Stories from Palestine

 ‐ Mena Eyad Fathi Sharir aveva solo due anni. E' morta il diciotto maggio scorso in seguito alle ferite riportate nel bombardamento (mirato) della sua casa, avvenuto una settimana prima nel quartiere di al‐Manara (al‐Nafaq street) a Gaza City, nella Palestina occupata. Nel bombardamento è scomparsa tutta la famiglia della bambina: Eyad Fathi Sharir, il padre, che aveva trentacinque anni; Layali Taha Abbas Sharir, la madre, di quarantuno anni; Lina Eyad Fathi Sharir, sorella maggiore della piccola, sedicenne. Il corpo di Lina è stato recuperato dopo l'attacco aereo ed é stato fatto a pezzi. Le fonti della notizia (IsraeliPalestine.org e Mnar Adley, editore indipendente presso Mint Press News) citano ulteriori notizie che mi sembra doveroso riportare all'interno di questa storia. La prima: "l'area ha subito gravi danni perché é densamente popolata, venticinque palestinesi nell'area circostante sono rimasti feriti a causa dell'esplosione"; la seconda: "l'esercito ha affermato che Abu Sharir è uno dei capi militari delle brigate Al‐Qassam, ala armata di Hamas"; l'ultima invece: "il Ministero della salute palestinese afferma che l'esercito ha sparato missili contro edifici adiacenti all'ospedale indonesiano, causando danni agli edifici e all'ospedale". Mi sono fatto le seguenti domande, alcune settimane fa, dopo aver letto la storia di Mena e della sua famiglia. La prima è stata questa: "Se i sospetti degli  israeliani erano fondati che senso aveva bombardare aree così vaste?  Non essendo però né un soldato israeliano, né tanto meno un membro della polizia israeliana residente sul posto, ed a diretta conoscenza dei fatti, in molti potrebbero obiettare sulla mia domanda ed affermare che non abbia ragione d'essere posta. Al contrario, penso che sia lecito porsi domande del genere: bisognerebbe sempre domandarsi il perché sull'accadimento delle cose anche quando ci si trova a migliaia di chilometri di distanza rispetto ad un evento, al loro accadere e svolgersi (sempre tragico quando muoiono persone innocenti a causa di azioni militari e di guerra). Gli israeliani avrebbero potuto procedere con dei rastrellamenti a tappeto come sovente e volentieri fanno, del resto, invece di bombardare ma anche la rappresaglia, ahimé, fa parte della guerra. La definizione di rappresaglia (dal vecchio vocabolario "Il Piccolo Palazzi", a cura di Fernando Palazzi ed edito dalla casa editrice Ceschina‐Principato di Milano : "danno che si fa ad altri per vendetta di danno patito". I nazisti, durante la seconda guerra mondiale, uccidevano dieci esseri umani per ogni soldato tedesco ucciso (non necessariamente, però, da uno di quei dieci esseri umani mandati a morire davanti al plotone d'esecuzione)..."una volta hanno sbagliato a far di conto", ha scritto qualcuno (se ne accorsero dopo, quando il plotone aveva già sparato!). Nessun problema: nella successiva rappresaglia hanno conteggiato undici esseri umani per ogni soldato tedesco ucciso. La precisione, si sa, è d'obbligo a questo mondo, soprattutto quando si ha a che fa... se trattasi di esseri umani. Sovente anche io sono preciso, addirittura precisissimo (mai puntuale, però: neanche ad un appuntamento galante, neanche ad un colloquio di lavoro o quando devo ricevere soldi; neanche alla cerimonia funebre di mia madre e mia sorella lo sono stato!); in passato lo ero ancor (di) più ma ultimamente l'andropausa comincia a batter cassa con maggior insistenza ed allora, in linea di massima, posso affermare di essere "precisino" oggidì. Per fortuna, però, non sono nazista né israeliano, altrimenti chissà...cosa sarebbe successo.Gli israeliani, bontà loro, hanno ucciso ventitrè palestinesi per ogni israeliano morto (il conteggio non l'ho fatto io che sono anche ragioniere e in molti dicono che abbia comprato uno dei miei due diplomi; non è stato neanche qualche ragioniere del comune di Gerusalemme o un impiegato ultrazelante del catasto a Haifa, credo!): questa volta, pare, abbiano sbagliato anche loro a far di conto, per eccesso no per difetto, pur non essendo nazisti. La seconda domanda è questa: che senso ha recuperare il corpo di una ragazzina morta e farlo a pezzi ? Fosse stata anche la figlia, la sorella o qualsivoglia familiare o parente di un jihadista non avrebbe ragion d'essere, per mio conto, la cosa. Il gesto, tuttavia, credo abbia valore simbolico e dichiaratamente cannibalistico...politico. Vorrebbe cioé sancire, da parte degli israeliani, la supremazia sugli altri; un azione tesa ad annichilire i Palestinesi, ad estirparne l'anima impossessandosi in modo brutale del corpo di un loro cadavere. La "soluzione finale" di Hitler nei confronti degli ebrei nulla aveva a che spartire con un fatto religioso, ma aveva carattere politico ed economico nei confronti delle lobbies giudaiche di  editori, industriali, finanzieri e banchieri che imperversavano in tutta Europa. Allo stesso modo, secondo molti, gli israeliani mirerebbero ad uno Stato israeliano senza Palestinesi (non fu un caso se nel 2018 lo stesso Primo ministro Benjamin Netanyahu avesse promulgato, con l'avvallo della knesset, il parlamento di Israele, una legge che rafforzasse lo Stato israeliano: una sorta di "Israele agli israeliani" e basta!) ed il loro altri non è che vecchio, tradizionale e buon colonialismo mascherato da guerra di religione (quello inglese lo era, ad esempio, velato da una sorta di "umano" paternalismo) ed accompagnato da una pulizia etnico‐territoriale non tanto mascherata, direi (è noto come da più parti, o venga sempre più spesso usata la doppia terminologia di segregazione razziale e apartheid nei confronti del popolo palestinese). Ma dopo essermi posto la domanda, cercando in modo quasi "edonistico‐narcisista" di darmi una parvenza di valida risposta, ho riflettuto su una cosa: ovvero, ho letto altre due notizie che mi hanno, in certo qual modo, ricollegato all'atto dello smembramento del corpo, da parte dei soldati, della sedicenne Lina, sorella della piccola Mena. La prima notizia, recente quasi contemporanea a quella della morte delle due bambine e dei loro genitori, reca scritto: " ......
(mentre scrivo, si hanno notizie di occupazioni, di arresti in molte zone della Palestina, da Gerusalemme alle zone vicine, in zone più lontane e nei villaggi dei borders...
‐ Abed Tamy vive a Gaza con la sua famiglia di otto persone, compresi i suoi genitori anziani ora. Entrambi hanno avuto un ictus e sono disabili. Qualche giorno fa mi ha chiesto aiuto, scrivendomi un messaggio via twitter:
‐ Non abbiamo nulla, né soldi né cibo. I miei genitori hanno bisogno di cure e di farmaci. Non lavoro e la nostra vita è molto difficile e brutta, qui a Gaza. Per favore, fratello, puoi aiutarci? ‐ Lo saluto, in risposta al suo messaggio. Poi mi da le coordinate del suo conto paypal. Non rispondo ma li mando una piccola somma (soltanto cinque euro, 18,87 ils al cambio corrente) e poi lo avviso in chat. Lui, subito, mi risponde:
‐ Grazie mille, spero per te il meglio! ‐ Io replico così:
‐ Non sono molti. Ricordati di me, per favore! Di ai tuoi amici che sono un vostro fratello. Ciao, Abed. ‐ In un tweet del sedici maggio, Abed aveva scritto:
"Tutte le strade che portano all'ospedale al‐Shifa, a Gaza, sono state bombardate e distrutte". ‐ Tutto coincide, infatti. Leggo e riporto la seguente agenzia, datata diciassette maggio, ripresa da Al‐Jazeera e dalla redazione dell'ANSA: "In uno degli attacchi compiuti da Israele nella Striscia è morto il medico Ayman Abu al‐Ouf, e con lui la moglie e cinque figli. Lo ha reso noto il Ministero della Sanità palestinese secondo cui i loro corpi sono stati portati all'ospedale Shifa dove il professore era una figura di primo piano, noto anche nella comunità medica internazionale. L'attacco ‐ dove sono rimasti feriti decine di palestinesi ‐ é avvenuto nella notte di sabato scorso nella via Al Wahda a Gaza City, a duecento metri dall'ospedale. In memoria di al‐Ouf la struttura ha intitolato una delle sue sale". La disoccupazione nei territori occupati (tanto nel West Bank, quanto lungo i borders e nella Striscia di Gaza) rasenta il tasso del 50%: i palestinesi lavorano quasi tutti in Israele, per lo più occupati nel settore dell'edilizia, e sono mal retribuiti, ipersfruttati e privati d'ogni elementare diritto sindacale. Non possono produrre cibo e generi alimentari per loro conto, né medicinali o altri generi di prima necessità: essi li acquistano tutti, quando sia possibile, fuori dai loro territori dagli israeliani. Il reddito pro‐capite annuo, in Palestina, è di millequattrocento dollari (uno dei più bassi al mondo) mentre quello di un israeliano medio arriva anche a trentacinquemila dollari. La disponibilità alimentare giornaliera per un israeliano rasenta le tremilacento‐tremiladuecento calorie mentre quella di un palestinese arriva a malapena alle ottocento‐mille.
‐  I "bombardamenti"/bombing: dal racconto di Sama (ragazza palestinese) ‐ Quei sette minuti...che abbiamo vissuto sono stati i più duri della nostra vita...la situazione era molto difficile! Ero in camera con mia sorella, ho ricevuto un messaggio da mia cugina  che mi informava che i bombardamenti erano vicini a noi. Mi ha detto: "Come va, tutto bene?" ‐ Mentre le stavo rispondendo che tutto andava bene, i bombardamenti sono diventati molto più violenti. Sono andata verso il soggiorno dove tutta la mia famiglia era riunita perché é un luogo un po' più sicuro. Mio padre é andato sulla terrazza che dà sulla strada per controllare la situazione. Ma i bombardamenti erano vicini, proprio davanti casa. Mio padre è arrivato per avvisarci e chiederci di evacuare, non aveva ancora finito la frase che è caduto a terra per la potenza dell'esplosione. Abbiamo pensato che fosse morto da martire, non poteva più alzarsi e ci ha chiesto di evacuare in fretta. Il padre: "Uscite! Uscite!". Sama: "Andiamo fratelli, veloci!" "Forza, Misk!". ‐ Non avevo altra soluzione che prendere la mia sorellina e scappare. Siamo usciti di casa con mio fratello che mi seguiva e la porta si è richiusa e il resto della famiglia é rimasto bloccato dentro. Quando la porta si é chiusa ho immaginato che la mia famiglia sarebbe morta dentro l'appartamento perché i bombardamenti erano molto violenti. Siamo scese per le scale e c'erano macerie dappertutto e un'auto che bruciava. In quel momento ho pensato che saremmo stati colpiti. Mi sono allontanata di qualche metro dall'edicifio assieme a mia sorella, un missile è caduto sull'ingresso. "Non aver paura, mia cara!", "Non aver paura, sono qui con te!". "Non aver paura, andiamo verso i cassonetti dell'immondizia per proteggerci!". La situazione era molto difficile. Nel momento in cui sono arrivata al portone, il luogo più sicuro del nostro appartamento, lassù, riceveva le bombe. Anche la situazione in strada era pericolosa, c'erano macerie dappertutto, vetri rotti e una macchina in fiamme...tutto era distrutto e i bombardamenti non smettevano! In quel momento non immaginavo di poter sopravvivere. Ho preso la mia sorellina per mano e mi sono messa a correre più veloce che potevo, per cercare di raggiungere un luogo sicuro. C'erano molti bombardamenti. Come ci siamo allontanate dai pericoli, gli attacchi sono diventati ancora più violenti. Abbiamo corso ancora per allontanarci ancor di più dal pericolo, l'obiettivo era di giungere sino ai cassonetti dell'immondizia per metterci al sicuro ma non era facile arrivarci. "Vai verso il cassonetto dell'mmondizia, mia cara." "Vicino al cassonetto." "Ambulanza, venite ad aiutarci, salvateci, mia sorella é ferita!". Paramedico: "Salite, presto! Salite!". Ci siamo ritrovati sotto il mio palazzo con la mia famiglia. Gli abitanti del palazzo sono stati evacuati in novanta secondi sotto dei forti bombardamenti. Centododici appartamenti sono stati evacuati in soli novanta secondi. La situazione era molto difficile, molte famiglie non hanno potuto prendere neanche il minimo indispensabile delle loro cose. Non é ora che i bambini disegnino le loro speranze e i loro sogni per il futuro? Che abbiano almeno il diritto di vivere la loro infanzia? Siamo un popolo che ama la vita, non siamo dei numeri. Abbiamo dei sogni e delle speranze. Desideriamo vivere una vita normale. La nostra sofferenza finirà soltanto con la fine di questa occupazione israeliana (Fonti/Sources: Gaza Stories&InvictaPalestine.org). Il palazzo in cui Sama Ismael viveva insieme con la sua famiglia, sino a qualche settimana fa, é situato nel centro di Gaza City: i bombardamenti israeliani sono stati "mirati" anche questa volta, e precisi...hanno colpito, cioé, in maniera altamente precisa e profondamente mirata. Il palazzo dei media, come veniva chiamato, enorme costruzione di dodici piani nel centro di Gaza, il quale ospitava anche i locali della Associated Press e di Al‐Jazeera english oltre ad altri uffici di media ed appartamenti residenziali, é crollato poche ore dopo che un altro raid aereo israeliano su un campo profughi densamente popolato (come riporta il notiziario online di France24 del 15 maggio 2021) aveva ucciso almeno dieci palestinesi di una famiglia allargata, per lo più bambini. Fares Akram e Joseph Krauss, entrambi dell'agenzia di notizie americana AP (Associated Press) sulle colonne del Time, settimanale newyorchése, scrivono quanto segue: "Israele ha effettuato una ondata di attacchi aerei su quelli che ha detto essere obiettivi militari a Gaza, abbattendo un edificio di sei piani nel centro della città, e i militari palestinesi hanno lanciato dozzine di razzi su Israele all'inizio di martedì, l'ultimo nella quarta guerra tra le due parti, giunta alla sua seconda settimana. Le esplosioni degli attacchi aerei echeggiarono nell'oscurità prima dell'alba a Gaza City, inviando lampi arancioni nel cielo notturno. I bombardamenti hanno rovesciato l'edificio Kahil, che contiene bibilioteche e centri educativi appartenenti all'università islamica (erano questi gli obiettivi militari di cui parla l'esercito israeliano?!). Nuvole di polvere incombevano sul sito, che era stato ridotto a cumuli di macerie di cemento e cavi elettrici aggrovigliati.
La torre di Kahil/Kahil Tower rimase l'unica in piedi nella zona circostante: nelle foto che la ritraggono vicino alle macerie (una delle quali la osservai proprio nel profilo instagram di Sama, pur non non avendo conoscenza se l'abbia scattata o meno di persona) sembra davvero un albero spoglio in mezzo al deserto.