Mica siamo alla Bovisa

Che anno fosse, ora non lo ricordo, ma sono sicuro che il tutto si svolse quando la Festa dell’Unità, anzi “de L’Unità”, si trasferì al Parco Robinson.
Tale area era collocata a metà strada tra il centro città e la frazione di Maddalena, in un luogo dove la campagna bruscamente s’interrompe per cedere il posto alla prima zona boschiva.
Il parco inizialmente fu pensato e poi utilizzato come centro estivo per i ragazzi; successivamente si rivelò anche luogo ideale per le manifestazioni popolari
L’area disponeva di varie strutture in legno (con adeguate coperture: particolare questo non secondario) destinate ad accogliere i servizi, le cucine, il bar e il ristoro; c’era inoltre una grande pedana in cemento per il ballo; esternamente   ampi spazi per il parcheggio.
Un vero salto di qualità rispetto alle precarie locazioni e agli zingareschi allestimenti delle precedenti edizioni della kermesse estiva, che si svolgevano lungo il viale XXV Aprile.
Era quello un luogo certamente caratteristico, soprattutto per la sua magnifica alberatura, ma infelice da un punto di vista organizzativo.
Tra l’altro in quegli anni, non si sa bene il perché ( forse per punizione divina) capitava spesso che, terminato l’allestimento alquanto spartano di cucina, balera, tavoli e sedie, cominciasse a piovere; allora bisognava smontare tutto e rinviare l’evento alla settimana successiva.
L’inghippo meteorologico si era verificato talmente tante volte, che qualche democristiano aveva soprannominato la kermesse “Festa dell’umidità”; ma vista la pazienza con cui il tutto veniva smontato e rimontato in viale “XXV Aprile” forse bisognava chiamarla “Festa della Resistenza”.
Per quanto riguarda la gestione, lo spostamento non creò grossi problemi, grazie al fatto che la festa si avvaleva di un gruppo di volontari di lunga e collaudata esperienza.
Non c’era bisogno di stabilire cosa dovesse fare l’uno o l’altro, ognuno nel tempo lungo delle passate esperienze si era ritagliato una propria collocazione e sapeva già quale sarebbe stato il suo ruolo: come in una squadra di calcio.
Alla cassa Bruno, un muratore calabrese con un fisico massiccio, un ventre smisurato, il volto bruciato dal sole e due mustacchi neri come il carbone.
Era capace di stare seduto al suo posto per ore senza scomporsi e con atteggiamento professionale distribuiva, dietro pagamento s’intende, bigliettini prestampati con l’indicazione delle varie consumazioni.
In cucina Valerio e Oriana, che tra l’altro avevano alle spalle alcune esperienze in ristoranti della zona; con loro Maria e Alba.
Alla Griglia Augusto; ci stava lui e basta e si portava tutto da casa: la griglia, le spazzole in ferro per pulire le piastre di ghisa e gli aromi per riempire le trote (un miscuglio misterioso di erbe che coltivava nell’orto bonsai collocato sul balcone della sua abitazione).
L’intruglio magico riusciva a conferire a quei pesci, dal sapore di nulla, aromi signorili.
Augusto sudava come un cavallo e beveva come un cammello (solo acqua gelata: era astemio) mentre ininterrottamente cuoceva sulla griglia salamini, braciole di maiale che via via spruzzava di vino bianco con succo di limone, e naturalmente le sue mitiche trote.
Al bar ci stavano Luca e alcuni ragazzi che in quegli anni si erano avvicinati al partito, e poi Vito che oggi è un famoso Sommelier.
Poi c’era Giovanni che gestiva la pesca di beneficenza; alcune settimane prima dell’inizio della festa, infilava migliaia di bigliettini dentro a degli anellini di pasta, per fare questa operazione aveva costruito dei ferretti che arrotolavano perfettamente i foglietti di carta.
I volontari che avevano superato una certa età, alla sera lasciavano la festa prima degli altri, però alla mattina presto ritornavano per fare pulizia.
Come guardia notturna c’era Moreno che per svolgere meglio l’incarico si portava appresso la sua roulotte.
Più che altro lui alla festa tirava tardi e poi a notte inoltrata si metteva a letto; c’era però un ambulante marocchino che, in cambio della possibilità di esporre la sua misera mercanzia e di un po’ di cibo, vigilava nelle ore in cui chi avrebbe dovuto fare la guardia andava in letargo.
Nei mesi che precedettero la festa, eccitati dalla novità, decidemmo, dopo estenuanti e interminabili riunioni, di dare alla nostro evento un tocco di modernità: ricco menù, lista dei vini e soprattutto musica nuova.
Non solo ballo liscio con orchestrina o mezzo meccanico, ma anche spettacoli musicali in linea con i tempi che stavano velocemente cambiando. Tra le tante iniziative in programma, spiccava per il sabato sera uno spettacolo di musica blues con artisti stranieri che in quel periodo erano in tournée in Italia. Purtroppo per un disguido la band andò altrove; riuscimmo però, con estrema fatica, a rimpiazzarli con un gruppo jazz della Bovisa.
Quella sera il parco era pieno, dalla cucina uscivano in continuazione piatti di pasta, patatine, braciole, salamini e trote; il bar, senza tregua, stappava bottiglie di vino e spinava birra fredda e schiumante.
C’era fatica in quei momenti, ma anche gioia nel vedere che la gente apprezzava ciò che si stava facendo. Un pubblico allegro gremiva il ristorante, il calore della compagnia coinvolgeva tutti; il colore rosso del vino, come per contagio, passava dai bicchieri ai visi degli uomini e il tono delle voci saliva.
I ritmi soft e i toni malinconici della musica jazz crearono però uno strano contrasto con l’allegria che impregnava l’aria, anzi l’area della festa.
Alcuni malumori cominciarono presto a manifestarsi, soprattutto tra quelli che, dopo aver mangiato e abbondantemente bevuto, si aspettavano di fare quattro salti sulla grande balera in cemento che stava davanti al palco.
Maria, la compagna che puliva i tavoli, vista la situazione pensò bene di intervenire; si tolse il grembiule, con un tocco deciso delle mani si sistemò i capelli e poi, a testa bassa, si avviò spedita verso il palco.
Si accostò al musicante che stava con professionalità suonando il contrabasso, lo fissò intensamente per alcuni secondi e poi, accompagnando le parole con ampi movimenti delle braccia, urlò:
‐  Ma insomma non potete fare qualche ballo liscio?  Siamo a una festa popolare, mica alla Bovisa!