Nordisti e Sudisti

Avevo cinque anni e vivevo con la mia famiglia in una grande villa ottocentesca , in cima ad una collina boscosa , alla periferia di Serravalle Scrivia. Si era fuggiti precipitosamente, una mattina, da Genova dopo un bombardamento. Ricordo i lampi di luce nel buio del rifugio, l’odore del fiammifero che si spegne, acuto per le narici di un bimbo. Papà che non scendeva giù con noi ,ma restava sulla porta tra le implorazioni di mia mamma e di sua madre, nonna Olga. Vetri che s’infrangevano improvvisamente lasciando la visione di sacchi pieni di terra, messi li per proteggere. Nonna Olga aveva una boccettina di colonia che si premurava di porre sotto il naso delle persone più deboli che sembravano avere un deliquio per lo spavento. Ricordo i suoi merletti che le cingevano il collo. Per noi bimbi aveva una scatolina con mentine colorate: ‐“Una”‐. Era un invito ed un comando parsimonioso. Ma quel sapore, nel ricordo, mi cancella le paure che devo aver provato. A Villa Adela, questo era il suo nome, arrivarono i genitori di mio padre, genovese lui, romana, lei e i genitori di mia madre, tutti “meridionali”: nonno magistrato, nativo di Noto, nonna Amina, di Melfi ( mi raccontava spesso di aver vissuto bambina il terremoto di quella località: i cavalli imbizzarriti, fuggivano dalle stalle ed erano il pericolo preponderante per chi usciva in strada). Villa Adela divenne ben presto un campo di battaglia tra nordisti e sudisti. Imparai a cinque anni che l’Italia era divisa in due fazioni, i nordisti che “ abitavano a Genova e un po’ più su” e i sudisti che comprendevano il territorio a “sud di dove era nata Nonna Olga, Roma (!)” . I nordisti si potevano chiamare genericamente tutti quanti “milanesi” in qualunque città del nord abitassero e i sudisti si fregiavano dell’appellativo di “napoletani”, anche se nonno Angelo insisteva che la sua Sicilia non aveva niente a che vedere con Napoli. Le tensioni famigliari si evidenziarono ben presto nella conquista dell’unico gabinetto. Un ricettacolo molto angusto, sospeso esternamente al secondo piano. Ricordo la lastra di marmo con un buco circolare che mi incuteva paura, in quanto temevo che mi risucchiasse sino al pozzo nero. L’uso comune della grande cucina, l’approvvigionamento dell’acqua che andava fatto quotidianamente, pompando l’acqua dal pozzo dell’orto sino alla cisterna della casa fu causa di veri scontri. Devo confessare che la squadra meridionale vinse sempre queste tenzoni. Ricordo gli urli di nonna Amina che si strappava i suoi capelli (perché mai?) e le ciabatte di nonno Angelo, il magistrato, che volavano verso i "genovesi" costernati e timorosi. Quest’ultimi finirono assediati in una unica stanza dove si cucinarono per non frequentarci. Papà in guerra ,si tolse da posizioni imbarazzanti. Io con la sapienza inconsapevole di un bimbo di cinque anni, li guardavo e li ammiravo nelle loro differenze che sapevo ben riconoscere. Finivo per parteggiare ignobilmente per entrambe le fazioni a secondo dove mi trovassi e ne assorbivo le critiche reciproche che mi sono rimaste in mente negli anni. I “napoletani” mangiavano porzioni esorbitanti a tavola, mentre i “milanesi” erano uccellini, beccavano porzioni piccolissime ma igienicamente necessarie. I “napoletani” erano rumorosi: la villa si svegliava con le canzoni di mia madre e sua sorella maggiore, zia Maria, cantate a voce alta (la radio non c’era). Poi il “Bon,Bon,Bon”, note aspre e tuonanti,di nonno Angelo che avvisava le donne che stava scendendo dalla camera da letto ed esigeva il silenzio immediato e la loro attenzione assoluta verso i suoi bisogni mattutini. Il profumo di pulito e la quiete della camera nordica di nonna Olga. L’odore di colonia, la pelle di montone caldissima sul letto in cui mi rifugiavo nelle giornate freddissime. Gli oggetti fascinosi sul comò, regali del fratello,zio Errico, navigante sui Vapori dei signori: Rio de Janeiro, dipinta con ali fosforescenti di farfalle, bamboline spagnole, uova esotiche. Non ricordo nessuna unione o falsa pace neanche nelle festività. Poi un pomeriggio arrivò su per il viale una colonna motorizzata di soldati tedeschi e la villa dovette ospitare, con noi dentro, lo stato maggiore che occupò il piano terreno. I miei ricordi sulle due famiglie hanno termine quel giorno, perché il fascino di quei soldati mi prese ogni pensiero. E’ rimasta in me negli anni quella che io chiamo “la questione meridionale infantile” radicata nel suo insoluto quadro. L’aver vissuto una vita a sud da napoletano mi fa dire che la conoscenza è l’unica maniera per estirpare il pregiudizio, che nasce dall’ignoranza.