The Invisible Ship

Ciò amo ricordare nelle fredde e umide serate invernali, quando alla taverna in pietra di Thomas Godwin vado a sedere in cerca di un poco di pace e di una sacrosanta pinta di rum. Prima che quella vecchia strega di Margaret venga a prendermi per trascinarmi ubriaco fradicio in casa, maledicendo sette volte, uno per ogni giorno della settimana, il momento in cui decise di sposarmi.
‐ Un tempo Thomas ed io, di quella marmaglia facemmo parte...

The Invisible Ship
L’invisibile Vascello
di Veniero Rossi

Sulla nave in secca la ciurma operava in silenzio, alternandosi nella stiva rischiarata dalle lampade a petrolio che per l’occasione erano accese.
Dai boccaporti dischiusi si diffondevano il fumo denso e una luce ocra spettrale.
Saldamente assicurato con forti cime a dei grossi ceppi disposti in coppia a prua e a poppa e conficcati nella sabbia, il battello offriva superbo la prora al vento proveniente dal mare.
Sinistri scricchiolii e tonfi sordi si avvertivano giungere dalla spina in acero di quel vecchio legname.
L’occasione tuttavia era unica per svolgere quell’importante affare ma il tempo a disposizione, esiguo.
A sostenere il vero, si trattava di una possibilità legata a poche ore in tutto.
Così l’equipaggio correva dalla sopra coperta, alla sentina, cercando di risolvere il problema con il timore che il comandante tornasse a bordo e una volta sul cassero, all’accenno della marea di ritorno impartisse l’ordine di salpare.
Sulla costa bianca di West Kirby in Inghilterra, il restante manipolo di marinai forti e coraggiosi di quella nave, lavorava di là del bagnasciuga, riempiendo in tutta fretta grossi otri rossi di terra per trasportarli a bordo.
Presto sarebbe giunto il fortunale e le attività ne avrebbero risentito.
Tuoni e lampi si cominciavano a formare all’orizzonte e una coltre d’acqua in quella notte da lupi cominciò a cadere.
Carichi cirri, atterrirono uomini che in vita loro avevano visto tutto.
Nei minuti che seguirono, tutte le armi, munizioni, uncini, asce e quant’altro armamento, coltello o punteruolo, perfino i cavatappi della cambusa, finirono coperti di arena e stivati nella capiente pancia dell’imbarcazione.
All’orizzonte, come pecore bianche innocenti, le increspature d’acqua intrapresero il cammino.
La marea salì veloce e il comandante tornò a occupare posto sul ponte che il vento in coffa rafforzava.
Assieme alla ciurma, attese nell’oscurità che arrivasse a lambire la nave sino al galleggiamento.
Il vascello vacillò nel riprendere fondo e ruppe bruscamente ogni ormeggio.
Neppure l'ancora, interrata sul fondale, riuscì a trattenerlo e la catena rischiava di strappare nell'arare il fondo.
Fu in quel momento che ordinò al secondo di sollevarla e prendere il largo, appiccando con rabbia il proprio uncino alle mura.
Privo di velatura e con l’albero di maestra spezzato e appariscenti fori, il vascello virò a dritta nella disperazione generale.
Alcuni di quei marinai ebbero unicamente il tempo di serrare al corpo le vesti che il ponte fu battuto da un’onda di mare talmente forte da uscire a poppa e scaraventarne un paio in acqua.
E molte altri ancora di quei flutti sarebbero presto arrivati in quel freddo oceano.
Quegli uomini dovettero farsene una ragione.
Il misero tentativo di seppellire le armi a bordo, era fallito...
Un qualche attrezzo contundente doveva essere sfuggito o non essere stato seppellito a dovere!
Giacché il vascello tornava a navigare e la maledizione prolungata per un altro mezzo secolo.
Giusto il tempo necessario a tornare da quelle parti e avere un istante di pace!
Nel mare profondamente cavo e nella notte torbida e ventosa, il vascello solcò i marosi fino a diventare invisibile all'orizzonte.
‐Sul trinchetto spiccava impavida la bandiera e il teschio.