Sotto il divano

Non ci avevo mai fatto caso, ma, viste così da vicino, le mattonelle non sono fatte di un materiale così compatto come sembra. Sono porose, quasi spugnose, come se il pavimento potesse assorbire tutto quello che gli striscia sopra, (o forse lo stare sdraiato qua sotto per così tanto tempo sta comiciando a crearmi qualche problema alla vista), e negli spazi tra l’una e l’altra si sono accumulate tante striscioline scure, d’altra parte non è facile arrivare con lo straccio fino  a qui, e per farlo ci vuole anche una voglia ed una costanza che Michela ormai non può più avere, la cosa quindi non mi stupisce.
E’ ridicolo…
Cosa ci faccio in questa posizione assurda, sotto il divano? Eppure è così,  qualcosa potrebbe anche esserci… forse dentro la valigia, (mai usata, chi cavolo ce l’ha data)?, o magari nell’angolino… potrebbe essermene caduta di tasca qualcuna chissà quando ed essere finita qui… potrei anche essermene accorto sul momento, ma forse per pigrizia non ho allungato subito la mano per cercarla e poi essermene dimenticato… sì, potrebbe… è più probabile la seconda ipotesi, la tengo di riserva, così se invece dovessi trovare qualcosa nella valigia avrei la prima ancora a disposizione per la prossima volta.
L’asma comincia a farsi sentire, ma non ci bado, (polvere anche nella maniglia, nelle serrature, nelle cuciture, ma dove l’abbiamo preso ‘stò valigione? E perché? Tanto non siamo mai andati e mai andremo da nessuna parte), apro.
Cos…? Chi è quello? Perché mi fissa con quell’aria felice? Ma che cazzo avrai da ridere? Sono io… e mi sto guardando da una polaroid di almeno diciassette/diciotto anni fa, mio figlio piccolissimo in braccio ed un pacchetto in mano, è un compleanno. Molti capelli in più, molti chili in meno, e, soprattutto, negli occhi ancora intatta la riserva di speranze nei miglioramenti in serbo per il futuro.
Mi fa male…
Come posso spiegarti quello che sto facendo? Potrei dirti che sono semplicemente le pulizie di primavera, oppure qualcosa tipo: “Oh… Salve, come stai? Sono io, sono te stesso, ma guarda… e allora? Come va? Aspetta… già che ci siamo… ascolta, ho qualcosa da dirti: sta attento! Non dura, quegli anni che stai aspettando con quel sorriso idiota non saranno migliori come ti aspetti, non ci sarà stabilità, non ci saranno soddisfazioni, non ci saranno riconoscimenti. Quelle rinunce affrontate così allegramente non porteranno niente… quelle persone che ti stanno accanto non valgono un cazzo, e proprio per questo sono migliori di te, più resistenti, più adatti alla vita, e spariranno dal tuo orizzonte mentre percorrono la loro strada, voltandosi di tanto in tanto non per aiutarti, ma per deriderti. Allora cambia certe scelte, certi atteggiamenti, certe amicizie (?); elimina certe apatie, la rassegnazione, la fiducia nel fatto che alla fine i conti devono tornare perché è nell’ordine naturale delle cose, svegliati! Non è così!  Io lo so… io lo so… lo sapevo… ma non ho fatto niente lo stesso”.
Continuo a guardarmi da quella foto, (dov’ero? È il mio vecchio appartamento, certo), e mi sembra che da quel lato della realtà io mi stia davvero interrogando sul motivo che mi/lo ha spinto qui sotto. Non riesco più a guardarlo, devo concentrarmi altrove. Ci sono altri oggetti nella valigia, alcuni vestiti, (ecco dov’erano quei maledetti boxer), una maglietta degli Accept stinta e bucata in più punti, uno dei bracciali che costruivo da solo, giocattoli vecchi, documenti inutili, bollette ancora in lire, ma non trovo niente, nessuna moneta, neanche un soldo.
Cristo, non c’è altro da fare… lo odio… lo odio… LO ODIO! ma non c’è altro da fare, devo di nuovo scendere alla bottega e farmi segnare sul conto il mangiare per oggi. Come sempre incontrerò i vicini di casa, e come sempre la vecchia dietro il banco non mancherà di scrivere con movimenti teatrali e scandendo bene le cifre quanto si va ad accumulare alla lista dei miei debiti, indubbiamente deve trarre gran piacere dal sembrare generosa, i prezzi della merce urlano il contrario, ma non posso dire niente.
Rovistare negli angoli sotto questo fottuto divano è la speranza che comunque conservo per domani, l’altra per oggi è che mentre lo penso magari mi prenda un malore che mi chiuda gli occhi, così da rimanere in questa posizione per sempre, con l’immagine di un giocattolo di mio figlio cristallizzata nella retina, senza dover voltare la testa verso quella luce così malsana, così aggressiva, così impregnata di quella normalità che a me è negata, ma non accade, mi alzo… sospiro… mi vesto… per uscire devo passare dall’ingresso e quindi davanti allo specchio, nel farlo mi volto dall’altro lato.