Storie di strada&rose tatuate

Testimonianza (seconda parte) ‐  Dato che ti sei rivolto a Me riconoscendo i tuoi peccati, non devi più temere, da questo momento in poi, mi prenderò cura di te e della tua famiglia. In quel giorno la mia mente si aprì, e compresi che la soluzione per tutti i mali del Mondo, era il Signore GESU' CRISTO. Dal mio cuore emerse un sentimento di amore e di perdono per tutti. Subito dopo entrai nella camera da letto dove era mia moglie parlandogli dell'esperienza appena fatta. Dopo qualche istante di stupore, mi guardò spaventata dandomi del pazzo, in seguito ho dovuto affrontare molte lotte, ma imperterrito sono andato avanti nel cammino della Fede con Gesù. E mentre il Signore continuava a parlare al mio cuore, iniziai a frequentare una Chiesa Evangelica dove condivisi la mia esperienza con i fratelli. Mia moglie si convertì dopo qualche mese dopo terribili combattimenti spirituali. Fummo guariti tutti e battezzati di Spirito Santo. Sono trascorsi 28 anni da quel giorno che il Signore mi fece la promessa, e posso testimoniare che Dio ci guarì da ogni infermità e malattia provvedendoci sempre di ogni cosa abbondantemente e Miracolosamente. Anche altri miei parenti si convertirono e non ci è mai mancato più nulla, anzi, abbiamo sempre avuto abbondanza di beni spirituali e materiali. Dio è fedele. A Dio sia la Gloria. Spero che questa mia testimonianza abbia toccato il tuo cuore ed acceso in te la scintilla della speranza. Shalon. Dio vi benedica. Teodolindo Durante, Pace". 
‐ Le voci e le fonti ‐ Da qualche parte voce corre che un eccellente cronista o uno scrittore almeno decente (buono), qualora egli non decida di affidarsi solo ‐ ed esclusivamente ‐ alle amorevoli "cure" della sua fantasia, sempre verifichino (e necessariamente) le loro fonti. Quelle di cui parlo, tuttavia, neanche sono lontanissime parenti delle voci che corrono nei corridoi  e nelle aule di procure o tribunali (loro lo fanno, talora, ancor più velocemente di Usain Bolt...delle altre cosiddette normali, visto che sovente corrono a quattro zampe come i cani, in suddetti luoghi, piuttosto che a due mani o a due gambe soltanto!), bensì esse appartengono ai corridoi della letteratura e/o a quelli del giornalismo e su quei binari, evidentemente, van correndo. Ebbene, nel caso della mia precipua storia, o ancor meglio della "testimonianza" di Teodolindo Durante all'interno di essa riportata, non ho fatto personalmente questo perché pensavo di ritenermi esente da tale obbligo (o, se vogliamo, chiamiamolo pure dovere). Ma le ragioni della mia "esenzione" le esporrò dopo, mi si conceda quindi un piccolo break, giunti a questo punto: di aprire, cioé, una finestra di natura artistico ‐ letteraria (o di critica letteraria che dir si voglia). Mi sovviene, infatti, quanto affermasse Luigi Malerba, scrittore parmense (era nato in quel di Berceto, per la precisione, ai piedi delle alte colline dell'Appennino Parmigiano, nel 1927): legato ai canoni stilistici della cosiddetta neoavanguardia (negli anni cinquanta e sessanta del secolo passato produsse in Italia autori come Leonardo Sciascia ed Italo Calvino su tutti, ma anche Volponi, Manganelli, Arbasino e Malerba, appunto), esso sosteneva che "la realtà non sia riducibile alla parola, o meglio, l'universo è universo di parole incapaci di comunicare la realtà" (lo sarebbero a prescindere, insomma, da ogni possibile tipo di fonte, ancorchè immaginabile, sia essa letteraria, poetica, giornalistica e legata alla cronaca o quant'altro poco importa, a cui l'artista, il letterato o il cronista che sia possa attingere di volta in volta). "Non si dovrebbe, quindi," aggiunge Malerba, "né cominciare né finire un racconto (np., ma il principio, mi domando il perché non possa o debba valere per qualsiasi cosa ‐ articolo, trattato, opera teatrale, saggio, etc. ‐ si decida di scrivere?) perché le cose che succedono non succedono con un principio e una fine, si diramano in tutti i sensi e vicino a una cosa ne succede sempre un'altra e un'altra ancora, così le cose succedono in tutti i sensi e in tutte le direzioni e non puoi tenergli dietro con la scrittura e un mezzo per tener dietro alle cose che succedono gli uomini non l'hanno ancora inventato". Tutto ciò si avvicina, a mio dire, al concetto pirandelliano nonché a certa letteratura dell'assurdo secondo cui la realtà possiede sempre una serie di verità ‐ o di non verità ‐ e sfaccettature nascoste). D'altra parte, come lo stesso scrittore parmense sostiene, tanto il pensiero quanto l'immaginazione di ogni singolo individuo urtano contro l'ordine della società: questo è il motivo per cui i personaggi di Malerba (come quelli beckettiani, d'altronde) siano incapaci di interagire e comunicare col resto del mondo, standosene rinchiusi nella loro visione del reale il quale viene visto come un qualcosa di inaccettabile ed insensato. Il giorno della sua morte, avvenuta l'8 maggio del 2008, a Roma, Paolo Mauri su Repubblica scrisse: "E' morto lo scrittore Luigi Malerba, maestro di realtà deformate e grande sperimentatore di linguaggi". Ma questa è tutta un'altra storia, in fondo, meglio lasciar perdere, forse, e...ovvero è soltanto una finestra che ho aperto e richiudo; dopo tutto ‐ e con ogni probabilità ‐  non sono un bravo scrittore, tanto che sempre ho ritenuto di appartenere a quella categoria inusuale seppur ben definita (e definibile) degli "umili scribacchini" o scribani che si voglia dire, posseduto da manie di francese grandeu... da intellettuale (categoria invisa a molti, per la verità, da taluni persino detestata!); eppoi ‐ ahimé! non ritengo d'esser neanche un cronista discreto, figuriamoci se possa solamente avvicinarmi alla eccellenza! (non lo scrivo, sia chiaro, per celare falsa modestia o perchè pecchi di immodestia, tuttavia). Quindi, ecco svelati i motivi (lo ribadisco ancora) per cui ritenevo di essere esente da taluni obblighi (o doveri) di cui avevo già accennato.
‐ Cronisti e romanzieri (o romanzieri "cronisti) ‐ Esempi di grandi romanzieri "cronisti", del resto, o di narratori che abbiano avuto con la cronaca implicazioni (o connessioni, se si vuole usare termine ultramoderno, ultraattuale e pluriusato) in certo qual eclatante modo (ed in maniera più o meno diretta), pare ve ne siano stati a iosa (o meglio, è cosa certa anzi certificata!) nella plurimillenaria storia della mondiale letteratura. Charles Dickens, ad esempio, nel 1828 divenne reporter ‐ stenografo al Parlamento inglese per i giornali "The True Sun" e "Morning Chronicle". L'anno precedente era stato impiegato, tra l'altro, in uno studio legale ed aveva imparato a stenografare nei ritagli di tempo. Nel 1833 fu proprio un giornale, "Monthly Magazine", periodico londinese mensile, a pubblicare il primo racconto dello scrittore di Lamport (cittadina nei pressi di Portsmouth che li aveva dato nascita nel 1812), A Dinner at Poplar Walk. Nel 1846, infine, Dickens rifiutò la direzione del Daily News, scegliendo invece di recarsi colla famiglia in Svizzera: visse, infatti, per un certo periodo in una villetta a Losanna (città del Cantone di Vaud, in cui peraltro sono stato sul finire degli anni novanta, sul lato settentrionale del lago di Ginevra), dando alla luce il romanzo The Battle of Life/La battaglia della vita. Cronaca ed attualità, così come l'interesse e la predilezione per ultimi e diseredati, spesso si incrociano ‐ in ogni romanzo o piccolo racconto che sia ‐ con le sue doti di narratore, la sua inventiva e il suo umorismo. Il 22 agosto 2014 su "The Guardian", noto quotidiano inglese, Pietro Garrat scrisse: "L'udito delle voci ha permesso a Charles Dickens di creare mondi immaginari straordinari. Il romanziere ha detto che non ha inventato, ma semplicemente ha registrato ciò che ha sentito e visto." (np., probabilmente quelle voci erano vere piuttosto che un sentito dire!). Anche Mark Twain fu cronista e romanziere al contempo: anzi, alla stessa stregua di quel che accadde per Dickens, è da dire che anch'egli percorse i primi passi letterari e della scrittura in ambito giornalistico. Infatti, lo scrittore statunitense (nomi di battesimo veri e cognome originario erano: Samuel Langhorne Clemens) dopo aver imparato il mestiere di tipografo, lo esercitò, per un certo periodo, scrisse articoli ed affinò la sua arte narrativa sulle colonne dell'Hannibal Journal, quotidiano provinciale di cui era proprietario suo fratello maggiore Orion. Hannibal, giusto per intendere, è la cittadina del Missouri nord ‐ occidentale (quasi ai confini, posta, con lo stato dell'Illinois) presso cui la famiglia dello scrittore si trasferì ‐ da Florida, altro piccolo centro del Missouri ‐ quand'egli aveva quattro anni. C'é molto di Hannibal in diversi scritti di Twain: essa, infatti, oltre a fornire ambientazione dei suoi due capolavori, Tom Sawyer e Huckleberry Finn, ha dato spunto all'autore per la creazione di storie e personaggi; il resto, poi, arrivò da sé durante le innumerevoli peripezie (lavorative o meno), che Twain ebbe in sua vita, ad ogni latitudine degli States ed anche all'estero: sin da quando, evidentemente, fu pilota di battelli fluviali sul fiume Mississippi. Ma c'é tanto di Twain (o Clemens che dir si voglia) anche ad Hannibal. Mi sembra curioso riportare quanto è scritto sulla famosissima guida Pan ‐ Am degli Stati Uniti d'America, edita Calderini Edizioni di Bologna (quella in mio possesso, tradotta dall'opera originale che si chiamava "Pan ‐ Am's Usa Guide", appunto, è datata 1981 ma non molto è cambiato, da allora, probabilmente, in quei luoghi che videro crescere Twain): "Hannibal ha conservato il sapore dei giorni in cui i battelli a vapore percorrevano il Mississippi. Qui trascorse la sua infanzia Samuel Clemens. Potrete vedere alcuni dei suoi oggetti personali nello studio legale di suo padre (np., fu anche giudice), ora trasformato nel Mark Twain Museum and Boyhood Home. Adiacente la casa si trova la staccionata che la zia Polly voleva dipinta di bianco. Nei pressi si trova la Becky Thatcher House. Clemens venne per l'ultima volta ad Hannibal nel 1892 allorquando tenne un discorso ad un gruppo di persone alla Rockcliffe Mansion, ora rinnovata in art noveau decor. La Pilaster House dove morì il padre dell'autore (np., morì di polmonite nel 1847, quando Twain era ancora adolescente; egli perse anche due fratelli e una sorella, tutti nati prima di lui), oggi accoglie una farmacia nello stile del tempo, una cucina e uno studio medico. A nord troverete Cardiff Hill, con una estesa vista del Mississippi e due statue a naturale grandezza di Tom Sawyer e Huck Finn. A sud del paese è situata la Mark Twain Cave dove probabilmente morì Injun Joe (np., è notissimo personaggio del romanzo Tom Sawyer, il cattivo per antonomasia a detta della critica letteraria). Una statua dell'autore domina le rive del Mississippi a Riverwiew Park.