Storia di Valentina - 02.01.2003

Storia di Valentina. Una ragazza come le altre con un cuore grande e tanta voglia di donare il suo amore alle persone che la circondano. Un solo problema: non sapeva come farlo.
Un mattina di inverno prestissimo Vale, come la chiamavano gli amici, o almeno coloro che lei definiva cosí, si alzò. Si infilò le scarpe da ginnastica, ormai logore dalle infinite passeggiate mattutine. Il pacchetto di Marlboro Lights che aveva sempre accanto al letto sul comodino. Uscì di casa. Un appartamento in un vecchio sobborgo di quella grandissima città che la assorbiva come una particella insignificante e che le sembrava un universo cosí vasto e immenso da potersi perdere e dimenticare tutto.
Appena scesa in strada il freddo pungente la avvolse e la voglia di correre di nuovo in casa a riscaldarsi era così forte che la combattè a forza di saltelli su e giù dagli scalini. Si accese una sigaretta e si incamminò. Le strade erano ancora buie e deserte e qualche appartamento cominciava a illuminarsi come un bimbo che apre piano gli occhi dopo un bel sonno ristoratore. In lontananza si sentiva il rumore dei camion che ogni mattina passavano e pulivano i marciapiedi con le loro spazzole rumorose. Valentina sentì come tutte le altre mattine quella strana sensazione mista a paura e tranquillità che quelle passeggiate le davano, ma c'era un qualcosa di diverso. Pensò come una settimana fa quella serata così strana le aveva fatto conoscere Michele, colui che le aveva fatto passare notti insonni e fatto battere il suo cuore per la prima volta dopo tanto tempo. Chissà quando lo avrebbe rivisto. Pensò al suo sguardo incredibilmente dolce e al suo sorriso così rassicurante che le avevano trapassato il cuore lasciandole il suo ricordo inciso indelebilmente. Sorrise mentre attraversava la strada. Passò davanti alla solita latteria che come tutte le mattine, puntualmente stava aprendo. La signora la salutò come faceva tutte le mattine, ma Vale non si accorse dello solito sguardo, che alle sue spalle la osservava con scherno. Lei sapeva che molta gente la prendeva per pazza: alzarsi alle cinque di mattino e camminare per vicoli bui e deserti. Una ragazza di venticinque anni. Quelle passeggiate la tenevano viva. Il suo cuore da tempo non provava più alcun sentimento, come fosse caduto in un coma profondo che non lo faceva soffrire, ma non gli regalava nemmeno sensazioni vive. Michele… il suo pensiero le fece trattenere il respiro. Sentiva ancora la sua voce che, calma e sicura, le parlava di storie che nemmeno si ricordava. Raccontava con una passione contagiosa e sebbene non si ricordasse le storie, Vale sentiva la passione e il coinvolgimento dentro di sé come se quelle sensazioni fossero state le sue. Ecco il camion dei netturbini che le passò accanto e il rumore assordante la distolse dai suoi pensieri. Si infilò nel solito vicolo, quello che portava alla casa di Giuliana. La sua migliore amica. Colei che ascoltava sempre tutte le sue infinite e noiose storie anche più volte e sembrava non le dessero fastidio mai. Senza di lei si sentiva persa. In qualunque situazione lei doveva esserle accanto. Giuliana non capiva questo bisogno. Non capiva neanche Vale. Le voleva bene e la ascoltava e questo era più di quello che qualunque persona avesse mai fatto per lei. Passó davanti alla sua casa e lasciò una lettera nella cassetta. Era una lettera che aveva scritto quella stessa notte. Lei non era brava con le parole e quasi sempre, se aveva cose importanti da dire, le scriveva. Era come se scrivendo tutti i suoi sentimenti (che fossero positivi o negativi) scivolassero via dalla sua mente d'incanto e per qualche minuto si sentiva serena. Serena non si era sentita mai completamente. Sebbene cercava la serenità con tutte le sue forze, dentro di lei sapeva che non l'avrebbe mai trovata. L'angoscia di questa certezza la lacerava e molte sere si ritrovava davanti allo specchio in lacrime, i suoi polmoni respiravano così affannosamente da farle male. Avrebbe voluto urlare, scagliare qualcosa contro quello specchio, che così tante volte sembrava un nemico crudele. Si stendeva a letto, chiudeva gli occhi e si immaginava come risucchiata in un'altra vita; tanto diversa dalla sua ma così bella da farla finalmente respirare, calma. Lentamente durante quelle visioni, riusciva a prendere sonno e la mattina si svegliava alle cinque con quella strana sensazione di insoddisfazione, che la spingeva fuori dalle lenzuola verso i vicoli che ora stava percorrendo. La luce cominciava a insinuarsi tra le vie e le ombre le sembravano sempre più grandi, ma meno minacciose. All'angolo c'era come sempre lo stesso vagabondo che ogni sera si stendeva al caldo in un cartone. I suoi occhi non trasmettevano alcuno stato d'animo. Spenti e rassegnati ad un destino che non aveva più la forza di cambiare. Per un attimo Vale lo invidiò. Lui sicuramente non si rigirava e rigirava tutta la notte nel suo letto in preda ad attacchi di panico e ansia che lo facevano sudare e stare male. Poi d'un tratto si vergognò di quello che pensava, distolse lo sguardo e cercò di scacciare altri pensieri stupidi, che potevano riaffiorare. Giuliana fra un po' si sarebbe alzata e uscendo di casa per andare al lavoro, avrebbe trovato la sua lettera. L'avrebbe letta e a seconda del suo umore avrebbe deciso se chiamarla o meno. Spesso sentiva che Giuliana la compativa. Non ne era offesa e nemmeno delusa. Si sarebbe compatita anche lei se avesse potuto e forse già inconsciamente lo faceva. Mentre attraversava la strada parallela a quella dove abitava sentì un forte brivido lungo la schiena. Michele le aveva accarezzato una guancia per scostarle la ciocca dei suoi lunghi capelli neri dagli occhi. In quel momento aveva sentito lo stesso brivido, ma l'intensità e la sensazione erano diversi. Mentre con Michele aveva provato un senso di tranquillità mista a eccitazione che la fece sorridere, in quel momento sentiva una sorta di inquietudine che le percorse tutto il suo corpo. Quante volte Giuliana le aveva dato della stupida per il solo e semplice fatto che se ne andava tutta sola soletta la mattina per i vicoli come una vecchia pazza. Chissà cosa avrebbe pensato Michele nel vederla ora in quelle condizioni. Lei avrebbe voluto essere abbracciata e baciata, amata e coccolata solo per una sera. Giuliana la spronava a farsi avanti, ma lei era come paralizzata. Era terrorizzata al solo pensiero di fargli percepire quanto lui l'avesse stregata. Un momento gli si avvicinava e quello dopo si allontanava. Si poteva leggere nel suo di lui sguardo lo sgomento e l'incomprensione per quel atteggiamento. Si erano lasciati con un ciao. Senza nemmeno un numero di telefono o un indirizzo. Valentina sapeva che non lo avrebbe mai più rivisto e il dolore che provava le strozzava la gola. Giuliana le aveva detto che avrebbe dovuto comportarsi diversamente e, sebbene Valentina le volesse bene (come una sorella), sentire quelle parole di ammonimento era insopportabile. Perché non la capiva? Ma lei si capiva?
Quella mattina aveva dimenticato il cellulare, che nel suo appartamento squillava in continuazione. Giuliana la chiamava. Era inquieta e cercava invano di sentire la voce di Valentina per assicurarsi che stesse bene.
Valentina sentì solo il rombo del motore e una luce accecante, non sentì dolore e neanche paura nel momento in cui il camion, che ogni mattina sembrava fare le corse per portare il latte in latteria, la travolse. La signora della latteria era lì di fronte al negozio che guardava gli angoli delle strade impaziente chiedendosi dove fosse finito il benedetto corriere con il latte. Non sapeva che quella mattina non lo avrebbe ricevuto. Le strade erano silenziose e Giuliana sussultò al rumore dell'ambulanza in lontananza. Di ambulanze ne aveva sentite tante, ma quella era come un messaggio. Riprese a chiamare Valentina. Tremava mentre faceva il numero e lasciò squillare finchè la voce dell'operatore non la fece sussultare. Riagganciò, si sedette sul letto e fissò il muro dinanzi a sé come se avesse già capito tutto.
Michele era nel suo appartamento, dormiva e il suo viso era disteso e emanava una strana dolcezza. Per un momento la pelle della sua guancia di corrugò come se una folata di vento gli avesse fatto venire la pelle d'oca. Si mosse lievemente e subito la sua espressione si riaddolcì e un lieve sorriso gli dipinse l'angolo delle labbra.
Il barbone aveva gli occhi aperti. Scosse la testa e li chiuse. Unì le mani come in una preghiera.
Giuliana aprì la lettera e le prime righe che lesse furono: "Scusami amica mia se non riesco a seguire i tuoi consigli, ma volevo solo dirti che ti voglio bene e che la prossima volta cercherò di farlo." Il tono della lettera era allegro. Era la prima lettera con un tono sereno che Vale le avesse mai scritto, e in quel momento Giuliana pianse.
Valentina sentì il respiro fermarsi. Si infilò le scarpe da ginnastica, ormai logore dalle infinite passeggiate mattutine. Il pacchetto di Marlboro Lights che aveva sempre accanto al letto sul comodino. Uscì di casa. Ma quella mattina era diversa. La luce la trapassava e lei si sentiva finalmente serena.