche mani. Invece, avendo fiutato la loro intenzione di attaccare rissa al minimo pretesto, avevo deciso di illuderli per un po’, magari di farli anche vincere. A me qualche migliaio di dollari in più o in meno non fanno la differenza. E al poker si vince e si perde.
Ma qualcosa continuava a rodermi dentro. Se avessi ceduto, vigliaccamente anche se giudiziosamente, alle loro minacciose intenzioni, che uomo sarei stato? E che giocatore professionista sarei stato?

Speravo di cavarmi d’impiccio lasciandoli vincere un po’, tirando per le lunghe, e quindi ritirarmi a una certa ora. Ma il trio di coatti aveva tutta l’intenzione di spennarmi e probabilmente anche di darmi una bella ripassata. È un grave errore entrare nel posto sbagliato, il mondo non è fatto di libertà, di rispetto, di diritto. È fatto di covi, di cerchie, di famiglie. Ogni strato della società ha i suoi luoghi esclusivi, siano essi i grandi alberghi internazionali, le grandi università, oppure le bettole e i bordelli da due soldi. Uscire dal proprio recinto e infilarsi nel territorio di chi non è come te è pericoloso.

Dopo quasi quattro ore di gioco, la situazione non si sbloccava, o meglio io non lasciavo che si sbloccasse, per procrastinare il momento della verità. Finché quell’idiota non ha fatto un all‐in dopo il turn. Si è giocato tutto su una coppia di assi servita al primo giro. Sul board c’erano due jack, dieci e re. Io avevo asso e nove. Se avessi avuto una donna l’avrei buttato fuori prima che puntasse tutto il suo malloppo. Ma la donna, come sempre, è arrivata in ritardo, quando ormai pensavo di cavarmi dalla situazione lasciando vincere quel gorilla. Ho fatto anch’io all‐in, giusto per finire in bellezza e dare all’avversario la sensazione di aver fatto il colpaccio che racconterà per il resto della sua vita. Quando ha battuto il grande Leslie seduto al tavolo di un sudicio bar di periferia.
Ed è arrivata la donna, con il suo disastroso ritardo. La mia scala ha demolito i sogni di gloria del cavernicolo. I suoi compari hanno preso un’espressione di delusione fanciullesca, quasi commovente. Per due o tre secondi. Poi il capetto si è alzato dal tavolo buttando all’aria le carte e le fiches, mi si è avventato addosso e, insieme agli altri due, mi ha gonfiato come un pallone.
Le strategie di gioco, così come quelle di vita, non sono sempre efficaci, per quanto abile puoi essere. Prima o poi si perde. E le donne arrivano sempre in ritardo.