Un faro nel vuoto

Quando mi dissero che dovevo installare un mareografo nel Delta non immaginavo sarei finito in un posto simile.  Mi aveva inviato la Provincia, con altri tre tecnici. Cartina alla mano perché se ti perdi da queste parti ti ritrovano dopo mesi... come sull’ Everest!
Finché si è trattato di percorrere la statale e immettersi sulla provinciale, tutto bene. Poi ho capito cosa significa un posto isolato. Mi perdo un paio di volte prima d’arrivare al ponte di barche che devo percorrere. Pago il pedaggio, irrisorio a dir la verità, e chiedo se sono sulla strada giusta per l’Isola dell’Amore.
Ci credereste? Il nome la fa sembrare una meta da viaggio di nozze, invece è soltanto un lembo di terra che i locali chiamano lo "Scanno".
Il vecchietto che sembra Cerbero al limitare dell’inferno mi dice di seguire la strada. Sulla riva veneta del fiume c’è il traghetto che ci aspetta. Ho scoperto che qui le cose funzionano solo da aprile ad ottobre, il resto dell’anno sono tutti in letargo.
La Provincia ha scovato il conducente del traghetto che, di malavoglia e abbandonando una partita a carte, ha accettato di portarci sullo "Scanno". Hanno fatto aprire per noi, caso raro, l’unico ristorante su quella sperduta lingua di terra.
Si trova nel faro che, costruito nel ’50, non ha visto per anni anima viva. Qualche tempo fa un pazzo visionario l’ha preso in gestione ricavandone qualcosa che assomiglia ad un rifugio. Dietro di me il furgone trasporta il mareografo che servirà a determinare la quota del mare alla foce del Po. Alcuni pescatori, ridendo, mi hanno detto che non gli serve.
Quando i tavoli e le sedie del ristorante del faro galleggiano... significa che non c’è da stare tranquilli! La filosofia locale mi fa rammentare un documentario di Discovery Channel, se mi guardo in giro, in mezzo alla nebbia, forse scorgo anche un totem. Il lavoro in sé non richiede molto tempo, se non fosse che per arrivare fin qui da Ferrara ho impiegato quasi due ore ed ora mi ritrovo a vagare su queste dune di sabbia... A lavoro concluso possiamo godere dell’ospitalità dell’unico ristoratore in questa valle di lacrime.
Inutile dire che il pesce qui non ha lo stesso sapore che ha in città. Sembra che la nostra presenza sullo “Scanno” attiri diversi visitatori, la cosa non mi stupisce; il primo cinema è a trenta chilometri, la noia da queste parti è palpabile. Noi siamo in quattro, tutti cittadini e a bocca aperta di fronte allo spettacolo dei canneti.
Sembra d’essere tra i pochi sopravvissuti ad un disastro atomico. Neanche a dirlo il ristorantino comincia a riempirsi di gente. Chissà quanto è seccato il conducente del traghetto! Macché, questi sono venuti per conto proprio, in barca. Hanno saputo che il ristorante del faro era aperto e volevano vedere in faccia i "foresti", gli stranieri che avevano fatto il miracolo. Il vino abbonda sul tavolo, poi qualcuno tira fuori un mazzo di carte. Conosco poco il dialetto ferrarese e quello di queste parti non ci assomiglia nemmeno tanto.
Un ometto di buona volontà ci fa da interprete quando anche la fantasia non viene a capo del senso del discorso. Si raccontano molte storie in un pomeriggio di nebbia, con la pancia piena e il vino che toglie lucidità.
Chiedo al gestore come gli sia venuto in mente di aprire un’attività qui, fuori dal mondo.
Mi dice che è venuto da queste parti sul finire del ’51, come inviato di un famoso giornale.
Ha immortalato la grande alluvione e, affascinato dal Delta, non è più riuscito ad andarsene.
Diversi anni prima ha perso il figlio maggiore , annegato in Po una domenica d’agosto.
"Il fiume è traditore" mi dice.
Si versa nel bicchiere un ultimo goccio di vino e lo beve tutto d'un fiato. "Ho perso mio figlio ma non hanno mai ritrovato il suo corpo, così ora me ne sto qui, in compagnia di questo faro. La sua luce la si vede fino a dieci miglia in mare, sa? Forse farà ritrovare al mio ragazzo la strada di casa." Sono un po’ brillo ma non abbastanza per continuare la conversazione. Ho tirato un sospiro quando, finalmente, il traghetto mi ha riportato alla mia auto. Durante quella breve traversata non ho fatto altro che scrutare l’acqua buia. I morti non tornano, mi sono detto, ma ne sono pienamente convinto solo quando imbocco la statale in direzione Ferrara.