Raggio di sole

Dolci note di piano si diffusero per la stanza, Ray aprì gli occhi. Ci mise qualche secondo per capire che era ora di alzarsi, e non curante di questo si girò nel letto per riposarsi qualche altro minuto.
“I can fly
But I want his wings
I can shine even in the darkness
But I crave the light that he brings
Revel in the songs that he sings
My angel Gabriel”
La voce che usciva dallo stereo era calda ma allo stesso tempo graffiante.
Amava svegliarsi con le note di questa canzone, ormai era una sua abitudine , da quando l’aveva ascoltata per la prima volta nel 2001, “Gabriel” dei Lamb.
Non sopportava che questa canzone fosse diventata famosa grazie ad un film, a suo giudizio sciapo e senza vere emozioni, che parlava di una storia di adolescenti.
Non lo sopportava perché ormai questa canzone era famosa con il titolo “I Can Fly”, colonna sonora del film “ Tre metri sopra il cielo”.
Per lui era come se un perfetto sconosciuto mostrasse al mondo un Van Gogh, con tanto di firma sulla tela e tutti considerassero l’autore di quel quadro quello stesso sconosciuto.
L’orologio digitale segnava le sei in punto e Ray decise che era ora di alzarsi.
Spostò il lenzuolo di seta nera e si mise a sedere sul bordo del letto, con la faccia tra le mani e i gomiti poggiati sulle ginocchia.
“I can love
But I need his heart
I am strong even on my own
But from him I never want to part
He's been there since the very start
My angel Gabriel
My angel Gabriel”
Si alzo e spense lo stereo. Accese la luce e un‘ondata rossa illuminò la stanza.
Ray era un fotografo e, nonostante avesse una casa spaziosa, aveva deciso di mettere il suo letto, nella camera oscura, cosi quando lavorava fino a tardi, poteva sdraiarsi direttamente a letto.
Fuori era buio, il sole era gia tramontato, certo cosa vi aspettavate in una giornata d’inverno?
Come dite?Si, era appena sveglio ed erano le sei, ma forse sarebbe meglio che dicessi le diciotto.
Infatti Ray era un fotografo particolare, fotografava Roma, a suo parere la città più bella al mondo di notte.Avete presente quelle foto sulle cartoline scattate con l’obiettivo aperto, dove le luci delle macchine che passano lasciano la loro scia?Quelle foto erano le opere di Ray.
Si preparò, indossò un abito scuro di Valentino, a lui piaceva vestire sempre elegante, mise tutto l’occorrente per il suo lavoro dentro due borse di pelle nera e usci da casa.
Chiuse la porta con due mandate, l’occhio gli cadde sul campanello di casa sua, vide che era molto impolverato, così prese di tasca un fazzoletto  e diede una veloce pulita.
Sun riportava il campanello.
Sun Ray, raggio di sole, nome non solo insolito, anche per un inglese, ma anche ironico perché la sua vita lo costringeva a non poter vedere mai il sole.
Il sole era il suo sogno, ricordava perfettamente il piacevole fastidio che si prova fissandolo e il forte calore quando i suoi raggi ti ricoprono, ma erano passati ormai 57 anni dall’ultima volta che l’aveva visto.
Cosa insolita, direte voi, ma la sua vita era cambiata 57 anni fa dal giorno alla notte.

Era notte fonda e Ray appena 25 enne, stava camminando per Castle street.
Era stanco e non vedeva l’ora di tornare a casa, una villetta vicino la cattedrale di Canterbury.
Mancava poco ormai.
Non si rese conto quasi di nulla, senti solo una fitta al collo e le forze che pian piano l’abbandonavano.
Su di lui una figura in ombra gli stava rubando la vita.
Tutto gli passo davanti in quegli istanti, tutti i sogni che non aveva ancora realizzato, tutte le donne che avrebbe voluto amare, tutte le gioie che voleva ancora provare.
Cadde a terra dissanguato, ma con ancora un alito di vita, un solo ultimo istante nel quale urlò ”Non voglio morire!” e strappo il mantello all’oscura figura.
Il mantello cadde e la luce della luna illuminò gli occhi dorati e il volto sporco di sangue del suo assassino.
“Impressionante” sussurrò “nessuno ha mai la forza di reagire, esaudirò il tuo desiderio, non morirai, ma non tornerai nemmeno in vita.Io sono Vincent e da oggi sarò il tuo maestro”.
Si morse il polso e lascio’ cadere nella bocca di Ray alcune gocce del suo sangue.
Il sapore metallico del quel sangue era un veleno per l’ anima di Ray.
Cominciò a sentire il suo corpo in preda alle convulsioni, la vista gli si annebbiava, il cuore batteva in preda al panico, finche non si interruppe di colpo.
Per alcuni attimi, non senti più nulla, era morto.
Improvvisamente le forze circolarono di nuovo nei suoi arti, si alzo lentamente, si guardò intorno. Si accorse di avere tutta un'altra visione del mondo.
Li davanti a lui c’era Vincent che lo guardava soddisfatto.
La creatura che l’aveva ucciso era li davanti a lui, ma non era in preda alla rabbia, provava un affetto quasi filiale per quell’essere.
Era quasi l’alba e si rifugiarono insieme nel castello in fondo alla strada.
Da quella notte Ray non vide più il sole.

Ray apri il box e caricò le sue borse sulla sua moto, una Harley Davidson V‐Rod, ovviamente nera.
La fece uscire a spinta, chiuse il box, la accese, ingranò la prima e partì.
Il vento tra i capelli lo illudeva di poter provare ancora qualche emozione.
Ma Ray non era un vampiro come tutti gli altri, quegli ultimi ricordi che aveva provato quando stava per morire erano ancora vivi nella sua mente, per questo non amava uccidere gli umani, a meno che non fosse necessario.
Sceglieva con attenzione le sue vittime, quasi avesse un codice d’onore, mai donne e bambini, mai padri di famiglia, di solito le sue vittime preferite erano persone sole ormai stanche della propria vita.
Pensava sempre quando uccideva a quanto fossero ipocriti gli umani, pronti a chiamare, quelli come lui, mostri e a dargli la caccia.”Perché siamo mostri?” si chiedeva “non facciamo altro che uccidere per sfamarci, non fanno lo stesso gli umani con mucche e maiali?”.
Si fermò davanti al Colosseo, spense la moto e scese.
Si avvicinò al palazzo di fronte con le borse in mano, spiccò un balzo e volò fino al soffitto.
Posizionò le sue macchine fotografiche , in modo da riprendere il Colosseo da diverse angolazioni.
Passò tutta la notte a fotografarlo, si fermo soltanto intorno mezzanotte, quando decise che era ora di saziare la sua sete.
Tirò fuori da una delle due borse una sacca di sangue e un unico morso e comincio a sfamarsi.
Quel sangue non aveva affatto lo stesso sapore di quello pulsante e ancora caldo di una vittima ancora in vita, ma ormai si era abituato. Ne aveva molte di quelle sacche, era bastato corrompere un paio di infermieri.
Ogni mese pagava una quota e questi gli fornivano sangue a sufficienza.
Non gli chiedevano nemmeno a cosa gli servisse tutto quel sangue, gli umani per lui erano ipocriti e avidi.
La notte correva , nemmeno se ne accorse che arrivarono le sei di mattina, mancava un ora all’alba, aveva gia smontato e caricato nelle borse tutta l’attrezzatura, mentre la città cominciava ad accendere il suo motore.
Si sedette un istante e accese una sigaretta.
Neanche le sigarette avevano più sapore, le fumava per abitudine e in questo era molto simile ai fumatori incalliti più di quanto essi stessi potessero immaginare.
Guardava ad est e gli occhi gli brillavano.
“Se solo potessi vedere il sole ancora una volta!”pensò.
Si sentiva depresso, anche se Vincent gli aveva ripetuto molte volte che i vampiri non provano emozioni.
Ma secondo Ray, Vincent si sbagliava perché il suo maestro stesso era rimasto impressionato
quando l’aveva ucciso e anche l’impressione e’ una emozione.
Si sentiva stanco di quella vita, tanto che un idea gli passò per la testa.
“E se non volessi tornare a casa questa notte?”si chiese”i mortali vivono per realizzare i loro sogni, io immortale morirei per realizzare il mio”.
Prese la sua decisione, era convinto più che mai.
Volò fin sopra il Colosseo e nell’oscurità attese.
Il cielo cominciava a rischiarare, mancava poco ormai.
Il suo volto era felice, sembrava quasi aver riacquistato un po’ di colorito.
Dentro si sentiva febbricitante, una sensazione mai provata per un corpo freddo come il suo.
Il sole comincio ad illuminare i palazzi più alti, era arrivato il momento.
L’istinto gli urlava di ripararsi e ci volle tutta la sua forza per rimanere dov’era invece di rintanarsi in qualche anfratto buio.
Guardò il cielo, ormai era quasi l’alba, lo desiderava da 57 anni.
Le nuvole ed est avevano una varietà di colori impressionante, dal rosa all’arancione , al rosso intenso al grigio scuro.Sembrava di essere in un quadro di Monet.
Vide qualcosa arrivare da lontano, quasi non credeva ai suoi occhi.
Un angelo in tutto il suo splendore stava per raggiungerlo, aveva delle ali bianche stupende e Ray si accorse di desiderarle, di volerle possedere.
Non riusciva a spiegarsi perché l’angelo fosse li, ma non era il momento di chiederselo, perché quel momento lo aspettava da 57 anni.
Si alzò in piedi, allungo le braccia verso il cielo, i primi raggi si posarono sulle sue dita.
Senti il calore del sole, amplificato per mille, le dita cominciarono ad ardere, lacrime di gioia scesero sul suo volto.
L’angelo cominciò a cantare, ma Ray non se ne rese conto subito, ormai aveva le braccia in fiamme.
“Non aspetterò che si compia il mio destino, gli andrò incontro” urlò.
L’angelo intonava la sua canzone preferita e Ray capì che l’amava tanto perché parlava di lui e del suo sogno.

I can fly ( Posso volare
but I want his wings ma vorrei le sue ali
I can shine even in the darkness posso risplendere persino nelle tenebre
but I crave the light that he brings  ma imploro la luce che lui porta
revel in the songs that he sings gioisco delle canzoni che canta
my angel Gabriel il mio angelo Gabriele)

Spicco il volo e diresse verso il sole, tutto il suo corpo prese fuoco all’istante, il calore che senti’ lo fece sentire di nuovo vivo. Urlò di gioia
Il suo volto sorridente fu illuminato dal sole un ultima volta, in quell’istante si era realizzato il suo sogno.
Non senti più nulla. Il suo corpo si sbriciolo lungo la piazza del Colosseo, divenne polvere, talmente fina che si potè notare soltanto attraverso un raggio di sole.
Come può un uomo vivere nella più oscura e umana delle ombre? Come può egli realizzare il suo sogno solamente scavalcando tutte le barriere dell’umanità? Per Ray sognare vuol dire compiere un lieve balzo e iniziare a volare verso l’ardente luce di un raggio di sole in cui spegnersi.