Le vie del silenzio

In una giornata di sole nulla potrebbe andare storto.
Lo dico tra me, ma è solo un attimo, poi i miei occhi si posano sul Volto del Cavallo.

Strano come i turisti visitando Ferrara, forse già col ventre rigonfio di cappellacci di zucca, non s’accorgano che le due colonne del volto sono diverse fra loro.
Quella che ha l’onore di sorreggere il duca Borso d’Este è più larga. E’ fatta di strati di marmo e mattoni che non provengono da nessuna cava: sono lapidi funerarie levate ai cimiteri ebraici.

La cosa risultò palese nel 1961 quando, volendo restaurare la colonna, ci si ritrovò di fronte ad iscrizioni smozzicate e tronche preghiere di benedizione.
Le lapidi vennero fotografate e la colonna le fagocitò di nuovo.
A nulla valsero le suppliche della Comunità Ebraica.

E’ questo che accade in un giorno di sole.
Mentre tu rimani affascinato da queste finestre... quante sono? Tantissime.

Stai percorrendo Via Mazzini. Tutte quelle finestre a raccontarti quante persone erano costrette a vivere in un solo edificio.
Cinque cancelli cingevano le strade del ghetto, non vedi i cardini?
In Via Vignatagliata rivedo la scuola ebraica, dopo il 1938, quando l’Italia ci bollò come razza ebraica, potevamo studiare soltanto qui. Avevamo i migliori insegnanti della città, quelli costretti a seguirci in questa scuola, ebrei anche loro.

Ferrara è una città strana, la diresti dormiente. Ma non lo è affatto, credimi.

Gli Este accolsero qui la mia gente, gente che scappava, ma quando Ferrara entrò a far parte dello Stato Pontificio, il Papa non ne volle sapere di noi.
Solo l’unità d’Italia ci fece integrare in quella che abbiamo sempre considerato patria.
Combattemmo e morimmo, da uomini, non solo da ebrei.
Stranieri? Beh, non lo eravamo, non fino al 1938.

E qui comincia la storia che voglio raccontarti.

Il primo podestà della mia città fu un avvocato ebreo. Brava persona, ma ebreo.
Credo sia stato Italo Balbo ad avvertirlo del vento che cambiava.
Quando si dimise, mia nonna, donna saggia, temette il peggio.

In casa nostra, antica famiglia borghese, non mancavano gli oggetti di valore.
Mia nonna volle salvare un antico Yad ad ogni costo.
Lo Yad è una piccola mano indicatrice usata per tenere il segno durante la lettura del Sefer Torah.
Nessuna mano umana, infatti, può toccare le Sacre Scritture.
Lo Yad che mia nonna conservava così gelosamente, era stato portato a Ferrara dai nostri antenati cacciati dalla cattolica Spagna.

Ferrara è città di brava gente, gente onesta. In quegli anni, quando insulti e povertà entrarono nelle nostre vite, furono in molti a darci una mano.
Ma furono tanti anche quelli che si premurarono di riempire dettagliati fascicoli. Ci schedarono e ci portarono via tutto.

Lo zelo di alcuni fa rabbrividire. L’Archivio di Stato conserva ancora tre elenchi, frutto dell’interesse personale di qualche funzionario. Documenti mai richiesti dalla Prefettura, ma che qualcuno compilò con meticolosità. Vennero buoni, quei tomi, nel ’43, quando si mandò la gente a morire.

Ma quell’antico simbolo ebraico, mia nonna lo volle salvare.

Erano i primi mesi del 1939. Dopo aver avvolto il prezioso Yad ed averlo nascosto in una valigia assieme a vecchi abiti, mio fratello maggiore partì per la Svizzera.
Era un’impresa disperata, lo sapevamo bene. L’avrebbero braccato, pensammo... e così avvenne.
Arrivò alla stazione di Bologna e sparì nel nulla, con la valigia.

Sono passati anni, troppi a contarli.
Non so dove sia finito lo Yad, o almeno quello celato nella valigia.
Quella copia da due soldi che mia nonna consegnò a mio fratello.

Lo seppi quando decisi di restaurare il mio vecchio appartamento in Via Mazzini, di fronte alla Sinagoga.
In quella che fu la stanza da letto dei miei nonni, sotto il pavimento, trovai una nicchia.

Lo Yad dei miei avi era là.

Mia nonna, con saggezza, deve aver pensato che nessuno avrebbe cercato a casa nostra ciò che già ci era stato rubato.

Si sentono molte storie di gente mandata a morire inutilmente, ma un fratello morto per una patacca da rigattiere può forse darti l'idea di quanto triste sia la nebbia del tempo che avvolge la mia Ferrara.