Parag. 25 (dal romanzo "La stazione di Avventura")

Elle sapeva da tempo che ci saremmo imbarcate, avremmo navigato e saremmo sbarcate. Era tutto organizzato, ma preferì tenermi all’oscuro fino all’ultimo per divertirsi alle mie spalle.
Al pomeriggio volle uscire un po’ prima del solito perché, disse, dovevamo passare dal macellaio e dal panettiere. Iniziai a dubitare che fosse solo per noi due. Quando vidi la quantità di carne che avevano tenuto da parte per noi, Elle mi precedette col solito: “poi ti spiego, stai tranquilla, è tutto sotto controllo”. A me toccò un gigantesco sacco di pane, simile a quello che si usa per rifornire le caserme.
A grandi linee avevo intuito cosa mi sarei dovuta aspettare dalla serata, ed ero curiosa ed eccitata. Tanto cibo, tanta gente, tante situazioni, tante sorprese, tanto divertimento.
Non riuscimmo a raggiungere a piedi, in una tappa unica, il porticciolo con tutta quella roba. Ci fermammo tre volte e arrivò il tramonto. Elle sosteneva che le soste erano causate dalla povertà della mia muscolatura, ma lei era più sudata di me e ansimava. Fumava molto più di me e da molto più tempo. Io stavo al gioco, e fingevo di sentirmi allo stremo.
Finalmente, arrivò un’imbarcazione la cui salute era più cagionevole della mia: tutta in legno marcio, un motore troppo piccolo e tre persone a bordo. Pensai a uno scherzo. Mi rassicurarono parlandomi della situazione metereologica favorevole, delle virtù del capitano, della brevità del percorso. Poi Elle salì con la carne, ed io subito dopo assieme al pane, con l’incoscienza che si ha solo in quel periodo della vita. Mi consolai pensando che non lasciavo affetti, non creavo vuoti, nessuno avrebbe litigato per la mia eredità, nessun bambino sarebbe rimasto orfano.
Durante la breve traversata non vidi nulla, era scuro il mare, scuro il cielo, indistinguibile il confine tra i due. Mi tenni aggrappata a un corrimano senza mollarlo mai.

Approdammo come pirati in un’isoletta senza palme, buia, che qualcuno aveva già conquistato prima di noi. Dopo pochi passi una voce ci investì:
“Elle, sei bellissima. E senza un filo di trucco!”.
Lei, quasi afona:
“Purtroppo sono allergica, se lo metto divento un pallone”.
Mentiva sapendo di mentire. Non truccarsi, eccetto gli occhi, era un suo vezzo, una sfida, una prova della sua superiorità.
Eravamo arrivate da poco, e non ci avevano notato in molti nella penombra che avvolgeva la riva. Quando si accorsero che eravamo noi quelle delle salsicce, attese da tempo, ci fu un certo trambusto. Alleggerite dalla carne e dalle pagnotte, ci separammo in modo naturale. Ormai me la sapevo cavare anche con gli sconosciuti perché avevo scoperto che era sufficiente presentarsi, per primi. Il problema, non da poco, era semmai che con la poca luce delle braci non distinguevo bene i lineamenti.
Pochi minuti dopo ero già spalle al fuoco, con la schiena calda e la pancia gelata, che ascoltavo contemporaneamente ciò che accadeva al capannello di Elle, ricchissimo, e il mio noioso spasimante serale. Questi, per la verità buono e gentile ma non interessante, mi aveva già proposto per l'indomani sei o sette programmi differenti, nella speranza che almeno uno fosse di mio gradimento: una gita in barca a vela, una cena nella bettola migliore della città, una festa nella casa con piscina di un suo amico figlio di un industriale dell’acciaio, e anche altro che non ascoltai più, perché avevo ruotato il mio radiolocalizzatore verso Elle, che ne stava sparando una più grossa dell’altra.
A proposito di corteggiatori: gli inesperti non sanno che se è sì, è sì da subito. Se è no secco all’inizio, meglio mollare la presa, con eleganza. Lui continuava, e io non sapevo come liquidarlo senza offenderlo.

Intanto qualcuno provocava Elle:
“Ti ricordi quando ci siamo imbucati a quella festa passando in un varco della siepe, e ti sei strappata la gonna, e non volevi più muoverti, e ti sei messa a dare calci a un muro? Ti ricordi? Che ti sei fatta male al piede, che poi zoppicavi...”.
“No, non ricordo. La memoria non è il mio forte, magari potessi ricordare quello che leggo quando studio. Devo rileggere venti volte la stessa pagina. Non mi resta, non c’è niente da fare. Ma di quale festa parli? Io e te? Ma quando mai?”.
Le grigliate estive di notte, coi fusti abbronzati tirati a lucido e la musica delle chitarre, pensavo esistessero solo in certi filmetti di serie B, girati in primavera e trasmessi in estate, quelli che passa la TV al pomeriggio per consolare chi non è in vacanza. Quanti ne avevo visti! E invece, quella volta, ero testimone oculare e attrice. Considerate nella loro globalità, le grigliate le definirei un luogo comune nel senso che sono sempre uguali, a Sidney come a Bogotà, e anche il fine è sempre lo stesso: farsi compagnia nel modo più spensierato possibile.
In pratica, avevamo raggiunto una piccola isola molto vicina a Verdemare con una barca zeppa di provviste, che già aveva effettuato numerosi viaggi andata e ritorno. In quei viaggi in mare al buio, su quella barchetta fragile come fosse di carta, finire in acqua sarebbe stato un problema serio. Chissà se i miei sarebbero stati contenti o addolorati?
Comunque, a ogni gruppetto era stato assegnato un compito preciso. A noi due, per esempio, l’approvvigionamento di carne e pane. Elle aveva pagato tutto, come al solito, senza batter ciglio. Altri dovevano procurare la legna da ardere, altri le chitarre e i chitarristi. Qualcuno, le ragazze, per equilibrare il numero dei maschi".
Certo che il mare di notte, il fuoco sulla sabbia, il vino con la musica saranno pure accoppiate banali, ma sono sempre vincenti, nel senso che vincono sulla paura, la timidezza, la noia, il pessimismo, la solitudine e il mal di vivere. Nel mio piccolo, certe briglie si stavano allentando, la mia camicia di forza si stava aprendo. Mi avvicinavo pericolosamente al concetto di felicità o di spensieratezza, ammesso che siano differenti.
Mentre Elle si stava abbuffando, una voce dal buio le si rivolse con enfasi:
“È una bella fortuna poter mangiare e bere quello che si vuole, sapendo di restare snelli!”.
“Tutto il contrario, mi va tutto qui” urlò, e si strinse la coscia nell’inequivocabile gesto di chi vuole mostrare la propria buccia d’arancio, detta anche cellulite.

Aspettai che la comitiva attorno ad Elle si diluisse un po’. Avevo una domanda impellente da farle, non potevo attendere oltre. Mi avvicinai e con una scusa banale me la portai via, prendendola per un braccio. Elle era leggera, sorridente, in forma smagliante, non oppose resistenza, quasi inciampò nella sabbia. Ci sedemmo da sole, distanti dal fuoco e dalla folla, vicino a un cespuglio che qualcuno aveva potato da poco per alimentare le fiamme. Elle era convinta che le dovessi chiedere un consiglio, mi aveva vista con il mio nuovo potenziale promesso sposo, e ci provò:
“Qui si combina, ti vedo lanciata. Non è male, stravede per te, vedo che ti piace, che programma avete? Ti lascio qui tutta la notte tra le dune, se mi prometti che non fuggi”. Mentiva ancora sapendo di mentire, e quindi non le risposi. Ora toccava a me:
“Ti ho ascoltata, per sbaglio, e ho colto una leggera tendenza alla menzogna: allergica al trucco, memoria labile, cellulite facile. Ti sei sempre truccata, anche pesantemente, mi hai citato a memoria intere pagine di romanzi e con quel che bevi dovresti avere le cosce di mortadella. Perché tutte queste bugie?”.
Elle mi chiese di aspettarla un momento, andò a far benzina e a riaccendere il motore (alcool e sigaretta) tornando al volo, più concentrata.
“Cara Cosetta, mi stupisco della tua domanda. Non sono bugie, ma tecniche di sopravvivenza. Tu, se avessi una memoria di ferro come la mia, cosa racconteresti? Carissimi, sono così fortunata che mi basta leggere una sola volta una pagina e me la ricordo per sempre. Non faccio alcuna fatica a studiare, quindi ho un sacco di tempo libero, e mi dispiace per voi che sudate per ottenere dei risultati meno che modesti. Questo diresti? Brava! Così la gente ti avrebbe in simpatia. Ti produrresti l’invidia da sola, te la fabbricheresti in casa. Le persone normali detestano il successo degli altri, i vantaggi degli altri, i pregi degli altri. Se vuoi morire assassinata, raccontagli quanto sei brava e bella”.
“Ma tu gli dici un sacco di bugie, l’esatto contrario della verità. È come imbrogliarli, prenderli in giro. Non sarebbe meglio un compromesso, cioè non raccontare niente: niente invidia, niente imbroglio”.
“No, non conosci il genere umano, magari avessi ragione tu. In media, ed è con la media che devi fare i conti, le persone non sono esseri compiuti, non hanno raggiunto la loro realizzazione personale, non hanno mai sconfitto del tutto le loro insicurezze. Hanno bisogno di essere incoraggiati e aiutati, ed è quello che cercano da te. A loro devi raccontare solo le tue sfortune, le sconfitte, i punti deboli. Li vedi subito riprendere colore. Gli ambiti che devi considerare sono sempre gli stessi: il patrimonio, i rapporti con l’altro sesso, la famiglia, l’estetica, le capacità, la salute. Situazioni che ti penalizzano, ma che a loro non possono accadere. Mentre ti fanno la faccia addolorata pensano che ti stia bene, che te lo meriti. Finalmente un po’ di giustizia a questo mondo! Non pensare di essere superiore a queste bassezze, nessuno può permetterselo. Se parli di qualcosa che possiedi, devi sempre ridurne il valore, la bellezza e l’utilità. Se compri un motorino o un ferro da stiro, digli che l’hai pagato tantissimo e si è rivelato un bidone. Ti hanno imbrogliato, sei un’ingenua: gli regali una giornata di felicità. Dopo che ti hanno salutato, pensano a quanto sono furbi o furbe, non si fanno mica imbrogliare, loro. Certo, ci vuole un po’ di allenamento, ma ricorda che questo sistema funziona con il 99.9% della popolazione. Solo un vero amico o una vera amica gode dei tuoi successi, ma ti deve volere molto bene, affetto sincero, amore reale. Tutti gli altri si rodono, ti detestano, vorrebbero che ti succedesse qualcosa che almeno riequilibrasse la fortuna che hai”.
Dopo quella lezione al chiaro di luna, sentii il bisogno di qualcosa di forte. La mia spensieratezza era volata via inorridita, mi sentivo invecchiata di cinque anni. Mi chiesi dov'ero vissuta fino a quel momento; ero stata ibernata o reclusa, ma stavo recuperando velocemente perché avevo vicino la mia amica del cuore. La cruda realtà era quella, mi dovevo fidare. Mi ripetevo: ecco l’importanza di una famiglia di pensatori che ti insegna, dalla più tenera età, come comportarti, quello di cui tu avrai bisogno, quello che ti servirà.
Sentii di provare un po’ d’invidia, me la sarei meritata anch’io un po’ di quella fortuna.
Intanto Elle era già al lavoro per respingere l’ennesimo tentativo di abbordaggio, forse convincendo il corteggiatore che quello di buono che lui vedeva in lei era fittizio e ingannevole. Io avrei utilizzato quella tecnica non prima di domani. Stanotte, complice tutto quello che avevo bevuto, non avrei potuto che essere sincera.